Grecia: una tragedia del nuovo millennio

1. Il caso Grecia: da una storia di mala gestio … – 2. (segue): … ad una ‘questione umanitaria’ che minaccia l’Eurosistema. – 3. (segue): il suo impatto sulle relazioni tra la Grecia e gli altri paesi europei (dall’interruzione delle ‘trattative’ per il conseguimento di nuovi prestiti al referendum popolare). 4. Il problema della Grexit ed il possibile ‘effetto contagio’. – 5. (segue): alla luce dei Trattati europei.

1. Le vicende della Grecia, la problematica relativa ai livelli patologici del debito pubblico di tale Stato, le gravi difficoltà recate alla popolazione di quest’ultimo dalle politiche di austerity con cui i vertici UE hanno voluto contrastare la crisi, le improvvide forme reattive della classe politica greca di certo si iscrivono nelle pagine più buie della storia europea; risulta evidente che, purtroppo, sono ancora lontani i tempi per la realizzazione del sogno dei ‘padri fondatori’, ove mai un giorno esso trovi nei paesi membri adeguato supporto intenzionale per essere realizzato.
La complessa situazione di instabilità finanziaria in cui la Grecia versa da alcuni anni – che ha indotto autorevoli banchieri centrali ad ipotizzarne già in passato il sostanziale default (ci si riferisce in particolare a Klaas Kotn, presidente della Banca centrale olandese), ipotesi oggi confermata dall’inadempienza di tale Paese nei confronti del FMI (stante la mancata restituzione di 1,5 miliardi di euro alla scadenza del 30 giugno 2015)[1] – è originata da una disinvolta gestione delle politiche fiscali (disancorata dai vincoli imposti dal c.d. patto di stabilità), condotta con gravi occultamenti delle reali condizioni economico finanziarie[2]. Da essa è derivato un deficit di entità non sostenibile[3]; donde un degrado, cui hanno fatto riscontro una triste sequenza di giudizi negativi delle agenzie di rating, nonché l’attivazione di credit default swaps (con sottostante titoli di stato della Grecia) lievitati a dismisura (non solo nel prezzo ma anche nei volumi), cui si sono accompagnati “massivi interventi speculativi con inevitabili riflessi negativi anche sull’euro”[4].
Detta criticità ha indotto la Grecia a ricercare rimedi di vario genere che spaziano da misure minimaliste (quali, ad esempio, la definizione di prestiti bilaterali), a interventi di ampio respiro riconducibili al PSI (Private Sector Involvement), alla fruizione degli interventi non convenzionali della BCE, alla gestione dell’emergenza attraverso il ricorso al Fondo salva Stati europeo, all’accettazione del cd. Programma di protezione (con ovvia sottoposizione alle prescrizioni della Troika, costituita dal FMI, dalla BCE e dalla Commissione UE).
Viene, quindi, a determinarsi una situazione nella quale se alcuni Stati europei (ci si riferisce in primo luogo alla Germania), a livello economico finanziario, hanno interesse ad evitare che il dissesto della Grecia si traduca in perdite per essi, sul piano giuridico puntuali disposizioni del Trattato UE ostacolano la possibilità di soluzioni del problema greco attuate attraverso la mera concessione di facilitazioni creditizie[5]. Tale situazione è aggravata dalle contraddizioni che connotano tale Paese, il quale – anziché procedere alla necessaria attivazione di misure (rectius: riforme) idonee a ripristinare una ‘corretta gestione’ della res pubblica – risulta tuttora caratterizzato da una incontrollata evasione fiscale, da ingiustificate esenzioni tributarie (in particolare: a favore degli armatori e delle isole), da un sistema pensionistico improntato ad anacronistiche logiche di welfare, al presente inaccettabili ed insostenibili. Da qui le condivisibili valutazioni al riguardo formulate dalla dottrina la quale riconduce l’attuale malessere dello Stato greco essenzialmente a “carenze strutturali”, che in esso si sono stratificate nel tempo assurgendo a dato significativo della sua realtà sistemica[6].
