Interrogativi sul ricorso della Francia alla clausola di difesa collettiva ex art. 42.7 TUE

  1. Il presidente Hollande, dopo gli attacchi terroristici a Parigi, ha invocato l’aiuto degli altri Stati dell’Unione ai sensi dell’art. 42.7 TUE. È la prima volta che questa norma viene chiamata in causa; non stupisce quindi che l’iniziativa francese faccia sorgere una serie di interrogativi. Occorre verificare, in particolare, quale sia la portata dell’art. 42.7 TUE e quali i rapporti con norme in qualche modo concorrenti, come l’art. 5 del Trattato Nato e l’art. 222 TFUE. C’è da chiedersi poi per quali ragioni Hollande abbia optato per l’art. 42. 7, piuttosto che per queste altre norme, e quali siano le implicazioni di questa scelta per l’Europa.
  2. L’art. 42.7 TUE fa obbligo agli Stati membri di prestare “aiuto e assistenza” a un altro Stato membro che abbia formato oggetto di “un’aggressione armata nel suo territorio”. Quest’ultima espressione non evoca direttamente eventi di terrorismo. Sembra piuttosto riferirsi alle situazioni più tradizionali di un’aggressione territoriale a uno Stato da parte di armate di uno Stato estero. È in questo senso del resto che depone, in tema di legittima difesa, l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, espressamente richiamato dall’art. 47.2. L’art. 51 parla infatti di “attacco armato” contro uno dei membri delle Nazioni Unite. Tuttavia da tempo si sta affermando un’interpretazione più lata del termine “aggressione”, per comprendervi, ad esempio, attacchi ai sistemi di comunicazione di un Paese. Non esistono dunque preclusioni a farvi rientrare anche atti terroristici. D’altra parte, nel prendere atto della richiesta francese, i ministri della difesa dell’Unione, riuniti a Bruxelles in sede di Consiglio, hanno confermato unanimi di voler adempiere all’obbligo derivante dall’art. 42.7 TUE. La possibilità di ricorrere a questa norma in ipotesi di terrorismo deve ritenersi quindi ormai acquisita.
  3. L’Unione non è presa in considerazione nel dettato normativo dell’art. 42.7: destinatari dell’obbligo di aiuto e assistenza sono solo gli Stati Membri; e all’Unione non è nemmeno attribuito un compito di coordinamento degli interventi degli Stati Membri. Ci si può chiedere se un ruolo dell’ Unione possa essere comunque recuperato malgrado il silenzio della norma. Il principio di attribuzione parrebbe escluderlo, in quanto si oppone all’esercizio da parte dell’Unione di competenze che non le sono espressamente attribuite. Inoltre, gli Stati sono particolarmente sensibili a proteggere le prerogative nazionali in materia di sicurezza e difesa. Ma non si può escludere una prassi evolutiva, come è avvenuto in altri settori; e fors’anche si potrebbe pensare a un ricorso alla clausola di flessibilità dell’art. 352 TFUE (che richiede comunque una delibera unanime del Consiglio). Fin qui, comunque, nessuno Stato ha mostrato particolare interesse a coinvolgere l’Unione e iniziative in questo senso non sono venute nemmeno dalla Commissione o dal Parlamento Europeo.
  4. L’obbligo di aiuto e di assistenza deve essere prestato dagli Stati membri “con tutti i mezzi in loro possesso”. L’art. 42.7 TUE non fornisce altre precisazioni. Ne consegue che le modalità di assolvimento dell’obbligo devono essere negoziate in buona fede: non possono essere determinate unilateralmente dallo Stato richiedente, ma nemmeno formare oggetto di irragionevoli dinieghi da parte degli altri Stati. Tutti sono tenuti a conformarsi al generale principio di leale collaborazione. Si può procedere con accordi bilaterali o con accordi fra lo Stato richiedente e una pluralità di altri Stati raggruppati fra di loro. Le misure concordate possono rivestire anche carattere militare. Ma l’art. 42.7 fa salvo “il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati Membri”, vale a dire esonera da coinvolgimenti militari Stati istituzionalmente neutrali.
  5. Chiaramente, l’art. 42.7 TEU si ispira all’art. 5 del Trattato Nato, che istituisce un meccanismo di difesa collettiva nel caso di aggressione a uno Stato membro. L’art. 5 limita espressamente l’obbligo di assistenza degli altri Stati membri alle misure che gli stessi giudichino necessarie. Anche nel caso della Nato, la clausola è stata invocata in una sola occasione; e non a seguito di un attacco armato, ma per gli attentati terroristici negli USA dell’11 settembre 2001. I due sistemi di difesa collettiva (Nato e Unione) non sono alternativi. Gli Stati membri, ad un tempo, della Nato e dell’Unione possono decidere di attivare l’uno o l’altro o tutti e due congiuntamente.
  6. L’art. 42.7 TEU contiene un esplicito riferimento alla Nato. Questa è designata, per gli Stati che ne sono membri, come “il fondamento della loro difesa collettiva”. L’art. 42.7 precisa altresì che gli impegni stabiliti nell’Unione “rimangono conformi a quelli assunti” in ambito Nato. Il che sembra implicare che operazioni coordinate e congiunte (Nato e Unione) rappresentino un approdo naturale e auspicabile. Ma se il meccanismo di difesa collettiva è posto in essere autonomamente in ambito Unione, gli interessi di membri della Nato, che non sono anche membri dell’Unione (Turchia, ad esempio), devono essere tenuti in debito conto.
