Una riforma senza dibattito pubblico? Il difficile, se non impossibile tragitto della riforma urbanistica*

1. A un anno dalla presentazione della proposta di legge dell’allora Ministro dei trasporti e delle infrastrutture On. Maurizio Lupi, recante “Principi in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana”  ( l’incontro si svolse con una certa solennità e grande partecipazione al MAXXI di Roma il 26 luglio 2014), può sembrare curioso che io, che ero stato relatore in quell’occasione oltre che coordinatore insieme al Dott. Enrico Seta del gruppo di lavoro che aveva predisposto il testo della proposta[1], oggi mi interroghi  ancora su questioni molto generali.
Sarebbe stato naturale che discutessi del percorso di riforma se non addirittura dell’esito del lavoro fatto.
Purtroppo non è così. Sono costretto ancora a discutere di problemi generali, quasi di base, e dalla risoluzione probabilmente ancora lontana. E non solo perché le dimissioni del ministro Lupi hanno forzatamente interrotto l’iniziativa ministeriale, che non posso dire se verrà e come riavviata. Non sembra che rientri nel programma del nuovo Ministro.
È più probabile che quel testo, opportunamente rivisitato – il lavoro è stato completato – possa costituire occasione di iniziativa parlamentare: cioè di un progetto di legge che si aggiunge a quelli già presenti in Parlamento. Alcuni da tempo, qualcuno presentato nella corrente legislatura.
Potrebbe anche darsi che l’iniziativa dell’On. Lupi possa rappresentare comunque quella del governo, dal momento che il partito dell’ex ministro sostiene il governo.
Vi sono profili di tecnica parlamentare che non conosco. Dovrei dire, con più precisione, che non capisco bene.
Ma le difficoltà incontrate nel percorso di riforma non sono, a mio giudizio, legate solo alla contingenza delle dimissioni del ministro.
È proprio questo anno che ci separa dalla presentazione della proposta – in realtà dovrei dire i circa dieci anni che ci dividono dall’approvazione da parte della Camera dei Deputati del ddl, sempre su proposta di Lupi, di riforma del «governo del territorio»[2] -, a darmene motivo. In questo anno mi è capitato più volte di partecipare ad eventi intorno ai temi della proposta o che la avevano espressamente al centro. Sempre dubbi profondi mi hanno assalito. Mi riferisco non tanto a quelli sui contenuti della proposta – questi sono normali – quanto a quelli sulla relazione tra società e proposta. Sia la società in generale sianella componente rappresentata dai competenti, esperti, addetti ai lavori.
Da ciò la spiegazione del titolo del mio intervento: “Senza un adeguato dibattito pubblico si può fare la riforma urbanistica?”
Senza un «vero» dibattito pubblico – ne sono convinto – non è possibile ridisegnare il «governo» del governo del territorio. Si riuscirà anche a fare una riforma, ma di fatto sarà pressoché inutile.
Quanto sta avvenendo sulla riforma del Titolo V della Costituzione né è ampia dimostrazione. Il dibattito ha coinvolto solo i «politici politici» e qualche competente. Non vi è stato, ancora una volta, un adeguato dibattito pubblico.
La stessa cosa accadde con il precedente tentativo di riforma e, cosa ancora più paradossale, anche con la Legge costituzionale n. 3 del 2001.
Che la comprensione del significato, nel senso costituzionale, della nozione «governo del territorio» non fosse granché cambiata dal 2004-2005, se ne era già avuta conferma con la consultazione on-line sulla «proposta Lupi» dopo la sua presentazione al MAXXI. Il mio girovagare di quest’anno intorno ad essa lo ha confermato.
Anche le leggi urbanistiche regionali che si sono susseguite ne sono una conferma.
Cosa si racchiude in questa nozione resta misterioso ai più, spesso anche ai competenti, che continuano a ragionare su una «loro» concezione e non su quella con la quale ci si deve misurare; con governo del territorio si deve intendere un comparto di interessi, espresso in tre materie: l’edilizia, l’urbanistica e le infrastrutture.
Per di più si tratta di materie affidate sia allo Stato che alle Regioni, secondo il principio della legislazione concorrente.
Più volte ricordato dalla Corte Costituzionale, che ha cercato anche di fare emergere la necessità di definire moduli organizzativi per la gestione efficiente ed efficace del principio.
Le altre materie, o meglio gli «interessi» che concorrono a formare il governo del territorio nella sua pienezza sono preordinati o equi ordinati: mi riferisco al paesaggio; alla difesa del suolo, cioè alla sicurezza del territorio. Solo per indicare quelli maggiormente incidenti. Questi non sono, infatti, come ben noto, oggetto esplicito della pianificazione del territorio e della programmazione degli interventi di trasformazione – ri-trasformazione, anche se molto le influenzano.
Curiosamente, quando si discute della disciplina dell’«interesse composito»  governo del territorio, ce se ne dimentica e quindi si ritiene di poter disciplinare tutto. È così che si pensa che il governo del territorio sia il governo di tutti gli interessi che costituiscono il territorio e agiscono sul territorio. Di nuovo la «panurbanistica»: espressione con la quale – qualcuno lo ricorderà – venivano bollati gli urbanisti italiani di qualche generazione passata dagli studiosi del diritto amministrativo, che ritenevano che noi urbanisti avessimo la pretesa di disciplinare tutto, il territorio e con esso ogni cosa e azione che si svolge su di esso.
È da questa posizione che nascono le critiche alla proposta Lupi: … manca il paesaggio, … mancano i centri storici, …  manca la città … manca l’ecosistema ambientale … la sostenibilità …
Se a ciò si aggiunge che in Italia non si ha dimestichezza – molto diffusa è la poca conoscenza anche tra gli esperti – con le «leggi di principio», il quadro della non comprensione del problema è completo. Cosa sia una legge di principio, da dove si reperiscono i principi –  dalla Costituzione, dal diritto europeo, dalle istituzioni internazionali, dalla legislazione vigente[3] -, oppure si debbono introdurre ex novo, rimane un dilemma senza risposta.
Anche il legislatore non si pone più il problema. Basti osservare la recente legge che introduce «nuovi» reati ambientali. Dove se ne reperiscono i principi? In Francia, ad esempio, per introdurre il principio di precauzione si è fatta una riforma della Costituzione. Il nostro legislatore oramai legifera su nuove (spesso presunte tali) materie, senza interrogarsi su questo problema basilare.

