Il seminario di Apertacontrada sullo schema di ddl per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza

Nel dibattito che ha seguito l’intervento del Pres. Rordorf sono stati approfonditi diversi aspetti del disegno  di riforma. Sono emerse delle considerazioni riconducibili a tre tipologie: valutazioni generali sullo schema; osservazioni su alcune disposizioni o istituti; riflessioni sui rapporti tra lo schema normativo ed altre discipline.

1) Considerazioni generali.
La riforma è stata lungamente attesa anche se non siamo formalmente in ritardo.
La riforma italiana è stata anzitutto collocata nel quadro internazionale ed europeo. Il nostro paese è strutturalmente in ritardo ma in anticipo rispetto all’adozione di normativa europea sul tema.
Il richiamo ad una buona legge fallimentare è venuto dal FMI, nonché dalla Commissione Europa in sede di analisi sulla stabilità del nostro paese. A livello europeo in particolare, nel 2015 è stato rivisto il regolamento sull’insolvenza transfrontaliera, che si occupa anche dei gruppi di imprese – il che evidenza ancor di più come a livello nazionale manchi una disciplina ad hoc. In aggiunta, una raccomandazione europea del 2014 suggerisce agli Stati l’adozione di sistemi di composizione precoce ed assistita. Essa  sembra destinata a tradursi in una direttiva: è stato istituito un gruppo di lavoro, e la disciplina verosimilmente ricalcherà la raccomandazione, la quale ha sinora avuto uno scarso recepimento negli ordinamenti statali. Se si riuscirà a varare una riforma già in linea con questi indirizzi, il nostro paese forse non sarà all’avanguardia, ma quantomeno non sarà in ritardo rispetto ai partner europei. In aggiunta l’Italia sconta una situazione di ritardo rispetto ad altri ordinamenti: basti pensare a come, sebbene il nostro paese abbia partecipato alla redazione del Model law, attualmente, quando si dichiara il fallimento di un impresa, si ignora quanto sia accaduto alla medesima impresa in altri ordinamenti.

Il disegno risponde alle esigenze dell’attuale scenario economico.
Lo schema di riforma è stato apprezzato, anche da un punto di vista strettamente economico, in quanto ispirato all’idea di  “riallocare le risorse per tempo”. Il concetto, spesso ribadito nel testo, richiama la discussione negli anni settanta sulla cd. Stagnazione (alto tasso di inflazione e rallentamento dell’economia italiana), sul ritardo del sistema produttivo italiano nel ricollocare le risorse. Per più ragioni, molte delle quali permangono (ad esempio il tessuto produttivo è costituito da piccole imprese familiari) ancora oggi si pone il problema che in caso di shock il sistema produttivo italiano non sia in grado di adattarsi.

La disciplina è sia nel segno dell’innovazione che della tradizione.
In merito all’impianto di base, si è osservato che la riforma sembra mostrare due facce: una nel segno dell’innovazione (si pensi alla procedura di allerta, alle misure di prevenzione, agli interventi, al ruolo di Equitalia che dovrà comunicare agli organismi le irregolarità); la seconda nel segno di conclusioni istituzionali di tipo tradizionale (fallimento). A fronte del dubbio sul se sia possibile un recupero sostenuto dell’impresa in difficoltà o se tale obiettivo sia destinato a restare irrealizzato, è emerso che la contrapposizione tra una linea di pensiero conservatrice dell’impresa in crisi e una linea liquidatoria non abbia più senso, e il dilemma andrebbe risolto in via pragmatica. In questo senso parrebbe muoversi il ddl, anche perché comunque non può mancare anche una disciplina cd. fallimentare, anche se comunque essa nel nuovo schema non è destinata a  prendere il sopravvento. Ad esempio, la segnalazione al debitore, a rigore di logica, non sarebbe necessaria, in quanto egli conosce perfettamente i suoi problemi, ma ha un valore di messa in mora, in quanto ci si deve attivare, ed anche la normativa sulla liquidazione vera e propria non dovrà costituire un ritorno al passato.

