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Il processo di Vienna per la Siria: quali prospettive?

di - 19 Gennaio 2016
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Per il resto, il governo di Assad e i paesi della regione che lo sostengono, cioè l’Iran, i suoi alleati sciiti del Libano e dell’Iraq e la Russia, considerano di stampo terrorista non solo queste due organizzazioni ma tutti i gruppi armati che contestano la legittimità del regime, senza distinzioni fra estremisti e moderati, religiosi e secolari. Secondo questo schieramento, perciò, in sostanza è terrorista chi si oppone al regime[4]. In questa prospettiva, l’aviazione russa colpisce tutti senza distinzioni, anzi – coerentemente alla sua strategia di cambiamento degli equilibri militari fra Damasco e le opposizioni – colpisce più queste ultime che l’ISIS.
Al contrario, i paesi arabi sunniti, la Turchia e quelli occidentali, mentre definiscono come organizzazioni terroristiche l’ISIS e Jabhat al-Nusra, non considerano tali la gran parte degli altri e mantengono un atteggiamento pragmatico.
La selezione dei gruppi di opposizione secondo il criterio del terrorismo è apparsa ben presto un vicolo cieco. Difficile oggettivare il terrorismo e, anche se lo fosse, non c’è ponte fra criteri oggettivi e criteri politici.
Nel tentativo di uscire dal prevedibile stallo, l’Arabia Saudita ha preso l’iniziativa di organizzare a Riyadh il 10 dicembre una conferenza dei gruppi di opposizione siriani, sia militari sia politici, con l’obbiettivo di formare la delegazione delle opposizioni prevista dalla Dichiarazione di Vienna sulla base dell’accettazione delle finalità da essa stabilite (una Siria integra, indipendente, non discriminatoria e democratica) piuttosto che della qualificazione in termini di terrorismo. Ha inteso con questo creare un fatto politico compiuto, aggirando l’identificazione dei terroristi.
La conferenza ha avuto risultati diseguali, comunque interessanti. Da un lato, ha messo in evidenza una larga accettazione fra i gruppi delle finalità indicate dall’ISSG e, quindi, un’inedita tendenza favorevole alla moderazione e alla coesione fra le opposizioni, quindi al successo del Processo. Detta coesione si è manifestata con la formazione di una rappresentanza unificata dei gruppi ai negoziati, destinata a parlare con una sola voce,  secondo quanto richiesto dall’ISSG. In effetti, i gruppi presenti a Riyadh hanno nominato una Commissione che ha designato (con qualche difficoltà) i delegati per i colloqui che inizieranno il 25 gennaio prossimo.
D’altro lato, però, la conferenza di Riyadh non ha incluso due importanti attori dell’opposizione: i curdi e Ahrar al-Sham al-Islamiyyah (Movimento Islamico dei Liberi Uomini di Siria) – un gruppo salafita radicale, importante quasi quanto Jabhat al-Nusra, che nel corso del 2015 ha dato segni di moderazione. Ma Ahrar al-Sham alla conclusione della conferenza si è mostrato spaccato: il suo rappresentante a Riyadh ha firmato ma i suoi capi in Siria lo hanno smentito[5]. I curdi, d’altra parte, hanno subìto un veto a partecipare da parte della Turchia (che li considera dei terroristi per ragioni sue proprie, non aventi a che fare con la Siria). I curdi si sono riuniti quindi per conto loro a Rumeilan (nell’area curda del nord-est siriano) e forse non è loro dispiaciuto di mantenere un proprio profilo autonomo rispetto alle opposizioni siriane non curde. Va sottolineato che l’esclusione dei curdi non è accettata dai russi, che insistono per una loro partecipazione al negoziato se non come parte della delegazione solo “sunnita” promossa da Riyadh – che però non vuole una delegazione inclusiva – almeno come una terza delegazione. Va da sé che questa è un’ulteriore complicazione.
La conferenza di Riyadh ha perciò partorito un’opposizione più  moderata e coesa ma meno politicamente significativa di quanto i sauditi si attendevano e soprattutto di quanto fosse necessario a influenzare le regole del gioco. È un risultato, tuttavia, che nel prossimo futuro potrebbe rivelarsi importante e di cui Damasco, i russi e l’Iran potrebbero dover tener conto.
Come abbiamo già sottolineato, è certamente sbagliata – anche sul piano storico – l’idea di definire oggettivamente i terroristi onde escluderli dal negoziato. Fa più senso, il criterio – a parte ISIS e Jabhat al-Nusra – che i gruppi si autoeleggano sulla base di un’accettazione dei principi e delle finalità stabilite dalla Dichiarazione di Vienna e dalla Risoluzione 2254 e diano poi prova di rispettarli accettando il “cessate il fuoco” e negoziando in buona fede nel quadro del Processo. Questo è quello che in fondo ha suggerito Riyadh ed è quanto è stato poi più esplicitamente proposto, nell’ambito dei successivi colloqui dell’ISSG, da alcuni membri come USA e Gran Bretagna. Ma né i risultati di Riyadh né i suggerimenti intervenuti nell’ambito dei colloqui dell’ISSG  sono stati accettati da Damasco e dai suoi alleati.
Perciò, come già detto, la questione è rifluita, irrisolta, nelle mani di de Mistura. In questo quadro, respinta l’iniziativa saudita e falliti i colloqui al Lotte Palace Hotel, al principio del 2016 l’ambasciatore ha accennato all’eventualità che i negoziati debbano iniziare nella forma di “proximity talks”, con lui in mezzo a due delegazioni che non si riconoscono e non parlano direttamente tra di loro, il che non sarebbe certo un inizio confortante. Le notizie più aggiornate all’avvinarsi del 25 gennaio dicono che l’inaugurazione del negoziato è assai probabilmente destinata a slittare.
In conclusione, mentre è chiaro che i negoziati iniziano senza aver sciolto il nodo dei “terroristi”, che cosa pensare della delegazione delle opposizioni che si è formata nella prima fase? Nello schieramento avverso a Damasco si sottolinea con favore la coesione raggiunta dalle opposizioni a Riyadh e la si valuta come la premessa necessaria a coagulare sotto una leadership, anch’essa più coesa, la maggioranza dei combattenti sul terreno. Si deve però notare che il sostegno a una delegazione sunnita invece che nazionale – esclusiva cioè dei curdi – non facilita le cose oggi e presenta un quadro frammentato e instabile per la Siria nuova che si vuole edificare.
Dall’altra parte, l’idea di Damasco, Teheran e Mosca che una delegazione composta da gruppi insignificanti o dalle così dette opposizioni “sane” e “patriottiche” sia un fattore favorevole al regime non ha molto senso, poiché, se così dovesse essere, l’opposizione non sarebbe un interlocutore credibile della trattativa e i problemi insurrezionali nel paese non sarebbero superati. Inoltre, una delegazione debole e non sufficientemente rappresentativa non potrebbe portare a un significativo “cessate il fuoco” sul terreno e, in tal caso, alcun negoziato sarebbe destinato a svolgersi e, tanto meno, ad avere successo.
Nell’insieme, persiste fra le parti un dissenso di fondo in merito alla legittimità del regime e una dura contrapposizione fra gli interessi delle potenze esterne che vogliono mantenerlo in vita e quelle invece che vogliono estrometterlo. Tale dissenso è una mina pronta a saltare e pregiudicare l’intero Processo. Se questa è la natura del dissenso, è allora evidente che il nocciolo duro della crisi è il ruolo di Assad, del quale è ora necessario parlare.

