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Débat public all’italiana, ovvero come mutuare nozioni senza innovare comportamenti

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Inoltre introduce la distinzione, sopra segnalata, tra grandi opere infrastrutturali ed opere di architettura di rilevanza sociale, che andrebbe chiarita. Così come sarebbe probabilmente opportuno rimettere la decisione se adottare o meno la procedura di dibattito pubblico ad un terzo imparziale, laddove il comma 3 dell’art. 22 l’assegna al proponente l’opera, il quale all’uopo convoca una conferenza di servizi per definire le modalità del dibattito. Un’ulteriore conseguenza è che il dissenso, rispetto alla decisione di non indire il dibattito, potrebbe emergere solo in sede di impugnazione del rilascio dell’autorizzazione. In questa fase, però, l’eventuale decisione di annullamento, motivata dalla mancata sottoposizione a dibattito pubblico, avrebbe l’effetto di travolgere l’intera procedura già svolta.
Comune alla disciplina francese e a quella italiana, la previsione che gli esiti del dibattito pubblico debbano trovare risposta nella predisposizione del «progetto definitivo» (preliminare, definitivo ed esecutivo sono i tre «momenti» tipici della progettazione).
Il ddl appalti, nell’art. 23 mantiene dunque la tripartizione (progetto preliminare, definitivo ed esecutivo) che però è profondamente modificata: il primo livello della progettazione unifica nel «progetto di fattibilità tecnica ed economica» lo studio di fattibilità (non obbligatorio in precedenza per poter inserire un’opera del Programma Triennale delle Opere Pubbliche), il documento di progetto ed il progetto preliminare.
La realizzabilità di questa previsione non sarà facile sia sotto il profilo tecnico, che economico ed amministrativo. Sotto il profilo tecnico, uno studio di fattibilità è sempre possibile e necessario? In particolare, lo è per le opere «puntuali» la cui localizzazione è già decisa dai piani territoriali ed urbanistici è oggetto al rispetto di rigidi standard funzionali ed edilizi?
Quanto agli “esiti” del dibattito pubblico, che devono trovare risposta nel progetto definitivo, questi di che natura sono? Solo gli esiti tecnici o anche quelli sociali ed economici? E questi secondi, possono rientrare nel dominio di un progetto tecnico? Ci si riferisce sia alle cosiddette «compensazioni» esterne all’opera che alle modifiche accettate del progetto iniziale, con conseguenze sui costi e quindi sulla allocazione della spesa pubblica. Il discostamento tra previsione di spesa e spesa effettiva può essere – come l’esperienza nostra – molto rilevante. Spesso tale da far ritenere necessario un nuovo processo decisionale.