Si tratta di una disciplina che mira a responsabilizzare l’imprenditore.
Andranno bene esaminate le modalità di intervento: è possibile infatti prevedere degli obblighi (come nel sistema tedesco) o misure premiali (anche se tale opzione non appare chiaramente espressa), ma certamente è opportuno responsabilizzare l’impresa, anche se solo con funzione “segnaletica”, per accertare eventuale responsabilità di chi non ricorra agli strumenti predisposti dall’ordinamento. Lo schema prevede che l’allerta debba essere richiesta dall’imprenditore, al ricorrere di alcuni segnali (in quanto l’agenzia delle entrate, gli organi di controllo e amministrativi hanno l’obbligo di attivarsi), in quanto in assenza di un intervento, potrà incorrere in sanzioni.

Il disegno richiede l’approntamento di organismi amministrativi competenti, non a carico del soggetto pubblico.
La riforma pone una questione di qualità e costo dei servizi di allerta e composizione: è possibile che questi servizi siano convenienti rispetto a quelli omologhi già offerti dagli operatori sul mercato.
Dal dibattito è emerso che questa sezione avrà due compiti: valutare l’altezza delle probabilità che la situazioni attuale sfoci in insolvenza, e si tratta di un terreno molto scivoloso, in quanto la valutazione dovrà essere effettuata impresa per impresa, tenendo conto del settore; il secondo compito consisterà nel disegnare la soluzione più giovevole alla specifica impresa, ponendo l’elemento della qualità del contributo, letto sul costo dell’operazione.
Il costo dovrà gravare sull’impresa e sui creditori, non sullo Stato (perché ci sarebbe un problema di aiuti di Stato). Ovviamente il problema dei costi si pone solo quando l’allerta sia scattata o comunque quando l’imprenditore voglia attivarsi e scegliere di rivolgersi a questi strumenti, pensati per le piccole e medie imprese.
Sarà indispensabile avere professionisti che si affianchino o precedano il giudice nello svolgimento di queste attività, così  come anche la specializzazione dei giudici sarà cruciale. Sul primo punto il testo della riforma appare variato in sede di Consiglio di Ministri, e preoccupa che sia caduto il riferimento, contenuto all’art. 4 a), ai requisiti di “competenza, indipendenza, conflitti di interesse, riservatezza” dei componenti degli organismi, anche se verosimilmente il taglio va inteso nel segno che la precisazione fosse scontata.
Già oggi in caso di sovraindabitamento la legislazione prevede organismi di composizione della crisi (quando i soggetti interessati sono il debitore civile, consumatore, imprenditore sottosoglia), ad operare sono intervenuti gli ordini degli avvocati, e si prevede che possa assumere il ruolo di gestore solo chi ha esperienza consolidata.
In questo senso appare importante che le procedure di allerta siano portate davanti a organismi amministrativi: non per ragioni di timore del fallimento, ma perché sono necessarie informazioni e valutazioni di informazioni, servono strutture burocratiche in grado di valutare informazioni da riportare al giudice. È però al tempo stesso importante che siano date informazioni tempestive a chi deve decidere della sorte della procedura.

Il principio della riservatezza, da definire nel dettaglio, sarà di cruciale importanza.
Altro profilo riguarda la tutela della riservatezza, la quale accrescerebbe la propensione dell’impresa a ricorrere a questi strumenti, e quindi al loro successo. La riservatezza è prevista, ma andrà definita nel dettaglio. Altra modifica allo schema in sede di CdM prevede che l’organo di composizione attesti che le misure studiate per l’impresa siano adeguate, altrimenti dovrà rivolgersi al tribunale: tale passaggio automatico (e pubblico) rischierebbe però di danneggiare il meccanismo della riservatezza.