La riflessione riguardante la questione greca e la ricerca di possibili soluzioni della stessa non potrà prescindere dal riferimento alla descritta realtà, la quale di certo se, per un verso, circoscrive in ristretti ambiti gli spazi decisionali dei vertici europei, per altro implica valutazioni non scindibili dai condizionamenti che questi ultimi hanno posto agli organi politici della Grecia.
Pertanto, come si avrà modo di sottolineare più ampiamente in seguito, può qui anticiparsi che le tormentate vicende da cui – soprattutto negli anni successivi alla crisi finanziaria iniziata nel 2008 – è stata caratterizzata la vita di tale Paese (in un crescendo dai toni dram­matici), per quanto imputabili a molteplici, palesi disfunzioni di quest’ultimo, non lasciano esente da critiche l’agere di quegli Stati membri la cui azione è stata in grado di influenzare le scelte assunte all’interno dell’Eurosistema. Significativa, in proposito, appare l’analisi delle modalità con cui, a fine giugno 2015, si sono svolte le relazioni tra l’Eurogruppo ed il Governo greco nel tentativo di pervenire ad una composizione risanatrice di una realtà ai limiti di un possibile recupero. Si assiste, infatti, ad uno scontro/incontro tra resistenza ad accettare logiche riformatrici (donde l’adozione di sorprendenti appelli alla ‘volontà popolare’, dal sapore latamente ricattatorio) e ferma intransigenza reattiva (ispirata alla conservazione di interessi individualistici e decisamente negatoria dello spirito solidaristico che dovrebbe supportare lo svolgimento dei rapporti tra gli Stati membri).

2. A causa delle carenze strutturali in precedenza richiamate, la Grecia è tra i paesi UE quello che maggiormente subisce l’impatto penalizzante delle turbolenze finanziarie abbattutesi sul pianeta nello scorso decennio. Conseguentemente, si assiste ad un crescente indebitamento del medesimo, al suo avvitarsi in un processo involutivo che sfocia in una recessione, cui si accompagnano effetti devastanti sulla fragile consistenza dell’economia greca. Da un eccezionale innalzamento dell’indice di disoccupazione (la quale coinvolge soprattutto le classi giovanili) ad un doloroso aumento del tasso di suicidi si susseguono eventi che, nell’evidenziare le condizioni disperate nelle quali la popolazione di tale Paese è costretta a vivere, dimostrano come il “caso Grecia” oggi presenti una valenza che – trascendendo dalla stretta riferibilità al superamento delle implicazioni della recente crisi finanziaria – rileva essenzialmente sul piano umanitario[7].

I noti rimedi anticrisi attivati dai vertici europei – estrinsecandosi nella richiesta ai paesi in difficoltà di procedere tempestivamente al risanamento delle situazioni interne spesso gravemente deteriorate – si traducono nell’imposizione di un regime di rigore che aumenta le difficoltà generate dalla crisi, determinando una diffusa avversità nei confronti della «politica di austerity» di matrice europea. Ed invero, la pressante esigenza di recuperare disponibilità monetarie – destinate, per un verso, alla riduzione dei debiti pubblici, per altro al risanamento di economie logorate da lunghi periodi di decrescita e da ingiustificati, insostenibili meccanismi (pubblici) d’incentivazione – impatta su una realtà in fase recessiva, esasperando le criticità presenti in tale Paese; da qui il dilagante impoverimento della popolazione e le altre conseguenze negative di cui si è detto, che mostrano il ‘volto oscuro’ di un processo involutivo dell’era post-industriale.
Si determina un clima di degrado che – nel vanificare gli sforzi per contrastarlo compiuti da una politica sempre più in affanno – dà spazio al malcontento, all’indignazione, alla protesta! Si individuano i presupposti di una situazione nella quale il facile addebito delle difficoltà dell’oggi alle improvvide politiche del rigore dell’Unione (assunte, di sovente, sulla spinta di un’induzione egemonica della Germania) supporta la crescente critica che (in ambito europeo) fa risalire all’adesione al Trattato di Maastricht l’origine del dissesto in cui versa la Grecia. Si è in presenza di una situazione nella quale il rischio di una ‘deriva democratica’ si accompagna ad una possibile apertura oscurantistica, alimentata da un’opposizione populista che imputa alla Europa gli effetti nefasti di una situazione che, in gran parte, ha radici lontane, riconducibili ai difetti endemici di una pregressa mala gestio[8].
