Ai confini dell’economia. Elogio dell’interdisciplinarità, di Pierluigi Ciocca, Nino Aragno Editore, 2016

Copertina

Una nuova frontiera della ricerca economica si situa all’intersezione fra le diverse dimensioni della società. Sempre più si esplorano territori di confine fra economia, storia, diritto, politica, istituzioni, letteratura. E’ uno sviluppo da salutare positivamente.
Il volume propone approfondimenti su temi quali i fattori non economici della crescita, la centralità dell’ordinamento giuridico per l’efficienza della produzione e degli scambi, la storicità del pensiero e dei sistemi economici, le specificità strutturali e politiche del caso italiano.
Per impostazione di metodo e scrittura queste pagine si rivolgono a chi si accosta all’economia movendo da altre esperienze culturali, non meno che agli economisti.

1. Clio, nella teoria economica
2. Dei fattori non-economici del progresso economico
3. Tempo logico e tempo storico in economia e in finanza
4. Un ordinamento per l’economia
5. Machiavelli e l’economia
6. Un modo di produzione “orientale”?
7. Brigantaggio ed economia nel Mezzogiorno
8. L’IRI, fra economia e politica
9. Narrare l’economia
10. Romanzo ed economia: il Novecento italiano

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A giustificazione e riconduzione ad unità di questa raccolta di scritti “extravaganti” può evocarsi una frase forte di Luigi Einaudi: «Chi cerca rimedi economici a problemi economici è sulla falsa strada; la quale non può che condurre se non al precipizio. Il problema economico è l’aspetto e la conseguenza di un più ampio problema spirituale e morale».
Si diceva, un tempo, economia politica. L’aggettivo alludeva all’inscindibilità dell’analisi e della proposta in materia economica dal resto del sociale, della polis: condizionato dall’economia, condizionante l’economia. Il fondatore della disciplina, modernamente intesa quale Indagine sulla natura e sulle cause della ricchezza delle nazioni nel capitalismo moderno, coltivò le sinergie con le altre branche del sapere. Il capolavoro di Adam Smith collegava strettamente fra loro le diverse dimensioni dell’agire degli uomini riuniti in società. Nel suo libro c’è la storia, la politica, le istituzioni, il diritto, la statistica, le culture, la morale appunto, in un intreccio rivelatore con l’economia, cuore dell’Indagine.
Questa impostazione di metodo, olistica, interdisciplinare, non è mai stata interamente smarrita, dal 1776 a oggi. Giganti del pensiero economico – gli altri classici sulla scia di Smith, poi Schumpeter e Keynes, ma anche grandi neoclassici come Walras e Pareto – hanno continuato a seguirla, sia pure in modi diversi. Lo hanno fatto cogliendo i risultati conoscitivi più preziosi della disciplina. L’evidente difficoltà di praticare quella impostazione non ha affatto impedito i progressi analitici. Il suo superamento li ha, al contrario, sollecitati e favoriti.
Dagli anni Settanta del Novecento abbiamo assistito a un’evoluzione, se non a un’involuzione. In particolare nel lavoro teorico la maggior parte degli economisti ha scisso quel reciproco nesso. L’economia politica è divenuta sempre più economia senza aggettivo, pura economics. La scuola neoclassica ha teso a spiegare i fenomeni economici con variabili solo economiche e anche, non di rado, fenomeni metaeconomici – financo rapporti interfamigliari, divorzio, delitti, altruismo, propensioni individuali – con variabili solo economiche, secondo «the economic approach to human behavior» (Gary Becker).
Non poco si è guadagnato, ma qualcosa dev’essersi perduto se nei tempi più recenti è emersa l’esigenza di riallacciare quel legame: tornare a ricercare le intersezioni e le interazioni fra l’economico e il “resto”, coltivare le terre di confine fra l’analisi economica e altre discipline, in particolare le altre scienze sociali.
Hanno molto contribuito in tal senso la ricerca empirica e la ricerca storica, a cui si devono forse i maggiori, più originali avanzamenti conoscitivi degli ultimi anni. Meno copiosi sono stati i frutti, e decrescenti i rendimenti, di una elaborazione teorica d’impianto marginalista che ha spesso battuto con linguaggi e metodi anche innovativi, in sé arricchenti, sentieri già percorsi in passato. Divenendo mainstream ha rischiato, rischia, di scadere nell’ortodossia, la principale nemica del sapere. E’ un fatto che ai tentativi di ritorno all’economia politica abbiano contribuito anche studiosi di formazione teorica neoclassica, evidentemente vogliosi a imboccare vie nuove, conoscere di più e, perché no?, annoiarsi di meno …
Gli scritti di questo volume s’inscrivono in tali, promettenti sviluppi. Chiamano in causa la storia, il diritto, la politica, la letteratura, in una parola la cultura. Al di là dello specifico apporto che possono recare alle tematiche prese in esame, vogliono testimoniare come ai confini dell’economia vi sia molto che un economista può esplorare, da economista, senza rinunciare agli strumenti dell’economista. Vogliono, questi scritti, nei loro limiti essere un elogio dell’interdisciplinarità, prudente e criticamente avvertita.