2) Analisi su temi specifici.
Sarà necessaria un’attenta precisazione dei confini della disciplina.
Si è osservato che sarà importante, nell’attuazione dello schema, fornire indicazioni più chiare su cosa rientri o no tra le procedure concorsuali. Nel testo si fa riferimento ad un unico provvedimento o situazione da cui si valuti lo stato di insolenza, e quindi a un provvedimento come l’accertamento e alla proposta di concordato, la quale ultima va considerata una prova diretta dello stato di insolvenza. L’unico strumento che sicuramente non vi rientra è quello dei “piani attestati”, che devono essere potenziati: generalmente non vi si ricorre perché non se ne conoscono le conseguenze. Il resto sembra sia tutto dentro la procedura concorsuale (compresi gli accordi di ristrutturazione, che sono dei concordati adottati con altre tecniche, e qui servirebbe chiarezza per rendere meno complicate le attuali procedure).

Sarà importante il coordinamento con la disciplina dei crediti deteriorati delle banche.
È emerso un problema di coordinamento dello schema con il dl 83/2015, che ha modificato la legge fallimentare in merito al problema dei crediti deteriorati delle banche (non performing loans).
La legge delega sembra muovere in direzione opposta al dl, nel non affrontare il tema delle proposte concorrenti, e nell’affermare il principio di legittimazione  del terzo al concordato nei confronti del debitore insolvente, laddove nel dl 83 le proposte di concordato non prevedono l’accertamento dello stato di insolvenza. Inoltre vi sarebbe il rischio di un vulnus al principio di affidamento, dal momento che le norme del dl 83 sono state pubblicizzate e sono state accolte favorevolmente dagli investitori, per cui un oro superamento creerebbe incertezze.
D’altro canto, il disegno si propone di uscire dalla logica emergenziale per i crediti in sofferenza, per approdare ad una logica di medio-lungo periodo. La filosofia sottesa consiste nel non proporre una soluzione specifica, ma nel costruire una legge fallimentare che garantisca procedure efficienti, dai tempi rapidi, con liquidazione, e che così possa funzionare anche per i crediti in sofferenza, per prevenirli e renderli meglio negoziabili.
Nello stesso senso, non appare realistico pensare che la legge fallimentare possa risolvere la crisi delle banche, come del resto non vi sono riusciti gli interventi del 2015.
E’ comunque emerso che il decreto del 2015 non è stato preso in considerazione, perché introdotto mentre i lavori erano in corso, e del resto incide solo su alcuni aspetti della legge fallimentare, laddove il disegno mira a riscrivere integralmente la legge. I principi inoltre dello schema non sono generalmente in conflitto con quelli del dl, e si deve tenere conto che laddove il disegno tace, si deve ritenere che diversa disciplina sia compatibile.

Si prevede solo il concordato con continuità e non più il concordato liquidatorio.
Il nuovo schema prevede solo il concordato con continuità e non il concordato liquidatorio. Per questa soluzione hanno giocato i costi ingiustificati, che ricadono sui creditori in termini di professionisti, organi, per concludersi poi con una liquidazione, la cui disciplina attualmente di risolve nel richiamo alla legge fallimentare. Inoltre nella relazione si rileva che i concordati liquidatori condurrebbero ad ottenere dei compensi inferiori, se non irrisori, rispetto alla liquidazione.
L’idea originale di un concordato cd. misto con sostegno finanziario di terzi prevista nello schema, che era sembrata soluzione logica e coerente, sembra abbandonata.
Purtroppo non abbiamo dati chiari od omogenei, né tanto meno delle statistiche sui concordati liquidatori, e a queste condizioni l’esclusione dei concordati liquidatori può risultare discutibile. Che il concordato liquidatorio poi si concluda quasi sempre con la liquidazione non è di per sé un dato negativo: anche in Europa, nel 90% dei casi il concordato finisce con la liquidazione, per cui la soluzione rimane gradita ai creditori. Del resto, anche la decurtazione del credito sulla base di un accordo potrebbe essere preferibile alla liquidazione immediata.
In favore però della scelta gioca l’argomento secondo cui, quando si tratta di imprese che non possono essere salvate, non ha senso ipotizzare due alternative.