*Intervento al convegno su “Governo del Territorio: riforme necessarie. Cosa cambia?” DPTA, Università degli Studi di Roma La Sapienza, 26 maggio 2015.

La critica alla presunta incompletezza della proposta Lupi, dipende da ciò.
Sempre durante questo anno è emerso come in molti dei partecipanti alle occasioni di incontro intorno alla proposta Lupi o di cui ho letto gli scritti, è rinvenibile una certa nostalgia per la «legge regolamento»: è forte l’aspettativa per una nuova “765” corredata da decreti attuativi. Quindi di una legge di fatto esclusivamente urbanistica, immediatamente operazionabile, senza passare per la definizione di «principi» e della loro applicazione.
Nella rassegna delle incomprensioni non faccio rientrare quelle di principio, nel senso della contrarietà per principio: perché la proposta è stata fatta da qualcuno che non apprezzo per principio … comunque da qualcuno di cui non mi fido preconcettamente … o perché io non ho concorso a costruire la proposta e comunque non ritrovo le tesi che da sempre sostengo …
Ciò che si è letto intorno al trattamento della proprietà nel testo base della proposta è esemplare: un rigurgito di preconcetti, e di sottovalutazione del significato delle censure che così frequentemente la Corte dei diritti dell’uomo fa al nostro diritto urbanistico, proprio in materia di trattamento della proprietà.
Saranno sorpresi questi critici radicali nel vedere come la semplice soppressione dell’aggettivazione «privata», data alla proprietà immobiliare, senza cambiare in nulla il senso della proposta, la rende impermeabile alla critica di principio. Che oggi la proprietà «pubblico – collettiva» vada regolata né più né meno come quella «privata», alla pari, non vi è alcun dubbio, anche nella logica dei beni comuni (o di quelli pubblici, sempre attuale). Non solo per il ruolo economico che di fatto svolgono e facciamo svolgere a demani e patrimoni pubblici, ma anche in ordine al principio di concorrenza. Al quale, almeno in questo momento storico – culturale non si può sottrarre la regolazione dalla proprietà, pubblico – collettiva o privata. E quindi la pianificazione del territorio e delle città.
Siamo certi che la teoria dei «commons» ci esime dall’obbligo del rispetto del principio di concorrenza[4]?
Le ingiustizie che l’assenza di regolazione nell’ottica della concorrenza determina si aggiungono in modo insopportabile a quelle che da sempre ha determinato l’urbanistica, con la sua inevitabile «lotteria fondiaria» – per quanto sostenuta da mirabolanti motivazioni -, e debolmente contenuta da misure compensative, di natura spesso anche impropria rispetto al vulnus creato dalla mancanza di «giustizia fondiaria» e di «concorrenza».

