Crisi dello Stato e riforma del Consiglio di Stato

Il ricambio della classe dirigente in corso è la risposta del sistema politico alla crisi economica, nella speranza di modernizzare il Paese e di rispondere più efficacemente alle nuove sfide.
La crisi economica ha vari aspetti. È stata analizzata da scienziati sociali, economisti e giuristi con una letteratura ormai sterminata.
Nasce nel 2008 ed è una crisi derivante da una deregolazione del mondo della finanza innovativa, legata all’abuso di alcuni strumenti contrattuali, negoziati sui mercati talvolta anche sottratti a vigilanza.
È una crisi caratterizzata dall’espansione enorme della ricchezza finanziaria rispetto alla ricchezza reale e quindi caratterizzata dall’estrema diffusione di titoli o valori mobiliari che costituiscono segni giuridici a cui talvolta (e spesso) non corrisponde alcun contenuto reale.
Potremmo dire che la crisi è derivata da un uso “fittizio” ed “abusivo” del diritto contrattuale. Tanti contratti privi di contenuto sostanziale. Non è risolvibile se non con l’esaurimento delle vicende economiche sottostanti ad ogni simbolo o segno negoziale (o con la sua segregazione; è il fenomeno –noto– delle bad banks e delle società veicolo). Solo da questo può derivare un nuovo clima di fiducia.
Si dovrebbe limitare l’uso di derivati, estendere la vigilanza sui mercati finanziari deregolamentati e dovrebbe essere contrastato adeguatamente il sistema bancario ombra.
Dal diritto bancario si dovrebbe passare al diritto finanziario con equiparazione dei soggetti bancari e non bancari. Queste misure così radicali, che dovrebbero essere adottate al livello sovranazionale, anche per essere maggiormente efficaci, tardano ad essere adottate a causa della crisi delle istituzioni europee, che si fa sempre più evidente per la connessione delle pressioni migratorie e del terrorismo (in Geopolitica si parla di Caoslandia e della linea degli Stati falliti o comunque gravemente destabilizzati dal Marocco all’Ucraina); la linea di instabilità circonda il mediterraneo creando problemi di sicurezza al nostro Paese[1].
Dalla situazione descritta deriva che vi è bisogno di più Stato e nello stesso tempo di più Europa, di istituzioni statali più forti, capaci di svolgere il loro ruolo, di amministrazioni statali più efficienti e di un Esecutivo più forte (la democrazia governante che è concetto ben diverso dalla democrazia plebiscitaria; si pensi alle difficoltà che avrebbe quest’ultima nell’adottare politiche serie di risanamento finanziario).
L’Europa sta realizzando un’Unione bancaria, con molte differenze e limiti (molti squilibri interni alla stessa costruzione dell’Unione bancaria derivanti dalla mancata attuazione del sistema di garanzia dei depositi).
Le misure di riforma solo economico-finanziarie, peraltro, non appaiono sufficienti a sostenere, in questa fase, il progetto europeo a causa delle tensioni nelle politiche migratorie, dell’incertezza crescente delle politiche economiche (che si riflette nella debole crescita) e di un cammino lento verso una maggiore integrazione politica.
Questo quadro complessivo, macroeconomico e geopolitico, impone comunque, in Italia, la modernizzazione del Paese e delle sue istituzioni, favorita anche dal ricambio in corso delle classi dirigenti che deve avvenire, tuttavia, coniugando adeguatamente passato e futuro.
Le riforme costituzionali ci consegneranno un sistema parlamentare si spera più efficiente, connotato, in analogia alle prevalenti esperienze europee del bicameralismo differenziato, dalla concentrazione della fiducia solo sulla Camera dei deputati e dalla nascita del Senato delle autonomie, dall’abolizione del CNEL, dalla soppressione delle Province nonché dal riordino delle competenza tra Stato e Regioni, che aveva incrementato il contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale.
Manca in questa operazione di ammodernamento istituzionale un intervento sulla forma del partito, quello che Gramsci chiamava il “moderno principe”[2], essendo evidente che è insufficiente il finanziamento pubblico dei partiti, connotato dalla defiscalizzazione in assenza di norme sulla democrazia interna dei partiti, sulle primarie per legge, sulle lobbies, sull’uso dei media. Aperta è ancora la questione dell’uso dei media nell’epoca dei partiti personali e della politica carismatica.