Concordato su richiesta del terzo e istituto delle proposte concorrenti.
Di proposte concorrenti di concordato, previste nel dl 83, che possono avere luogo solo successivamente alla richiesta di concordato del debitore e che  non prevedevano accertamento dello stato di insolvenza, non si parla nella delega; c’è invece l’attribuzione al terzo della legittimazione a chiedere il concordato nei confronti del debitore insolvente, giustificata come strumento di semplificazione del sistema:.
In realtà nulla giustifica che realmente il disegno voglia impedire le proposte concorrenti. Si è però ritenuto che il sistema attuale delle proposte concorrenti abbia mostrato delle criticità, perché prevede che solo il debitore possa promuovere il concordato, e il timore di proposte concorrenti potrebbe frenarlo e quindi essere controproducente; dall’altro si sono avuti pochissimi o nessun caso di applicazione della previsione, e quindi l’istituto non ha funzionato non solo perché si tratta di una novità, ma perché le incertezze applicative sono numerose, a partire dal rapporto tra queste due iniziative. Il debitore che fa domanda di concordato, può infatti rinunziare se la proposta concorrente non gli piace e mandare tutto a fallimento, e il terzo non lo può evitare; se invece il creditore, come si è previsto, può fare domanda di concordato, questo tipo di problema viene superato. In questo senso si raggiunge meglio l’obiettivo che il debitore si muova prima, non grazie al rischio di proposte che potrebbe neutralizzare, ma grazie alla domanda concorrente.
Altro problema rispetto alle proposte deriva dalle perplessità costituzionali, perché sarebbero in gioco dei terzi che si approprierebbero  dell’impresa, e quindi si porrebbe un problema di compatibilità con l’art. 41, sulla libertà di impresa. Il valore del bene è degli azionisti, non di altri; se la domanda concorrente ha luogo però per un impresa insolvente, il rischio grava sui creditori, non sugli azionisti, e visto che ci si trova di fronte a un capitale di credito e non di rischio, tale opzione risulta più accettabile.
In Europa si tende a guardare con favore alle cd. proposte concorrenti: si dà infatti rilievo alla condotta dell’impresa al di là dell’accertamento dell’insolvenza, e del resto ci si chiede perché, se il debitore offre percentuale ridotta, egli debba appropriarsi del surplus senza consentire spazio ad altri. E così fuori dai confini nazionali le proposte concorrenti esistono, ma non la legittimazione diretta del terzo a chiedere di entrare in una procedura di concordato.

La pendenza di giudizi in sede di chiusura della liquidazione.
Nello schema non è inoltre chiaro cosa succeda in caso di chiusura della liquidazione, laddove nel dl 83 si afferma espressamente che essa sia possibile “anche se sono pendenti giudizi”.
La disposizione del dl ha creato molti problemi, tanto che è stata costituita una commissione presso il Tribunale di Roma per interpretarla. Ci si è chiesti ad esempio come si possa procedere a liquidare degli attivi con accantonamenti, se ci sono giudizi in corso: la norma fa inoltre riferimento a giudizi, ma non si sa che cosa succeda nel caso di processi esecutivi, i quali tecnicamente sono procedimenti e non processi. Ancora, ci si chiede come chi subisce l’azione revocatoria possa restituire la somma e partecipare al concorso. Infine ci sono problemi fiscali (ci si chiede se l’attivo successivo rientrerà in un unico periodo di imposta dalla chiusura della società, e la chiusura della società potrebbe non risultare giustificata).
Nel disegno in relazione alla chiusura della liquidazione e delle procedure si fa riferimento ai principi. Il dl 83 è fortemente lacunoso dal punto di vista procedurale, per cui il legislatore delegato dovrà integrare la disciplina della chiusura cd. in pendenza con il riferimento a tutti i processi (e anche all’azione revocatoria).