Non v’è dubbio che un attento esame della realtà in osservazione deve tener conto del fatto che l’applicazione ad oltranza di una politica di austerity, nel creare serio impedimento alla crescita della Grecia, sia assurta a fattore di primario rilievo nella identificazione delle cause che hanno determinato l’attuale decadimento di quest’ultima. Di ciò v’è chiara puntualizzazione nelle riflessioni del premio Nobel Paul Krugman il quale si domanda come sia stato possibile per l’opinione pubblica greca “accettare gli argomenti delle istituzioni politiche per i quali la sofferenza era necessaria ed avrebbe portato alla ripresa”[9].
Sotto il profilo giuridico va, poi, considerato che detta linea interventistica dei vertici UE urta con il criterio del controlimite, principio fondante degli ordinamenti democratici, in base al quale, all’interno di accordi internazionali, non sono consentite forme di intromissione (nei confronti dei singoli Stati aderenti) dalle quali possa derivare un sacrificio della sovranità di questi ultimi. Se ne deduce che di fronte alla ‘questione umanitaria’, che oggi connota la realtà greca, non può essere proposta la continuità di una politica ispirata ad un mero rapporto di costi/benefici. Tale politica, ove considerata nel suo effetto dirompente, dimostra di essere un disvalore in quanto diffonde instabilità e permette ai paesi economicamente più forti del Vecchio Continente di avvantaggiarsi a danno di quelli sottoposti ad un regime di rigore. Non a caso un autorevole studioso ha, al riguardo, sottolineato che l’austerity consente alla Germania “nella tempesta scatenata sette anni fa dalle dissennatezze della finanza privata americana di… (infliggere)… ai partner lezioni di ortodossia rigoristica dal forte retrosapore ideologico”[10]; ciò in un contesto interventistico nel quale l’utilitarismo che muove tale Stato membro (intenzionato a trarre vantaggio dalla situazione) è mascherato dall’affermazione della “austerità come bene in sé, sempre e dovunque”.
Di fronte a siffatta realtà – senza negare le responsabilità della Grecia per la concreta inadempienza degli impegni rivenienti dall’adesione all’UME (al fine di conservare un welfare non consentito dalle sue condizioni economico finanziarie) – desta, comunque, grave perplessità la constatazione che sottesa alla politica del rigore voluta dai più accesi sostenitori dell’Unione possa esservi l’intento di perseguire interessi altri. C’è da chiedersi quali siano i limiti entro i quali la logica tecnocratica può fondatamente imporre sacrifici ad uno ‘Stato sovrano’ in nome di un’integrazione economica che (per molta parte della popolazione di quest’ultimo) sembra risolversi in miseria, disperazione, morte, negando dunque una concreta possibilità di ripresa, di fuoriuscita dalle secche nelle quali per colpe non soltanto sue si è arenato.
Da qui l’esigenza di far riferimento ai canoni applicativi delle convergenze economiche e giuridiche a suo tempo avviate nell’eurozona per consentire alla moneta unica di esplicare i suoi benefici effetti[11]. Al contempo, viene in evidenza la necessità di tener conto delle deroghe (all’applicazione del complesso disciplinare europeo) talora consentite nel passato a favore di alcuni Stati membri, determinando forme di apertura interpretativa delle clausole dei Trattati, quali al presente vengono negate ai paesi in difficoltà[12]; deroghe al presente perpetuate ancora una volta a favore di taluni Stati economicamente forti (Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi) i quali oggi disattendono gli indicatori introdotti dal Six pack con riguardo ai cd. squilibri macroeconomici[13] (presentando un avanzo molto consistente delle ‘partite correnti’, superiore alla soglia del 6 per cento del PIL specificata dalla Commissione)[14].