Al di là delle problematiche di ingegneria costituzionale e istituzionale è ancora indefinita la forma della soggettività politica capace di far vivere nella post-modernità il sogno moderno di autodeterminazione individuale e collettiva, disegnato dalla Costituzione italiana e dalle altre Costituzioni europee.
Nell’epoca della globalizzazione il contratto (promosso da agenzie sovranazionali) si sostituisce alle costituzioni e l’amministrazione viene a trovarsi in una posizione di paradossale (talvolta inconciliabile) doppia fedeltà (agli ordinamenti sovranazionali ed a quello nazionale) .
Del pari l’Amministrazione si va ristrutturando e si deve ristrutturare secondo forme nuove, che prevedono il modello della rete come moderno denominatore.
Ciò è già accaduto, se pensiamo ai rapporti tra le amministrazioni nazionali e sovranazionali.
Ed è in gran parte per questo che, nonostante la crisi delle istituzioni europee, è impensabile una loro regressione: esistono reti sociali, libertà di circolazione, oltre a valori in grado di condurre a forme di sempre maggiore integrazione politica e di maggiore unità nella diversità.
In questo quadro il Consiglio di Stato svolge un ruolo cruciale tra amministrazione e giurisdizione. Si pone quale tessuto connettivo di due poteri decisivi nel mondo moderno, che si sono già investiti del processo di modernizzazione della politica.
Prova ne è che le riforme costituzionali non hanno avvertito l’esigenza di incidere sul potere esecutivo e giurisdizionale ma sono principalmente volte a ridisegnare il potere legislativo.
La complessità dell’ordinamento o degli ordinamenti giuridici, per usare una ben nota espressione romaniana, talvolta si traduce in una crisi della legalità, che inevitabilmente si riflette sull’azione delle amministrazioni e delle giurisdizioni, inducendo incertezza del diritto e insicurezza nei mercati e nelle attività economiche.
Sarebbe fatale pensare di risolvere tutto in modo tranchant, quasi si trattasse di tagliare un nodo gordiano, mediante una riduzione delle garanzie costituzionali e dei controlli. In realtà un potere politico moderno si legittima anche nelle Corti, in un processo incessante di dialettica fra astratto e concreto.
Il Consiglio di Stato contribuisce in due modi, come è noto, a questa dialettica: con la funzione consultiva e con la funzione giurisdizionale, entrambe orientate all’azione amministrativa. Entrambe possono rafforzare nello stesso tempo l’azione dell’Esecutivo, che si muove nei binari della legittimità, e rispondere all’esigenza del cittadino di vedere garantita la legittimità dell’attività amministrativa.

È essenziale e inevitabile che il processo di modernizzazione istituzionale riguardi anche il Consiglio di Stato, rivedendo l’assetto organizzativo, riportando ordine in alcuni istituti giuridici, e superandone altri.
Bisogna guardarsi dal disinvestire nella giurisdizione. Questo significa impegnarsi a fornirle mezzi finanziari e risorse umane, ponendo cura alla sufficienza della dotazione finanziaria, ripensando l’autonomia di bilancio del Consiglio di Stato, e provvedendo alla completa copertura dell’organico, sia attraverso l’espletamento dei concorsi pubblici sia attraverso le nomine governative.
Il Consiglio di Stato svolge nello Stato- riguardato nel suo complesso – lo stesso ruolo che nel corpo umano è svolto dai tessuti connettivi, i quali talvolta sembrano, apparentemente, non svolgere funzioni particolarmente importanti e vitali ma in realtà assicurano la nostra integrità fisica.
Il Consiglio di Stato deve sapersi porre in relazione con tutte le istituzioni in grado di produrre soluzioni alternative alle problematiche della postmodernità.
Un ruolo centrale in questa prospettiva deve essere riconosciuto all’Ufficio Studi del Consiglio di Stato, che andrebbe costruito il più possibile in modo analogo all’organismo che potrebbe definirsi “Ufficio Studi” del Consiglio di Stato francese, incaricato di svolgere ampie indagini sulle più importanti problematiche pubbliche, con il compito di riferire al Governo.
In particolare, occorre fare riferimento alle attività della Section du rapport et des études istituita nel 1985 in luogo dell’Ufficio denominato Commission du rapport, risalente al 1963, poi divenuto Commission du rapport et des études dal 1975. La struttura è stata quindi elevata, in un momento successivo, a sezione autonoma del Conseil d’Etat e si colloca ora a fianco delle altre sezioni consultive, sia pure in una posizione del tutto particolare.