Il ruolo di Assad nel Processo – Gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno sin dall’inizio della crisi sostenuto che Assad e il suo regime dovevano farsi da parte lasciando le opposizioni accordarsi per governare. La Russia e l’Iran, anche se con motivi diversi l’una dall’altro, hanno invece come obbiettivo la permanenza del regime e di Assad al potere e l’eliminazione di ogni opposizione.

Note

4.  Assad – e in buona parte anche Mosca – fanno riferimento ad un’opposizione “sana” o “patriottica”. Di questa opposizione sono senza dubbio parte i piccoli partiti e gruppi riuniti nel Comitato di Coordinamento Nazionale, da sempre critici del regime baathista ma convinti della sua fondamentale legittimità e quindi tollerati dal regime. Potrebbero finire per farne parte anche i curdi siriani che hanno sin qui mantenuto sul piano politico una posizione autonoma dalle opposizioni siriane.

5.  Sull’evoluzione di Ahrar al-Sham si veda Sam Heller, “Ahrar al-Sham’s Revisionist Jihadism”, War on the Rocks, September 30, 2015, http://warontherocks.com/2015/09/ahrar-al-shams-revisionist-jihadism/; alla prova dei fatti però è emerso che c’è una tendenza moderata all’interno dell’organizzazione ma non una sua evoluzione moderata.

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