Più in generale, si ravvisa l’opportunità di orientare la ricerca alla focalizzazione delle possibili interazioni negative della politica del rigore e dell’austerità sulla definizione dell’impianto democratico a base della costruzione dell’Europa unita. Al riguardo rileva la considerazione, da noi formulata in passato, secondo cui “la peculiare caratterizzazione dell’UE – disancorata dalla presenza di un paradigma ordinamentale di tipo politico istituzionale – priva la compagine comunitaria del grado di coesione necessario per accettare vincoli (rectius: sacrifici) avvertiti come imposti ab esterno[15]; considerazione che assume particolare significato per il fatto che i vincoli di cui trattasi sono richiesti soprattutto da paesi solo sfiorati dalla recente crisi finanziaria, i quali da quest’ultima anziché danni hanno tratto benefici[16].
Si delinea uno scenario caratterizzato da incertezze e complessità nel quale, a ben riflettere, la posta in gioco è rappresentata dalla coerenza dello stesso Eurosistema; in vista della conservazione di quest’ultima la politica dovrà trovare una via alternativa alla regola del solo rigore, se del caso anche modificando in parte i Trattati europei. Per intanto, il pensiero va all’insegnamento di Omero; nell’Iliade, un libro di guerra, il lettore è indotto a parteggiare per chi è caduto ed alla fine del poema ci si accorge di nutrire maggiore empatia per Ettore rispetto ad Achille!

3. La storia della Grecia all’interno dell’Unione monetaria si configura costellata da un susseguirsi di interventi europei effettuati per far fronte alla situazione di grave difficoltà in cui versa quel Paese. In aggiunta ai ‘piani di prestito bilaterale’, direttamente concessi a tale Paese da parte di singoli Stati membri, vengono, infatti, in considerazione l’acquisto (nel maggio 2010) da parte della BCE di titoli greci e successivamente (a partire dal marzo 2012) l’utilizzo del ‘Fondo salva-Stati’, al quale negli anni recenti più volte farà ricorso tale Paese[17]. È evidente come la posizione di sostanziale dipendenza in cui quest’ultimo si trova a causa del gravoso indebitamento da esso assunto nei confronti dell’estero incida negativamente sull’assolutezza del potere proprio di tale Stato; tant’è che un protagonista delle vicende comunitarie, valutando le implicazioni della crisi ellenica ebbe a sottolineare come nei fatti la Grecia «non è più unica sovrana in casa sua»[18]; espressione indicativa dell’intervenuta dequotazione dell’apparato politico e amministrativo della medesima, riveniente dai condizionamenti di cui sopra si è detto.
Le forme tecniche con cui vengono attuati gli interventi europei a favore della Grecia dimostrano tuttavia che, nonostante l’apparente riferibilità a meccanismi di solidarietà, le operazioni in parola sono strutturate in modalità volte a ridimensionare l’impegno assunto da taluni paesi. Ed invero, si è in presenza di acquisti di titoli del debito pubblico greco da parte di BCN (assimilabili ad un credito dalle stesse concesso), titoli per i quali è previsto il rimborso al valore nominale. Ciò implica la possibilità di una plusvalenza (costituita dal differenziale tra il valore [facciale] di rimborso e il prezzo d’acquisto), la quale, concorrendo alla formazione del risultato di esercizio, fa registrare alle BNC un incremento del reddito conseguito. Tale maggiore ammontare, per la parte eccedente la quota distribuibile ai prenditori, viene girata al Tesoro che utilizza detti fondi per ridurre il tasso di interesse al quale aveva concesso il credito alla Grecia.
Nel febbraio 2012 l’Eurogruppo procede ad un nuovo intervento di salvataggio (bailout) che trova compendio nella più grande operazione di ristrutturazione del debito della storia (interessando 200 miliardi di euro in titoli). I paesi dell’eurozona (attraverso il fondo EFSF)[19] e il Fondo Monetario Internazionale erogarono alla Grecia prestiti per più di 138 miliardi. Parte di tale operazione era costituita dal c.d. private sector involvement (PSI) – di cui in precedenza si è detto – in base al quale i detentori privati del debito greco si impegnavano ad accettare una riduzione di valore (haircut) pari al 53,5 per cento del nominale dei titoli, con una perdita complessiva pari al 75 per cento.