Questa sezione è incaricata della preparazione del rapporto annuale, del coordinamento degli studi, della verifica del rispetto giuridico della legislazione europea e dell’esame delle questioni legate all’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato. A questa sezione è affiancata la delegazione dei rapporti internazionali, che ha la missione di coordinare le azioni di cooperazione avviate dal Consiglio di Stato e dalla giurisdizione amministrativa, sia in un quadro bilaterale con le numerose giurisdizioni straniere, sia nel quadro multilaterale offerto dalle associazioni internazionali di giurisdizioni (Associazione internazionale delle alte giurisdizioni amministrative, associazione dei Consigli di Stato e supreme giurisdizioni amministrative dell’Unione europea).
In sintesi la Section du rapport et des études ha le seguenti funzioni istituzionale:
− predisporre il rapporto annuale del Consiglio di stato e concorrere all’apertura dell’Istituto francese verso l’esterno (L’élaboration du rapport annuel et des études);
− coordinare gli studi del Consiglio di Stato, predisposti di propria iniziativa o su richiesta del Primo ministro per portare all’attenzione del Presidente della Repubblica e del Governo questioni di portata generale;
− risolvere le questioni eventualmente legate all’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato e delle altre giurisdizioni amministrative (Exécution des décisions de la juridiction administrative;
− assumere l’iniziativa e il coordinamento delle attività di cooperazione internazionale del Consiglio di Stato.
L’importanza dell’attività di studio, nell’ambito dei compiti istituzionali e della missione del Consiglio di Stato, emerge dall’evoluzione stessa della Section du rapport et des études del Conseil d’État: da gruppi di lavoro informali, con il compito principale di redigere un rapporto pubblico, con cadenza annuale, si è giunti dapprima a creare una struttura permanente, la Commission, e successivamente ad istituire un’apposita sezione consultiva.
In Italia, l’Ufficio Studi ha avuto finora una proiezione prevalentemente interna, curando in modo notevole − essendo stato istituito non da molto tempo − la massimazione delle sentenze, la formazione dei magistrati, l’organizzazione di incontri di studio con altri magistrati amministrativi di Paesi stranieri, lo scambio di magistrati tra istituzioni e giurisdizioni di diversi Paesi.
Come si evince dall’esperienza francese, tuttavia, l’Ufficio Studi ha, per sua stessa natura, anche una vocazione esterna, che se colta dall’Esecutivo e adeguatamente supportata dai rappresentanti dell’Istituto, che vi devono profondere il massimo impegno, potrà dare contributi decisivi allo sviluppo dei saperi necessari per coltivare un riformismo intelligente e produttivo, creando uno dei luoghi di eccellenza della classe dirigente.
Altro aspetto di particolare importanza nel processo di modernizzazione del Consiglio di Stato è rappresentato dall’informatizzazione.
Occorre continuare su una strada che in passato ha visto il Consiglio di Stato all’avanguardia rispetto alle altre giurisdizioni e che richiede attenzione costante, data la rapidità di sviluppo degli strumenti tecnologici e delle loro potenzialità, che vanno colte e non vissute come un intralcio.
Naturalmente l’informatica è uno strumento e non un fine.
Ciò richiede l’elaborazione di linee guida del processo di modernizzazione che ponga l’informatizzazione al servizio del giudice ed eviti che si verifichi una forma di cieca dominanza della tecnica sulle ragioni del processo, sicché il processo si possa giovare della tecnica e non la tecnica possa soffocare il processo.
Il processo telematico è alle porte e costituisce la sfida principale della giustizia amministrativa e dei processi amministrativi. La complessità degli adempimenti ad esso collegati è chiara ed evidente a tutti.
La bontà delle scelte andrà misurata sul piano delle ricadute operative, che si avranno nel lavoro quotidiano dei giudici e dei difensori, nonché nella misurazione dei tempi di risoluzione delle controversie.
Molto è stato fatto per migliorare e abbreviare i tempi della giustizia amministrativa, soprattutto con l’introduzione dei riti differenziati sul modello del processo civile, ridisegnato, sin dagli anni settanta, dal prof. Proto Pisani, che è stato un teorico della tutela differenziata.