2. Quali sono i contenuti della proposta di legge Lupi? O meglio, come sono stati riorganizzati ad un anno dalla sua presentazione pubblica?
L’impostazione complessiva non è variata. Si è cercato di migliorarla operando previo precisazioni e chiarimenti delle materie affrontate, appunto; i principi ispiratori[5]; le finalità dell’esercizio delle competenze che ne derivano, a partire dal coordinamento delle  politiche pubbliche territoriali; quindi la precisazione dei compiti e delle funzioni dello Stato; le modalità  e gli strumenti – è qui che nasce la direttiva quadro territoriale -, con i quali vengono svolti i compiti assegnati; le dotazioni territoriali ed i livelli essenziali delle prestazioni; la pianificazione di area vasta e comunale, non tanto per prescrivere  contenuti e livelli di pianificazione in sé, quanto per «avvicinare» forme e stili di pianificazione in uso nelle regioni; il tema della proprietà, il suo trattamento e la stessa sua tutela nel rispetto dei principi che ispirano la Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo; la fiscalità immobiliare; la perequazione, la compensazione, la trasferibilità e commercializzazione dei diritti edificatori, la premialità; gli accordi urbanistici; la rigenerazione/rinnovo urbano; l’edilizia residenziale sociale qualificata come servizio; le  innovazioni e semplificazioni in materia edilizia.
Come si vede principi, politiche e strumenti. La legge non è solo di principi, non è solo di procedure amministrative: vuole essere anche una risposta all’annoso problema delle carenze di politiche pubbliche territoriali e del loro coordinamento. Il titolo – “Principi in materia di governo del territorio, rigenerazione urbana ed edilizia residenziale sociale” – credo che riassuma bene questo intento. L’idea di tenere insieme politiche pubbliche territoriali e azioni conseguenti è stata rafforzata. Così come quella di tenere insieme pianificazione urbanistica e welfare urbano, nella componente delle dotazioni territoriali e dell’edilizia sociale pubblica.
Superando tradizionali separatezze concettuali ed operative.
Forte impulso viene dato al coordinamento delle politiche pubbliche territoriali, sia di quelle a valenza spaziale esplicita che implicita, soprattutto con riguardo alla fiscalità immobiliare.
Si è cercato di ridurre quella condizione da mero «piatto imponibile» al quale l’attuale tassazione immobiliare ha ridotto territorio e città, sia nella dimensione spaziale che in quella delle attività economiche che vi si svolgono (dall’agricoltura, all’artigianato, all’industria, alla residenza, al tempo libero ed agli stessi servizi alle attività produttive).
Con la leva fiscale si cerca anche di guidare il processo d’urbanizzazione – ritorna in auge lo strumento della densità insediativa e delle forme dell’insediamento -, dando soluzione al problema dell’occupazione di suolo, da contenere negli eccessi, ma senza arrivare alla condizione di «mancanza di suolo». Alla quale rischiano di portare di fatto certe ipotesi sulla riduzione del consumo di suolo qualora divenissero effettive obbligazioni e non mere dichiarazioni «manifesto».
Anche il famoso traguardo della costruzione della città su se stessa, richiede «nuovo» suolo, se non altro per esigenze frizionali[6]! Chi ha studiato l’«urban renewal» statunitense lo sa bene: le politiche di rinnovo urbano oltre l’obiettivo principale servono proprio a regolare il rapporto tra esigenze di nuovo suolo e trasformazione dell’esistente.
Ne consegue il ridisegno della filiera della strumentazione della pianificazione: dalla direttiva quadro nazionale a valenza strategica, «luogo» del coordinamento delle politiche di settore in un’ottica di intersettorialità e multiscalarità, alle pianificazioni d’area intermedie, in armonia con la «riforma Del Rio» e soprattutto con la logica della distinzione del momento «preparatorio» del piano locale (strutturale, programmatico) da quello «concreto» (operativo, o degli interventi), quando cioè le sue indicazioni hanno valenza fondiaria.

