Luigi Cavalchini, Intervento su xenofobia e nazional-populismo
Ringrazio il collega Salleo per averci fornito un quadro esaustivo della situazione attuale. Vorrei, però, soffermarmi sulle cause dei fermenti xenofobi sviluppatisi soprattutto negli ultimi tempi.
Dobbiamo ricondurli tutti alla crisi economica e finanziaria, che è una delle più lunghe, se non la più lunga, che abbiamo conosciuto nel corso della nostra storia? O sono riconducibili anche ad altre cause, cioè alla incapacità di gestire la situazione dal punto di vista politico?
Pensiamo all’atteggiamento dell’ Occidente nei confronti della crisi siriana: dove ci siamo trovati nella posizione, a dir poco scomodissima, di combattere nello stesso tempo il regime di Bashar al-Assad ed i nemici di quest’ultimo!
Quindi, al di là dei problemi connessi con la crisi economica e finanziaria, è mancata finora una leadership politica capace di gestire situazioni diventate ingovernabili non soltanto in Siria e in Iraq.
Infatti, è di pochi giorni fa la notizia degli aiuti finanziari che sarebbero stati forniti dagli Emirati Arabi alle formazioni che combattono l’ISIS in Libia; contravvenendo così ad una precisa Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Voglio dire con ciò che queste “macchinazioni” (cioé gli “aiuti” forniti a forze combattenti i terroristi in spregio anche delle regole internazionali) poco hanno a che fare con la crisi economica e finanziaria.
Parliamo, ora, dell’Italia. Da noi, ma non soltanto da noi, i partiti politici hanno perduto il peso che avevano quando eravamo un po’ più giovani. I partiti erano portatori di valori e di ideali convergenti sulla finalità da perseguire, quella cioè del benessere della società da governare; salvo, poi, a divergere sugli strumenti più idonei a raggiungere l’obiettivo ultimo, che per gli uni era l’economia di mercato e per gli altri l’economia di Stato, o, ancora, un mixing tra le due. Si ha l’impressione, oggi, che ai partiti si siano sostituiti gruppi portatori d’interessi specifici.
Insomma, la crisi economica e finanziaria mondiale è stata un po’ come la scintilla che ha appiccato il fuoco ad una struttura societaria non più in grado di raccogliere le sfide globali che abbiamo davanti a noi. Di fronte a queste sfide che sono epocali, l’Occidente si trova impreparato e ricorre talvolta a soluzioni che non tengono nel dovuto conto i mutamenti legati all’emergere, di fronte alla “frammentazione” degli Stati-Nazione, di una società senza frontiere. Così, processi di assimilazione forzata – e ricordo che negli anni novanta Parigi diede la cittadinanza francese a centinaia di migliaia di algerini stabiliti in Francia – hanno carattere antistorico proprio perché non tengono conto, in nome di una malintesa applicazione del principio dell’identità nazionale, dell’arricchimento derivante dall’incontro tra realtà etniche e culturali diverse.
Insomma, in Europa si è molto parlato d’integrazione, anche in termini di fornire ai rifugiati “nidi dorati”: non si è invece mai parlato di multiculturalismo che, in un mondo globalizzato, è la realtà con la quale noi, che abitiamo un Continente “impoverito” dall’invecchiamento, dobbiamo fare i conti.
La nascita di questi movimenti xenofobi e/o nazional populisti è il risultato delle insufficienze di una leadership all’altezza della gravità della situazione e della disgregazione dei sistemi politici che non si arresta al nostro Paese: basti pensare alla Francia (e ai successi del Front National), alla Polonia (con la vittoria alle recenti elezioni della destra anti-europea), all’Ungheria (con la costruzione in settembre di una recinzione di reti e filo spinato alla frontiera con la Serbia) per non parlare del Regno Unito (con la proposta del Primo Ministro di fare accettare a Bruxelles condizioni per restare nell’Unione difficilmente accettabili) per rendersene conto.
Questo, mi pare, sia un po’ il punto. Qui, se ci sono delle responsabilità queste sono in gran parte di tutti noi. I fermenti xenofobi, che giustamente Salleo chiama nazionalpopulisti, hanno trovato un terreno facile per attecchire nel bel mezzo di una crisi protrattasi nel tempo ma che trovano la loro radice nell’impreparazione della Politica (con la P maiuscola) per esercitare la funzione di governance in presenza di un paradigma da costruire.
L’Occidente, in particolare l’Europa, è rimasta completamente assente di fronte alle vicende che sono a noi contigue, che sono quelle del Medio Oriente. La Politica Estera e di Sicurezza Comune contemplata dal Trattato di Lisbona non ha finora trovato adeguata attuazione.
In tema di eguaglianza di trattamento, ricordo che recandoci proprio a Damasco, all’epoca in cui Presidente era Hafiz al-Assad, era stato organizzato, su iniziativa del nostro Ministro degli Esteri, un incontro con la Comunità ebraica locale. Avendo chiesto ai loro rappresentanti come vivevano sotto quel regime, rimanemmo colpiti dalla risposta che ci diedero e cioè che vivevano benissimo soprattutto perché i giovani ebrei siriani erano esentati dal prestare il servizio militare: un servizio che, se ben ricordo, durava quasi cinque anni! I tempi, purtroppo, cambiano in peggio perché non ritengo che oggi in Siria la Comunità ebraica viva come viveva venti-venticinque anni fa.
Dal punto di vista economico, Pierluigi Ciocca ci insegna che la produttività del lavoro ha subito una caduta in quasi tutti i Paesi europei e, in particolare, in Italia. Di questa caduta è responsabile la mancanza di conoscenza e di formazione. Insomma, ci si preoccupa troppo del ciclo e ci si occupa molto meno di creare le condizioni di un mondo migliore, che richiedono, evidentemente, misure di medio e lungo periodo. Questo è un problema che tocca tutti i fattori della produzione, dal lavoro al capitale.
Con riferimento infine alle migrazioni, sono stato ad Antalya per il B- G20, che ha preceduto il G20. Ho parlato con i colleghi sia turchi sia tedeschi per cercare di meglio d’afferrare le motivazioni che avevano consigliato ad Angela Merkel di recarsi ad Istanbul una settimana prima delle elezioni. Mi è stato detto che la Cancelliera tedesca temeva fortemente che la libera circolazione delle persone – uno dei capisaldi dell’integrazione europea – “saltasse” a causa delle iniziative adottate da alcuni Stati Membri dell’Unione di innalzare reticolati alle loro frontiere interne. Di qui la pressante richiesta della Merkel a Erdogan di dare accoglienza a due milioni di rifugiati siriani (oltre ai quasi due milioni già presenti sul territorio turco): accoglienza che sarà assicurata dalla promessa di versare a Istanbul circa tre miliardi di euro prelevati dalle casse di Bruxelles. Di qui l’impegno preso in cambio dalla Merkel d’appoggiare la richiesta avanzata da Erdogan d’aprire ancora entro dicembre di quest’anno il negoziato sul capitolo 17 (unione economica e monetaria) relativo all’adesione della Turchia all’Unione.
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