Tuttavia, i tempi di svolgimento dei processi a rito ordinario non sono ancora soddisfacenti. Accade di frequente, infatti, di violare l’art. 6 CEDU sulla durata ragionevole del processo. Ciò evidenzia come i meccanismi di perenzione del processo, legata alla pendenza ultraquinquennale pongano a ciò solo parziale rimedio.
Occorre elaborare misure di smaltimento dell’arretrato, di incentivazione alla produttività dei magistrati impegnati in questi compiti, strumenti di eventuale aggregazione di magistrati laici investiti temporaneamente di funzioni di smaltimento dell’arretrato, nell’ambito di un’apposita commissione, da reclutare, per ausilio del giudice primo grado, tra dirigenti amministrazioni pubbliche senza incarico e docenti universitari anche non di prima fascia.
Andrà, altresì, costituito l’Ufficio del giudice, composto, sul modello del giudice ordinario, da stagisti e laureati in post-dottorato, che possono in tal modo integrare l’esperienza di studio con l’esperienza professionale, ausiliando il giudice. A coloro che hanno fatto tale esperienza potrà essere riconosciuto un punteggio nei concorsi in magistratura e in avvocatura dello Stato e nell’avvocatura di altre amministrazioni.
Va ripensato, inoltre, il reclutamento dei magistrati, introducendo prove scritte ed orali che diano maggior spazio alle scienze economiche, pur attualmente presenti (si pensi alla prova di scienze delle finanze). Si potrebbe richiedere un esame orale di economia pubblica e lo studio dell’analisi economica del diritto.
Nello stesso tempo il giudice dovrebbe avere una formazione più umanistica, sicché potrebbe introdursi un esame di storia non solo giuridica, lasciando al candidato la scelta tra la storia moderna e la storia contemporanea.
Queste sensibilità economico-scientifiche e umanistiche dovrebbero essere coltivate in tutto il percorso di formazione del magistrato in modo permanente e non solo all’atto del reclutamento, soprattutto attraverso lo scambio di magistrati di diverse Paesi e lo studio delle lingue nonché del diritto europeo e internazionale. Solo attraverso una formazione mirata, permanente e poliedrica, i magistrati di ogni Stato membro divengono consapevoli delle dinamiche del diritto globale.
Come ha affermato W Bejamin nel suo saggio su Kafka del 1934, infatti, «la porta della giustizia è lo studio».
In una visione complessiva, occorre quindi rilanciare la funzione consultiva, concentrandola prioritariamente sugli atti normativi. Il Consiglio di Stato intende dare un contributo essenziale all’affinamento del contenuto dei decreti attuazione della riforma Madia; contributo che deriva dalla giurisprudenza e dalla conoscenza secolare della vita amministrativa e della giustizia italiana.
Il ricorso straordinario , strumento essenziale di prevenzione delle liti, in fondo paragonabile alle forme di degiurisdizionalizzazione sperimentate di recente nel processo civile di cui costituisce una sperimentazione ante litteram, va potenziato e ripensato tenendo conto anche della sua natura amministrativa, evidente sul piano formale.
In questo senso, il ricorso straordinario al Capo dello Stato va mantenuto quale principale strumento alternativo di risoluzione delle controversie, che l’amministrazione pone a disposizione del cittadino. In tale prospettiva, il relativo contributo unificato relativo potrebbe essere adeguatamente ridotto per incentivarne l’uso, perlomeno in talune materie.
Il Segretariato generale del Consiglio di Stato dovrebbe essere dotato di dirigenti esperti in economia, statistica, giurisdizione, al fine di fornire dati sempre aggiornati all’organo di autogoverno, competente ad adottare necessarie decisioni in tema di politica del diritto.
In ultimo, occorre istituire un Ufficio stampa e della comunicazione che spieghi, all’occorrenza, all’opinione pubblica l’esatta portata delle decisioni giurisdizionali.
In ultimo in sede giurisdizionale occorrerà lavorare sulla questione cruciale della responsabilità, di concerto con la Cassazione, in un dialogo delle magistrature superiori che potrebbe trovare significativi momenti di avvio in una riforma, possibile a costituzione vigente anche mediante legge ordinaria, delle Sezioni Unite che preveda una composizione mista, con la presenza anche di consiglieri di Stato e consiglieri della Corte dei Conti, anche se in misura non maggioritaria.