Tutto ciò è «accompagnato» dalla rivisitazione e precisazione (in forma unitaria) delle nozioni di perequazione, compensazione ed incentivazione/premialità: inutile ricordare che in questo modo si dà copertura giuridica certa a istituti fino ad ora utilizzati, ma non del tutto certi sotto il profilo giuridico.
Nella chiarificazione si è cercato di fare tornare questi strumenti alla loro utilizzabilità piena e rispondente alle loro vere finalità: fare giustizia fondiaria tra le proprietà tutte, pubbliche e private, grandi e piccole, da trasformare o da conservare.
La filiera degli strumenti è concepita per dare spazio autonomo, ma coerente con la pianificazione generale, alle cosiddette provvedimentazioni puntuali, quelle cioè nelle quali si materializzano soprattutto le auspicate operazioni, grandi e piccole, di rinnovamento urbano, intendendo per tali sia la conservazione sia la ristrutturazione edilizia sia quella urbanistica (abbattimento e ricostruzione senza o con ampliamento). La proposta vuole privilegiare il rinnovamento urbano alla espansione degli insediamenti urbani.
Si è cercato di superare l’assurda rigidità dell’attuale concezione del piano di ristrutturazione urbanistica variamente inteso, comunque obbligato a «dipendere» dal piano generale.
Definitivo superamento quindi, nelle azioni sulla città esistente, dell’obbligatoria conformità del piano d’intervento a quello generale, ma obbligo del rispetto delle dotazioni territoriali sia di quelle risalenti al decreto “1444” – oramai praticamente «costituzionalizzato» -sia delle nuove dotazioni territoriali necessarie per soddisfare le esigenze della società urbana attuale. Ovviamente vengono recuperati i modelli negoziali e le varie tipologie di strumenti alternativi all’esproprio: dalla monetizzazione alla erogazione in sostituzione dei servizi necessari. Si introduce il dibattito pubblico e la sostenibilità completa delle operazioni di ri-trasformazione, cioè ambientale e paesaggistica, economica, sociale ed urbanistica in senso morfologico e di tecnica urbanistica.
Particolarmente significativa, come anticipato, è l’apertura alla normativa pubblicistica in materia di appalti: molti istituti previsti e/o mutuabili sono contenuti nelle nuove direttive europee su appalti e concessioni, al cui recepimento il Parlamento è attualmente impegnato. La «materia» urbanistica infatti non solo può essere gestita in quello spirito – ad esempio con l’istituto del «dialogo competitivo» – ma può essere addirittura oggetto di contro prestazione in una concessione di costruzione e gestione di lavori pubblici!
Occorre riavvicinare infatti l’urbanistica a questa disciplina. Si tratta di un ritorno al passato? Nello spirito forse – è alla disciplina fondamentale dell’ottocento che penso -, ma negli strumenti operativi certo no. Questi sono tutti dell’oggi; «importarli» nell’urbanistica non sarà facile, ma non si potrà non farlo.
La domanda di territorio e di città è oggi solo in minima parte espressa dal mercato locale, gli operatori di domanda sono sempre più spesso molto distanti dal locale e non sono certo motivati dall’obiettivo di rispondere ad esigenze locali.
Sono attratti, bensì dal valore strategico del locale, da collocare su mercati anche globali: il vecchio attrezzo del nostro mestiere che era il «bisogno» (la analisi del) e la sua traduzione nel «fabbisogno», non è certo quello più efficace dello strumentario della pianificazione urbanistica.
Ci si deve confrontare con questo modo di presentarsi della domanda solvibile e sociale: come catturare la prima? Ed ancora prima, come promuoverla. Come soddisfare la seconda?
Anche in ordine a questo problema, la proposta Lupi cerca di dare risposta. Si prefigge infatti di «ridurre» le distanze tra le legislazioni urbanistiche regionali; intanto perché per via di queste leggi non si determinino squilibri impropri nella costruzione delle operazioni urbanistiche e immobiliari e poi per offrire agli operatori internazionali e non solo, un’Italia «omogenea» e «semplice», pure nel rispetto delle specificità territoriali locali.
In questo modo si cerca anche di eliminare la patologia della doppia legislazione urbanistica: quella statale e quella regionale, fortemente diverse oramai tra loro.
Cosa che rende poco comprensibile e soprattutto non attraente l’Italia per l’investitore internazionale, che opera secondo moduli consolidati di valenza molto generale.
Il Pdl si misura anche con la necessità di integrazione della edilizia residenziale pubblica nella pianificazione urbanistica in modo fisiologico.
Togliendo all’ERP o ERS (sociale) quel carattere di straordinarietà risalente alla legge n. 167/1962 sia nel profilo della morfologia urbana che delle forme di finanziamento.
Nello stesso tempo considerandola in quanto “servizio”.
Resta da dire delle deleghe che con la proposta si chiedono al Parlamento perché le azioni pubbliche e private possano essere maggiormente efficaci.
La prima delega riguarda il riordino del Testo Unico sull’edilizia (il DPR 380/2001), asistematicamente modificato in questi anni per accogliere le esigenze più varie: nuovi prodotti e nuovi processi costruttivi – semplificazioni delle procedure edilizio-urbanistiche; introduzione di meccanismi premiali; nuove certificazioni di qualità, etc. Occorre senz’altro un lavoro di riordino e di progettazione del testo, che dovrà abbandonare il riferimento privilegiato al solo corpo della legislazione urbanistica statale. Comunque, dovrà «accogliere» anche quelle regionali. Da ciò anche la necessità che queste siano meno distanti possibile tra loro.
Il Testo Unico dovrà assumere compiutamente l’approccio prestazionale; dovrà pertanto essere migliorato per quanto riguarda i quadri conoscitivi ex ante e le valutazioni ex post, a partire dalle varie collaudazioni, senza dimenticare i controlli in itinere. Esaltando le potenzialità della progettazione di innovazione di processo oltre che di prodotto.
Ma dovrà anche assumere nuovi obiettivi progettuali. È dal DPR che dipende, come noto, molta della cosiddetta «normazione secondaria»[7]. Tra essa, la più nota nel nostro settore è rappresentata dalle Norme Tecniche sulle Costruzioni (NTC). Che hanno un grande bisogno di innovazione, nella concezione e nei contenuti e nella modalità di formazione.