L’esito favorevole dell’intervento testé richiamato non è stato, tuttavia, sufficiente a riequilibrare la situazione della Grecia; per converso, la sottoposizione di questa ultima alle dure condizioni previste dall’accordo di salvataggio (tra le quali la realizzazione di un severo ‘programma di consolidamento fiscale’ e talune riforme strutturali, con scadenze stringenti e sotto il controllo periodico dell’Unione Europea, della BCE e del FMI) sottopongono a nuovi disagi la popolazione, già provata da anni di sacrifici, da un sostanziale impoverimento, dalla perdita della speranza!
Si determina una situazione nella quale la prospettiva di una ripresa dopo il risanamento dei conti diviene sempre più difficile. È noto, infatti, che l’attuale regime di austerity impedisce alla Grecia di «restituire il proprio debito.. tramite l’accumulo di sostanziali avanzi primari … per un consistente periodo di tempo»[20]. Tale realtà si qualifica in chiave drammatica ove si abbia riguardo alla circostanza che «complessivamente, attraverso l’Economic adjustment programme e il Second economic adjustment programme la Grecia ha ottenuto 248 miliardi di euro» (ammontare che solo in minima parte è servito a finanziare il disavanzo primario e le altre spese del governo, essendo stato utilizzato prevalentemente per pagare il debito pregresso e capitalizzare le banche greche dopo l’haircut alle medesime imposto)[21].
Pertanto, condizioni obiettive inducono a ritenere che la Grecia versi in una situazione economica insostenibile, per cui le risulta estremamente difficile far fronte alle dinamiche del debito e, dunque, ai propri impegni alle scadenze convenute. Il Paese è, infatti, molto vulnerabile agli shock, nonostante abbia beneficiato di un flusso netto positivo di fondi (pari a circa 91 miliardi di euro) dal 2010 al 2013[22]; ciò in quanto la cura imposta dalla Troika è stata particolarmente drastica, risolvendosi in una perdita di circa un quarto di Pil dal 2011 al 2014 ed in ulteriore incremento della disoccupazione[23].
Nel 2015 gli sforzi per il risanamento attuati dal conservatore Samaras subiscono una battuta d’arresto a seguito della vittoria del partito di Syriza nelle elezioni svoltesi all’inizio dell’anno. Ad una politica di salvezza nazionale vengono sostituiti proclami demagogici nei quali il leader Tsipras promette la fine del «circolo vizioso dell’austerità», la ricostruzione del Paese, la presentazione di «vere proposte all’Ue, un nuovo piano radicale per i prossimi quattro anni»[24]. La disperazione, un ritrovato senso di dignità o, forse, semplicemente la rimodulazione di un leaderismo che riflette vetuste formule nazionalsocialiste animano le dichiarazioni del nuovo Capo del Governo greco. Le parole di quest’ultimo, quasi in termini di sfida, prospettano un impegno riformatore che sembra voglia coinvolgere l’intera Unione «per far tornare l’Europa verso la crescita e verso la stabilità e per far risorgere i valori europei come la democrazia e la solidarietà»[25]!
Si è, comunque, in presenza di un programma politico che, considerate le condizioni del Paese, è intrinsecamente inattuabile; esso appare, infatti, destinato a scontrarsi con la contraddittoria realtà greca, caratterizzata dalle menzionate carenze economico finanziarie e dalla anacronistica presenza di un ingiustificato welfare. Ciò spiega la diffidenza espressa nelle reazioni dei vertici europei, consapevoli del fatto che non si può «mettere fine all’austerità» tout court, solo con le parole, e che la Grecia non può sospendere il piano di riforme necessarie per risolvere i suoi problemi strutturali, per un ritorno alla normalità. Non a caso, dopo la notizia dei risultati delle votazioni, si esprime in tali termini il Presidente della Bundesbank Jens Weidmann, ribadendo l’esigenza che «la Grecia deve aderire alle condizioni del salvataggio»[26], parole dure (nelle quali si riflette la logica utilitaristica ed egemone con cui la Germania è presente nelle vicende europee), ma di certo orientate a bandire i sogni quando questi tentano di obnubilare la realtà dei fatti.