L’elaborazione di una nuova grammatica della responsabilità della sfera pubblica per la post-modernità costituisce un compito ineludibile per i magistrati ordinari ed amministrativi nella speranza di conservare un equilibrio fra l’esigenza di accountability dell’amministrazione e la salvaguardia della sua autonomia, a presidio dello Stato di diritto, dalla aggressività dei poteri privati interessati a superare il modello di Stato sociale affermatosi in Europa.
Non è estraneo a questo problema anche il tema della responsabilità civile del giudice, che impone la precisazione, sul piano applicativo, delle condizioni per la sua effettività, specie in relazione alla nozione di “violazione di legge” (che dovrebbe essere ancorata all’attribuzione alla disposizione di un significato del tutto incompatibile con il suo testo).
La responsabilità del giudice, peraltro, non è solo civile; è auspicabile un rafforzamento della responsabilità disciplinare ed è chiaro che la via della costituzione di un’Alta Corte di Giustizia, sul modello della Corte Costituzionale, mediante una riforma costituzionale potrebbe essere positivamente valutata ai fini del superamento della condizione attuale del giudizio disciplinare che presenta il rischio di cortocircuiti fra organi di autogoverno e sindacato giurisdizionale sugli atti dei medesimi.

Note

1. In proposito, in “Ultime dalla terra di Hobbes”, editoriale del numero 9/15 di Limes “Le guerre islamiche”, si evidenzia che «spicca la bipartizione del pianeta fra terre dell’ordine e spazi del caos. Noi italiani siamo in bilico fra i due mondi, con testa e torso (il Nord-Centro) ancora radicati nell’Europa relativamente ricca e regolata, mentre gli arti inferiori (lo sfortunato Mezzogiorno) sembrano sul punto di staccarsene, battuti dalle onde di Caoslandia. Termine con il quale indichiamo quel vasto spazio color lilla che corre dall’America centrale all’Africa fino all’incrocio degli Oceani Indiano e Pacifico.
Qui si concentrano conflitti d’ogni genere, traffici clandestini, imprese terroristiche, minacce all’ambiente, dunque agli habitat umani. E di qui muovono le migrazioni che tanto ci inquietano – solo la punta dell’iceberg, visto che oltre quattro quinti dei flussi dirigono da un punto all’altro di Caoslandia, lungo direttrici sud-sud».
Inoltre, nell’editoriale “La differenza fra l’Italia e il mondo” n. 11/2013 di Limes “Che mondo fa”, si sostiene che «l’Italia si trova oggi nell’occhio del ciclone prodotto da tre crisi: Eurozona, Grande Mediterraneo e Balcani (…). Tali crisi sono intrecciate e distinte. L’europea e la grande-medi-balcanica, entrambe in fase acuta, hanno un impatto globale. La balcanica, in molto artificiosa sedazione, tende ad autocontenersi, non riguarda il resto del pianeta a meno di non estendersi alla Russia. Il combinato disposto delle tre crisi impatta sul nostro paese e ne scuote le radici. La prima ci inchioda al piano inclinato della deflazione o ci invita al salto senza rete della fuoriuscita dall’euro. Le altre, massime il grande tsunami sul fronte Sud, premono anzitutto sulla nostra tenuta istituzionale e sociale, in definitiva sulla sicurezza nazionale. (…) Quanto minacciosa sia la tempesta che ci avvolge lo cogliamo meglio allargando lo sguardo. Per scoprire che l’area delle tre crisi lambisce il vasto spazio caotico che battezziamo terre incognite o Caoslandia. (…) Le terre incognite dilagano lungo la fascia equatoriale e investono gli spazi tropicali – lascito del doppio trauma delle colonizzazioni e delle pseudo-decolonizzazioni – salvo espandersi il Nord veterocontinentale, sempre meno ricco e benestante. Sovrapponendo la mappa delle aree a massima densità di slums nel mondo (…) alla nebulosa di Caoslandia ci rendiamo conto del potenziale esplosivo racchiuso nelle aree a urbanizzazione selvaggia che infestano le terre incognite. L’Italia è la cerniera che separa il Nord da Caoslandia. Sempre più a stento. Penetrando le porose frontiere nazionali, i micidiali flussi generati nelle aree non governate vicine e lontane – dal narcotraffico al calvario di profughi e migranti alle infiltrazioni mafiose – si diffondono nel nostro tessuto sociopolitico. Se queste correnti d’instabilità si saldassero in