3. Mentre il nostro legislatore si accinge ad introdurre nell’ordinamento italiano il dibattito pubblico, in Francia sta maturando un notevole scetticismo nella capacità di questo strumento di coagulare il consenso o di superare il dissenso alla realizzazione delle opere di rilevante impatto ambientale e sociale.
Tre «casi» soprattutto sono al centro della riflessione: la costruzione del nuovo aeroporto dal Grande Ovest a Nantes in località Notre – Dame des – Landes; il trasferimento verso il deposito unico nazionale del materiale radioattivo stoccato negli attuali depositi; la costruzione della diga di Sivens.
La costruzione di queste opere è fortemente avversata da parte delle popolazioni locali, che, in alcuni casi da anni ne impediscono la realizzazione, anche se il processo per il rilascio delle autorizzazioni è pressoché ultimato. Non sembra che lo svolgimento del débat public abbia contribuito a risolvere i contrasti, sfociati in occupazione dei siti e manifestazioni di piazza. Nel caso della costruzione della diga di Sivens, durante le proteste si è registrata la morte di un manifestante per un colpo di arma da fuoco sparato da un poliziotto.
La vicenda più lunga, ed ancora dibattuta proprio in questi giorni in Francia nei suoi più recenti sviluppi, riguarda il progetto dell’aeroporto di Notre –Dame-des-Landes, che risale agli anni ’60, quando ancora volava il Concorde. Nel 1965, il Prefetto della regione di Loire-Atlantique lanciò la ricerca di un sito per la costruzione di un nuovo aeroporto, che avrebbe dovuto sostituire quello situato a sud di Nantes, favorire lo sviluppo delle città della regione e alleggerire il traffico dell’aeroporto di Parigi. Nel 1967, la zona di Notre-Dame-des-Landes venne giudicata la più interessante perché facilmente accessibile. Nel 1974, per decisione del Prefetto, fu creata una “zone d’aménagement différée” (ZAD), al fine di acquisire le terre occupate in vista della realizzazione del progetto. Gli oppositori del progetto, già organizzati nell’Association de défense des exploitants concernés par l’aéroport (Adeca) si appropriarono rapidamente della sigla ZAD, utilizzata invece come acronimo di “zone a défandre”. Il 26 ottobre 2000, dopo anni di discussioni, il primo Ministro Lionel Jospin confermò la realizzazione dell’aeroporto. Prese avvio il “débat public”, che andò avanti fino al 2003, senza però realizzare alcun consenso. Gli oppositori al progetto iniziarono ad organizzare mobilitazioni. Dopo l’emanazione della declaration d’utilité publique (DUP) nel 2008, nel 2011 il gruppo industriale Vinci ottenne l’aggiudicazione della gara per la costruzione e la gestione del futuro aeroporto. Nel mentre si moltiplicavano gli appelli a mantenere l’occupazione della zona dei futuri lavori, iniziata già nel 2008, e gli agricoltori si rifiutavano di abbandonare le loro terre. Nell’ottobre 2012, le autorità decisero di espellere dalla ZAD gli occupanti. Più di mille poliziotti e gendarmi furono impegnati sul posto per diverse settimane. Gli scontri violenti attirarono l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sul progetto. Nel novembre 2012, una manifestazione organizzata a Nantes si concluse con violenti scontri tra le forse dell’ordine ed i manifestanti. Le operazioni di espulsione furono sospese e venne costituita una “commission de dialogue”.
Arriviamo così ai tempi più recenti. Il 18 ottobre 2013 il Conseil d’Etat ha respinto il ricorso proposto dal comitato contro la dichiarazione di pubblica utilità: i motivi proposti dai ricorrenti «ne font pas état de changement des circonstances de fait, mais seulement de divergences d’appréciation sur les études réalisées antérieurement». Quattro mesi più tardi, un’imponente manifestazione ha avuto luogo a Nantes e si è conclusa con nuovi scontri tra la polizia ed i manifestanti. Nell’estate 2015, la Court de cassation ha respinto i ricorsi proposti da diversi proprietari contro l’espropriazione ed il Tribunale di Nantes ha rigettato a sua volta i ricorsi contro le decisioni di autorizzazione all’inizio dei lavori. Il 30 ottobre 2015, la prefettura di Loire-Atlantique ha annunciato la ripresa dei lavori per il 2016. Il gruppo concessionario ha ripreso le procedure di espulsione contro gli occupanti “storici” che rifiutano di cedere le loro terre.
Il 25 gennaio 2016, il Tribunal de grande instance di Nantes ha convalidato tutte le procedure di espulsione, ordinando che queste si concludano entro due mesi.
A seguito di nuove manifestazioni di protesta, che si sono svolte anche mentre il Tribunal era riunito per decidere, l’11 febbraio scorso il Presidente Hollande ha annunciato che il progetto sarà (o meglio dovrebbe) essere sottoposto a referendum, con buona pace della capacità del dibattito pubblico di dirimere i contrasti, ma anche con uno stravolgimento del senso di ogni valutazione ambientale. Lo stesso annuncio è stato dato dal nuovo “Ministre du Logement e de l’Habitat durable”, nominata lo stesso giorno.
La deriva, alla quale si sta arrivando nel caso di Notre-Dame-des-Landes, non è priva di aspetti quasi «umoristici».
Recentemente un consigliere regionale EELV della Regione Bretagne e Pays de la Loire sosteneva che per essere “seri e legittimi, un referendum deve rispettare delle regole. Per questo bisogna organizzare un débat public”.
Quando la Francia (1976) introdusse in forma esplicita e prima ancora della CE/UE (1985), la procedura di valutazione d’impatto ambientale, l’allora ministro dell’ambiente prese il solenne impegno che mai e poi mai lo studio di impatto ambientale sul quale si basa la considerazione dell’ambiente («prise en compte») equivalente al nostro «giudizio di compatibilità ambientale», sarebbe stato oggetto di referendum. Evidentemente non è più così. Nel frattempo l’autorevolezza della pubblica amministrazione è evidentemente venuta meno.

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