Amministrazione straordinaria.
Si è discusso infine degli istituti della liquidazione coatta amministrativa e dell’amministrazione straordinaria.
Con la riforma il primo istituto non è più eccezionale ma speciale, il secondo invece è straordinario. La soluzione appare il frutto della scelta politica del Ministero dello Sviluppo economico di non abolire l’amministrazione straordinaria, e ne è prova che , nell’atto di nomina della commissione era previsto che la disciplina andasse regolata d’intesa con il Ministero.
Anche l’amministrazione straordinaria quindi dovrà far riferimento ai principi della legge.
Si è poi ipotizzato che la procedura potesse essere riservata a imprese strategiche, e che la tipologia fosse individuata attraverso decreto ministeriale; si è ripiegato ai fini dell’applicazione sul ricorso a parametri classici, quali il numero dei dipendenti e il fatturato.

3) Altre discipline
Il dibattito si è concentrato infine sui rapporti con altre discipline.
C’è un riferimento nello schema ai rapporti di lavoro: si è notato che, in maniera singolare, il legislatore fallimentare non ha sinora mai dialogato con legislatore del lavoro, sebbene diverse direttive comunitarie abbiano operato nel segno della protezione dei lavoratori.  Nella prima stesura del disegno era presente un riferimento all’art. 3 della legge 223 del 1991, ora non più applicabile (in quanto incompatibile con la cd. l. Fornero).
Non appare oggi pensabile una legislazione a tutela dell’impresa in continuità senza sostegno anche su questo fronte, e ciò pur rifuggendo l’assistenzialismo, perché comunque in passato la normativa faceva sì che lavoratori continuassero ad essere occupati senza riversarne i costi su impresa e creditori.  Attualmente il testo fa riferimento solo a un coordinamento normativo con i sistemi del Jobs act, che però sono insufficienti, se si vuole immaginare di trasferire l’azienda e mantenere inalterato il livello occupazionale (obiettivo invece perseguito dagli altri paesi europei).  Un’impresa in concordato con continuità rischia così oggi di dovere risolvere i rapporti di lavoro, con pesanti effetti sociali e in termini di costi della procedura, perché non sa quanto accantonare in previsione dei recessi ad es. illegittimi.
In senso opposto, si deve però pur tenere presente che si tratta di una legge delega, e il raccordo col diritto del lavoro è complesso, per cui sarebbe servita legge delega a sé. Si è discusso in sede di sottocommissione di questi temi, e comunque nel testo è presente un riferimento a questo tema a livello di principio.
Altro intreccio normativo riguarda la disciplina della partecipazione alle gare pubbliche: si pensi al mantenimento dei requisiti economico finanziari di imprese in caso ad es. di concordato con continuità. Nel testo non è affrontato nel dettaglio il profilo delle  gare pubbliche, al di là di un invito ad  intervenire laddove siano emerse delle incertezze interpretative.
Ancora, è stata richiamata la normativa fiscale. Per le aziende piccole e medie il creditore più difficile da soddisfare è lo Stato, anche perché l’impresa in difficoltà preferisce saldare i fornitori. Nello schema ci sono alcuni accenni al tema, ma il ripensamento del rapporto tra procedura di insolvenza e regime tributario richiederà un esame dedicato, anche perché è coinvolto il Ministero delle finanze, che non è stato coinvolto nella predisposizione del testo.
Vi sono infine altre discipline, ancora più attigue al diritto fallimentare, sui quali occorrerà intervenire: si pensi alla disciplina penale. Quest’ultima risulta al momento ancora meno al passo dei tempi rispetto a quella fallimentare. Dovranno, tra l’altro, essere riscritte le norme incriminatrici che si riferiscono al fallimento, così come si potrà pensare di prevedere, nel caso in cui l’imprenditore, a seguito degli avvisi, non attivi le procedure, un’ipotesi di bancarotta semplice.
Bisognerà comunque porre mano a diverse altre discipline e, del resto, una riforma organica dell’attuale legislazione renderà inevitabile effetti a cascata su altri settori.