Si dovrà sciogliere il dilemma tra volontarietà e obbligatorietà della normazione secondaria – tipico della normazione secondaria nei paesi ad atto amministrativo -, così come si dovranno sciogliere dilemmi che incidono presumibilmente sulle politiche urbanistiche ed edilizie, nel rinnovo e nell’ex novo. Mi riferisco alla questione della vita nominale delle costruzioni, alla questione degli interventi sul patrimonio esistente (che ineriscono ovviamente il rinnovo urbano o rigenerazione urbana che dir si voglia): un conto è dire che gli edifici rinnovati debbono essere «a norma», un conto è dire che debbono essere «migliorati» (che significa riportarli alle condizioni della costruzione originaria).
Le differenze sono enormi, l’incidenza economica – quindi l’incidenza sulla decisione di rinnovare o meno il patrimonio esistente – è ugualmente enorme.
Disciplinare la questione nel rispetto del requisito «sicurezza» delle costruzioni e del territorio, ovviamente è fondamentale.

3. La lettura del testo della proposta, quando sarà disponibile, certamente chiarirà meglio molti punti che io qui ho solo enunciato. Ci si potrà confrontare con le soluzioni, anche per ulteriormente migliorarle.
Spero che l’impostazione culturale e concettuale della proposta registri ancora il consenso che, tutto sommato, c’è stato allorché, un anno fa, la presentammo.
Il confronto con altre proposte mostra la sua specificità. Sia per i problemi affrontati che per il modo in cui si è cercato di risolverli. Ripeto: nel rispetto di una legge di principi (anche se concessioni ai sostenitori della legge regolamento pure non mancano) e del significato costituzionale della nozione «governo del territorio». Spero che la proposta e la ulteriore discussione sulla stessa possano favorire lo sviluppo del necessario dibattito pubblico, facilitando una sensibilizzazione più diffusa e meno da «parole d’ordine», di quanto non sta avvenendo su altre proposte di riforma in discussione.
Mi riferisco in particolare al progetto di legge sul cosiddetto «consumo di suolo», oramai in discussione da più di tre anni, ma senza che ne siano stati valutati neanche in termini generali l’impatto e soprattutto la praticabilità. E potrei aggiungere anche il recepimento delle nuove direttive comunitarie su appalti e concessioni: ma lo stato iniziale dei lavori parlamentari mi obbliga a sospendere il giudizio.
Non credo che ci possiamo permettere ancora di fare «leggi manifesto», tanto più quando dobbiamo rispondere ad impegni internazionali; le leggi manifesto rischiano di soddisfare solo le tifoserie ideologiche e nulla incidono sul miglioramento concreto.
Come si fa a continuare a ragionare sul tema del consumo di suolo se non si guarda come è andata in concreto la questione della tassazione immobiliare dei terreni agricoli, in particolare nei comuni montani? Personalmente riprenderei il ragionamento partendo dalla valutazione di quanto è avvenuto solo pochi giorni fa su questo problema in occasione delle scadenze fiscali che hanno interessato le proprietà agricole, per rivisitare alla radice il progetto sul consumo di suolo. Nella proposta Lupi si è tracciata l’intelaiatura di questa nuova impostazione del problema.

