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Una riforma senza dibattito pubblico? Il difficile, se non impossibile tragitto della riforma urbanistica*

di - 8 Settembre 2015
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Si dovrà sciogliere il dilemma tra volontarietà e obbligatorietà della normazione secondaria – tipico della normazione secondaria nei paesi ad atto amministrativo -, così come si dovranno sciogliere dilemmi che incidono presumibilmente sulle politiche urbanistiche ed edilizie, nel rinnovo e nell’ex novo. Mi riferisco alla questione della vita nominale delle costruzioni, alla questione degli interventi sul patrimonio esistente (che ineriscono ovviamente il rinnovo urbano o rigenerazione urbana che dir si voglia): un conto è dire che gli edifici rinnovati debbono essere «a norma», un conto è dire che debbono essere «migliorati» (che significa riportarli alle condizioni della costruzione originaria).
Le differenze sono enormi, l’incidenza economica – quindi l’incidenza sulla decisione di rinnovare o meno il patrimonio esistente – è ugualmente enorme.
Disciplinare la questione nel rispetto del requisito «sicurezza» delle costruzioni e del territorio, ovviamente è fondamentale.

3. La lettura del testo della proposta, quando sarà disponibile, certamente chiarirà meglio molti punti che io qui ho solo enunciato. Ci si potrà confrontare con le soluzioni, anche per ulteriormente migliorarle.
Spero che l’impostazione culturale e concettuale della proposta registri ancora il consenso che, tutto sommato, c’è stato allorché, un anno fa, la presentammo.
Il confronto con altre proposte mostra la sua specificità. Sia per i problemi affrontati che per il modo in cui si è cercato di risolverli. Ripeto: nel rispetto di una legge di principi (anche se concessioni ai sostenitori della legge regolamento pure non mancano) e del significato costituzionale della nozione «governo del territorio». Spero che la proposta e la ulteriore discussione sulla stessa possano favorire lo sviluppo del necessario dibattito pubblico, facilitando una sensibilizzazione più diffusa e meno da «parole d’ordine», di quanto non sta avvenendo su altre proposte di riforma in discussione.
Mi riferisco in particolare al progetto di legge sul cosiddetto «consumo di suolo», oramai in discussione da più di tre anni, ma senza che ne siano stati valutati neanche in termini generali l’impatto e soprattutto la praticabilità. E potrei aggiungere anche il recepimento delle nuove direttive comunitarie su appalti e concessioni: ma lo stato iniziale dei lavori parlamentari mi obbliga a sospendere il giudizio.
Non credo che ci possiamo permettere ancora di fare «leggi manifesto», tanto più quando dobbiamo rispondere ad impegni internazionali; le leggi manifesto rischiano di soddisfare solo le tifoserie ideologiche e nulla incidono sul miglioramento concreto.
Come si fa a continuare a ragionare sul tema del consumo di suolo se non si guarda come è andata in concreto la questione della tassazione immobiliare dei terreni agricoli, in particolare nei comuni montani? Personalmente riprenderei il ragionamento partendo dalla valutazione di quanto è avvenuto solo pochi giorni fa su questo problema in occasione delle scadenze fiscali che hanno interessato le proprietà agricole, per rivisitare alla radice il progetto sul consumo di suolo. Nella proposta Lupi si è tracciata l’intelaiatura di questa nuova impostazione del problema.

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