  7. All’interno dell’Unione, un meccanismo di mutua assistenza è previsto anche dall’art. 222 TFUE (c.d. clausola di solidarietà), che si riferisce espressamente ad atti terroristici di cui sia vittima uno Stato membro. Questa norma, a differenza dell’art. 42.7 TUE, ne fa derivare un obbligo di intervento non solo per gli altri membri dell’Unione, ma anche per la stessa Unione. Conseguentemente, le misure da adottare sono definite e coordinate a livello europeo. Il ricorso all’art. 222 TFUE deve ritenersi in qualche modo assorbente rispetto a quello previsto dall’art. 42.7 TUE per casi di terrorismo, in quanto contempla specificamente questi casi e aggiunge l’obbligo dell’Unione mantenendo fermo quello degli Stati membri. Non si può escludere, tuttavia, che uno Stato membro, una volta esperita inutilmente la clausola di solidarietà ex art. 222 TFUE , faccia poi appello al patto di difesa collettiva dell’art. 42.7, rivolgendosi direttamente agli altri membri senza coinvolgere le istituzioni dell’Unione.
  1. Una precisazione sulla portata dell’art. 222 TFUE si trova nella Dichiarazione n. 37 annessa al Trattato di Lisbona; norme di attuazione sono state poi dettate dal Consiglio con la Decisione del 24 giugno 2014. La Dichiarazione fa espressamente salvo il diritto di ciascuno Stato membro di “scegliere i mezzi più appropriati per assolvere ai suoi obblighi di solidarietà”. Ne consegue che l’Unione può decidere liberamente sulle misure che essa applica, non su quelle che devono essere poste in essere dagli Stati membri. Il punto trova conferma nella Decisione del 2014, dove si precisa che questo atto riguarda solo l’attuazione dell’art. 222 TFUE da parte dell’Unione, mentre riguardo agli Stati membri vale la Dichiarazione n. 37.
  2. Quanto alla Decisione del Consiglio, essa fornisce alcune indicazioni significative. In particolare si legge che la clausola di solidarietà deve essere attivata dallo Stato membro interessato ( non può, dunque, farlo l’Unione di sua iniziativa); costituisce un rimedio di ultima istanza, nel senso che lo Stato vittima può ricorrervi solo ove ritenga che “la crisi oltrepassi chiaramente la capacità di risposta di cui dispone”; deve funzionare in base agli strumenti e alle risorse di bilancio esistenti, senza contare su risorse supplementari; non comporta implicazioni nel settore della difesa e lascia impregiudicato l’art. 42.7 TUE. Norme di attuazione di questo tipo delineano un atteggiamento in qualche modo rinunciatario circa le potenzialità dell’art. 222 TFUE. Inducono a pensare che la sua sfera di azione sia più adatta per gli altri fatti previsti dalla norma (calamità naturali o provocate dall’uomo), piuttosto che per attentati terroristici, almeno quelli con implicazioni di carattere militare. Non a caso la Decisione fa presente che la clausola di solidarietà non pregiudica quella di difesa collettiva ex art. 42.7 TUE.
  3. Torniamo ai recenti episodi di Parigi. La Francia aveva tre strade per ottenere il concorso di altri Stati nella lotta contro il terrorismo di matrice islamica: due all’interno dell’Unione, la clausola di difesa collettiva dell’art. 42.7 TUE e la clausola di solidarietà dell’art. 222 TFUE; una al di fuori dell’Unione, l’art. 5 del Trattato Nato, che obbliga i membri di questa alleanza a prestare assistenza al partner aggredito. Si sarebbe potuto pensare anche di battere insieme più di una di queste strade. Il presidente Hollande ha optato per l’art. 42.7 TUE. È probabile che abbia scartato la Nato per la presenza della Turchia, la cui posizione nelle vicende medio-orientali non è del tutto chiara; deve aver inoltre pesato il ruolo centrale nella Nato degli Stati Uniti, e le conseguenti resistenze di questi ultimi ad una “apertura” verso la Federazione Russa. Quanto al ricorso all’art. 222 TFUE, avrebbe significato ammettere l’insufficienza della Francia a fronteggiare il problema, coinvolgere l’apparato istituzionale dell’Unione con gli appesantimenti che inevitabilmente ne conseguono, fare affidamento su un meccanismo ancora lacunoso come si è avuto modo di accennare. La scelta è caduta così sull’art. 42.7 TUE, che consente alla Francia ampia libertà di manovra, la pone al centro della costituenda coalizione, la svincola dalle procedure Nato ed europee, non esime gli altri membri dell’Unione dall’obbligo di prestare assistenza.
  4. Un’occasione perduta per l’Europa? Sono in molti a lamentarlo, e non senza ragione. In effetti, con l’attivazione della clausola di solidarietà dell’art. 222TFUE si sarebbe potuto valorizzare la presenza istituzionale dell’Unione in settori, come quelli della sicurezza e difesa, ancora fortemente ancorati alle prerogative nazionali. Non lo si è fatto e questo costituisce motivo di rammarico. A ben vedere, però, l’utilizzabilità dell’art. 222 TFUE per eventi terroristici gravi come quello di Parigi era già compromessa dalla normativa di attuazione stabilita con la Decisione del 2014: una normativa adottata bensì dal Consiglio, ma su proposta della Commissione e dell’Alto Rappresentante per la PESC. D’altra parte, la Francia avrebbe potuto rivolgersi direttamente alla Nato, o agire in maniera autonoma, al di fuori sia della Nato sia dell’Unione. Ha invocato, invece, l’art. 42.7 TUE, che fa parte del diritto dell’Unione e stabilisce un obbligo di mutua assistenza vincolante per i suoi membri: un obbligo il cui rispetto è suscettibile di controllo da parte della Commissione e in ultima analisi dalla Corte di giustizia. L’Europa, dunque, non è del tutto assente dall’iniziativa francese: è presente in forma più intergovernativa che istituzionale, ma anche questo fa parte del processo di integrazione europea.