Note

1.  Nell’occasione, oltre me, presero la parola la Prof. Livia Salvini e il Prof. Stelio Mangiameli che illustrarono i profili fiscali e costituzionali. Il gruppo di lavoro era composto da: Antonio Anzani, Antonino Iacoviello, Carlo Cerami, Enrico Seta, Errico Stravato, Ezio Micelli, Francesca Anzani, Francesco Karrer, Guido Bardelli, Livia Salvini, Loredana Campagna, Luca Piras, Mariangela Di Giandomenico, Massimo Ghiloni, Nicola Bonaduce, Rosario Manzo, Stefano Mantella, Stelio Mangiameli, Vincenzo Tondi della Mura.

2.  Rinvio al testo del ddl sui “Principi in materia di governo del territorio” approvato dalla Camera dei Deputati il 28/06/2005 e inviato successivamente al Sentato (Atto Senato 3519, XIV Legislatura).

3.  L’ex Ministro agli Affari regionali nei governi Berlusconi I e II, Enrico La Loggia, istituì una apposita commissione di studio per fare una ricognizione sulla legislazione esistente.

4.  Rinvio al mio, “Il principio di concorrenza anche nella pianificazione urbanistica”, in Scritti in onore di Paolo Stella Richter, Editoriale Scientifica, Napoli 2013.

5.  Art. 1 (oggetto e finalità della legge):
1. La presente legge:
i) stabilisce i principi fondamentali in materia di «governo del territorio», in attuazione dell’articolo 117, comma 3 della Costituzione, garantendo lo sviluppo socio-economico, un razionale uso del suolo, la soddisfazione delle esigenze connesse all’abitare, privilegiando la rigenerazione urbana e del patrimonio edilizio, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione, consensualità, partecipazione, proporzionalità, concorrenza, leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni e tra queste ultime e i privati nella definizione e attuazione degli strumenti di pianificazione, nella semplificazione degli strumenti medesimi e non aggravamento dei procedimenti;
ii) attua gli articoli 117 e 119 della Costituzione, a integrazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, mediante idonee misure fiscali che assicurino l’effettività del governo del territorio;
iii) definisce gli strumenti per il coordinamento del governo del territorio con le altre politiche di settore che hanno incidenza territoriale;
iv) determina le modalità per assicurare, nell’ambito del governo del territorio e delle altre politiche del territorio, le dotazioni territoriali essenziali di cui all’art. 6.
2. Il territorio, in tutte le sue componenti naturali e culturali, paesaggistiche, infrastrutturali e insediative, costituisce bene primario della comunità di carattere unitario ed indivisibile, che contribuisce allo sviluppo economico e sociale della Nazione.
3. Il governo del territorio consiste nella conformazione, nel controllo e nella gestione del territorio, quale bene primario della comunità, ai sensi del comma 2, per i profili concernenti l’urbanistica e l’edilizia, i programmi infrastrutturali e di grandi attrezzature di servizio alla popolazione e alle attività produttive, la difesa, il risanamento e la conservazione del suolo. Il governo del territorio garantisce la graduazione degli interessi in base ai quali possono essere regolati gli assetti ottimali del territorio e gli usi ammissibili degli immobili – suoli e fabbricati – in relazione agli obiettivi di sviluppo e di conservazione, di prevenzione dai rischi naturali maggiori, e ne assicura la più ampia fruibilità da parte dei cittadini.

6.  Molto utile il confronto tra le posizioni emerse nel dibattito italiano tra i numerosi sostenitori del ddl attualmente in discussione nella commissione apposita della Camera dei Deputati, i meno numerosi – ma non per questo le loro ragioni non sono fondate – oppositori, e quanto si può leggere nel numero 4/2015 del «La révue foncière», dove con ampiezza di visione e serenità di giudizio si affronta il problema – una volta ridefinito correttamente – e le possibili soluzioni.

7.  Mi permetto di rinviare al mio “Liberare le energie”, in Italiadecide, Rapporto 2015. Semplificare è possibile: come le pubbliche amministrazioni potrebbero fare pace con le imprese, il Mulino, Bologna 2015.