modo permanente con le fragilità endogene, riassunte nella delegittimazione delle istituzioni democratiche e della politica tout court, il futuro del nostro Paese ne sarebbe compromesso. (…) Qualcuno potrebbe essere tentato di imputare tutti i nostri mali, depressione economica in testa, al dilagare dell’instabilità geopolitica, esterna e domestica. Applicando al caso Italia le ultime scoperte delle scienze tristi: lo scorso anno, due eminenti accademici, l’economista Daron Acemoglu e il politologo James A Robinson, hanno scalato le classifiche della saggistica occidentale certificando in cinquecento pagine che la differenza fra ricchi e poveri non la fanno culture, climi o antropologie, ma le istituzioni politiche. Il teorema di Acemoglu-Robinson stabilisce che le nazioni falliscono quando le architetture statali non funzionano. A noi ingenui la dimostrazione parrà circolare, ma il successo di pubblico e critica ammette ormai Acemoglu e Robinson alla gloriosa famiglia dei Fukuyama, degli Ohmae e degli Huntington. Ed è soprattutto attraverso il prisma dell’inaffidabilità istituzionale, nobilitato dai citati teorici, che i nostri europartner ci scrutano: quanto potrà resistere la nostra economia, quanto il nostro Stato, al ciclone delle tre crisi ? Proviamo a incrociare il nostro punto di vista sulle terre incognite con quelli dei due supermassimi geopolitici, Stati Uniti e Cina. Quegli opachi spazi ingovernati sono ai loro occhi altro da ciò che paiono a noi: incarnano il cuore selvaggio della competizione planetaria in cui sono impegnati. Allo stesso tempo, la relazione con Caoslandia illumina i termini della competizione per il primato mondiale che (…) le élite americane e cinesi si ostinano a perseguire. Con risorse, mentalità e modalità piuttosto asimmetriche.[…]».

2.  A. Gramsci osserva che nell’epoca moderna il principe di Machiavelli può essere solo un organismo complesso, che esprima una volontà collettiva. Questo organismo è il partito politico. In particolare, in Il Moderno Principe. Il partito e la lotta per l’egemonia, in Noterelle sulla politica di Machiavelli – Quaderno 13 (a cura di C. Donzelli), pagg. 92-97, Roma 2012, Gramsci sostiene che «il moderno principe, il mito-principe, non può essere una persona reale, un individuo concreto; può essere solo un organismo; un elemento di società complesso nel quale già abbia inizio il concretarsi di una volontà collettiva riconosciuta e affermatasi parzialmente nell’azione. Questo organismo è già dato dallo sviluppo storico ed è il partito politico: la prima cellula di cui si riassumono dei germi di volontà collettiva che tendono a divenire universali e totali. Nel mondo moderno solo un’azione storico-politica immediata e imminente, caratterizzata dalla necessità di un procedimento rapido e fulmineo, può incarnarsi miticamente in un individuo concreto; la rapidità non può essere resa necessaria che da un grande pericolo imminente, grande pericolo che appunto crea fulmineamente l’arroventarsi delle passioni e del fanatismo, annichilendo il senso critico e la corrosività ironica che possono distruggere il carattere “carismatico” del condottiero (ciò che è avvenuto nell’avventura di Boulanger). Ma un’azione immediata di tal genere, per la sua stessa natura, non può essere di vasto respiro e di carattere organico: sarà quasi sempre del tipo restaurazione e riorganizzazione e non del tipo proprio alla fondazione di nuovi Stati e nuove strutture nazionali e sociali (come era il caso nel Principe del Machiavelli, in cui l’aspetto di restaurazione era solo un elemento retorico, cioè legato al concetto letterario dell’Italia discendente di Roma e che doveva restaurare l’ordine e la potenza di Roma), di tipo “difensivo” e non creativo originale, in cui, cioè, si suppone che una volontà collettiva, già esistente, si sia snervata, dispersa, abbia subìto un collasso pericoloso e minaccioso ma non decisivo e catastrofico e occorra riconoscerla e irrobustirla, e non già che una volontà collettiva sia da creare ex novo, originalmente e da indirizzare verso mete concrete sì e razionali, ma di una concretezza e razionalità non ancora verificate e criticate da una esperienza storica effettuale e universalmente conosciuta».