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Alessandro Pajno, Intervento su xenofobia e nazional-populismo

di - 23 Dicembre 2015
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Si tratta di accettare questo tipo di semplificazione e capire sostanzialmente qual è il modo con il quale questa semplificazione non diventa solo banalizzazione, cioè una incapacità di trovare poi il senso delle cose.
Da questo punto di vista, la questione dei movimenti xenofobi è, secondo me, una risposta sbagliata ad una domanda giusta. Non so se riesco a rendere l’idea. Si tratta di una risposta che mette sul piano emotivo un problema che invece è strutturale e si pone sul piano dell’intelligenza, cioè il rapporto tra queste forme di modernizzazione semplificatrice e la perdita di identità che ne può derivare.
Allora il nostro problema è, ovviamente, non seguire questa tesi e quindi questa prospettiva, non mettersi (come ricordato prima) in modo antagonistico rispetto a queste, quasi a volere fronteggiare due scontri di civiltà, ma mettersi insieme a capire quali sono le ragioni di questo malessere e cercare di vedere quali sono i profili cui, rispetto a questo malessere, si può venire incontro.
Da questo punto di vista, la sequenza continuava dicendo: capitalismo, modernizzazione, comunicazione. Perché anche la comunicazione è una forma di comprensione, addirittura interattiva.
In realtà si comunica sempre abbassando il livello della comprensione: per rendere più accessibile la mia comunicazione io devo, in qualche modo, diminuire la qualità del mio discorso e, quindi, questa comunicazione ha dentro di sé una perdita di identità.
Alla base di questo poi stanno (lo ricordavate pocanzi) i fallimenti di due storiche forme di integrazione che abbiamo riconosciuto. Oggi dobbiamo dire che siamo di fronte al fallimento della proposta di integrazione alla francese, cioè l’abolizione sostanzialmente di qualunque segno identitario, ma anche della proposta di integrazione britannica, cioè quella di costruire un’integrazione tra comunità. La verità è che né l’una né l’altra sono riuscite a dare una risposta a questo problema che pure esiste.
Questo è un problema. Io non sono uno storico, ma mi pongo delle domande. Per esempio, data l’esperienza degli Stati Uniti quale paese che nasce sul Melting Pot, anche se poi alla base di questo Melting Pot c’è un fondo più solido, non potremmo cercare di capire perché alcune realtà sono riuscite nel tempo a meglio integrare e perché invece noi siamo in questa situazione di ritardo?
Io credo che la risposta che dobbiamo cercare sia soprattutto sul piano delle politiche. Ovviamente vanno fatte le scelte che le politiche del momento indicano; dobbiamo però essere consapevoli che sta cambiando il quadro politico. Noi stiamo passando da forme di parlamentarismo a forme in cui il ruolo degli esecutivi è destinato ad aumentare, e questo succede sempre quando i paesi si fanno più ampi. Da questo punto di vista abbiamo, quindi, un problema di responsabilità di questi esecutivi rispetto alla legittimazione.
Sul piano della risposta, io credo che bisogna sfuggire alla trappola che gli integralismi ed anche le xenofibie hanno architettato. Cioè non rispondere, perché in realtà queste forme incitano a rispondere allo stesso modo, quindi incitano a realizzare una parità tra una dimensione di pancia ed una dimensione che aspira invece ad essere razionale, di testa.
Noi dovremmo cercare di avere delle risposte che in qualche modo non seguano questa dinamica, quindi che non rispondano alzando il livello dello scontro, della violenza, ma che rispondano cercando laicamente di soddisfare interrogativi più piccoli, più modesti, ma che messi accanto nel tempo possano continuare.
Da questo punto di vista la prognosi non è fausta perché, dobbiamo dirlo con franchezza, la situazione non è di quelle facili. Quello che ci può aiutare è pensare che queste situazioni (chi studia storia questo lo sa meglio di me) forse ci sono già state e qualche risposta in passato è stata anche data.

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