Nei mesi successivi all’elezione del nuovo Premier la situazione greca non cambia, anzi si assiste ad un suo peggioramento rispetto all’anno precedente[27]. La collaborazione «con i nostri amici europei», preannunciata da Tsipras, si risolve in incontri, promesse, discussioni, scadenze non rispettate e rinviate a nuova data. Un triste e doloroso peregrinare per le Cancellerie europee del Capo del Governo greco e del Ministro delle finanze Varoufakis danno contenuto al tentativo di affrontare l’emergenza di un Paese ormai prossimo al default, segnano le tappe di un cammino che agli occhi dei più appare ormai una lenta ed inevitabile agonia di tale Stato membro (la cui storia antica, per converso, si annovera tra i presidi culturali dell’Unione).
È nel giugno del 2015 che le vicende di questo tormentato Paese sembrano pervenire al loro epilogo. Nel momento in cui – con l’approssimarsi di una ennesima scadenza (il pagamento al FMI di 1,5 miliardi di euro fissato al 30 di quel mese) – Tsipras ha chiara la percezione della effettiva gravità degli accadimenti in corso, essendo ormai impossibile dilazionare ulteriormente l’accettazione delle ‘proposte’ del­l’Eurogruppo, interrompe le trattative per far ricorso ad un referendum del popolo greco, chiamato a pronunciarsi in merito a tali proposte.
Si è in presenza di una ‘mossa strategica’ certamente coerente sotto un profilo giuridico, in quanto il rinvio al voto popolare deve ritenersi conforme ad una corretta applicazione delle modalità decisionali riconosciute nei moderni sistemi democratici. A ben considerare, tuttavia, se a livello teleologico tale misura persegue il meritevole obiettivo di attestare la prevalenza della ‘sovranità nazionale’ dei paesi UE sulla logica regolatoria dei vertici europei, per converso sul piano delle concretezze appare verosimile che essa sia stata utilizzata per evitare l’assunzione di responsabilità di accordi decisamente scomodi e, dunque, per evitare le implicazioni negative che ne sarebbero derivate sulla ‘tenuta del Governo’. Tale lettura degli eventi in parola trova, del resto, conforto, vuoi nel giudizio negativo al riguardo espresso dagli esponenti dell’eurogruppo e dalla stampa specializzata[28], vuoi dai discordanti tratti comportamentali di Tsipras, il quale dopo aver sostenuto con clamore la linea dura di un «no» alle condizioni imposte dall’Europa, immediatamente dopo la vittoria di questa parte referendaria «ha cambiato direzione, e forte del sostegno delle opposizioni al suo governo, sollecitate dal capo dello Stato, ha proposto ai creditori un piano di riforme più duro di quello che gli stessi creditori gli avevano proposto prima del referendum», riuscendo ad ottenere dal Parlamento l’approvazione dello stesso[29].
È stata, quindi, scritta una pagina della storia europea che di certo non brilla per chiarezza politica, per rispetto delle regole democratiche, per le ripercussioni sulla definizione delle sorti future dell’EU. Rinviando al prossimo paragrafo la trattazione del problema di una possibile fuoriuscita della Grecia dall’Eurosistema, va qui sottolineato come le vicende dianzi richiamate evidenziano, in primo luogo, le criticità di un sistema europeo poco coeso. Ed invero, alla più assoluta carenza di solidarietà dimostrata da alcuni Stati membri (la cui disponibilità a fare concessioni si è fermata dinanzi alla richiesta ellenica di ristrutturazione del debito)[30] fa riscontro la furbesca reazione di un ‘audace’ politico greco il quale non si preoccupa di provocare una crisi identitaria nel partito che lo ha eletto, essendo intenzionato a perseguire un disegno strategico forse predefinito (del quale fanno parte gli ‘ammiccamenti’ al Premier russo Putin e la piena consapevolezza che gli Stati Uniti d’America sono estremamente interessati alla conservazione degli attuali equilibri geopolitici del Mediterraneo).
Sotto altro profilo, si è assistito ad un’indebita intromissione da parte di esponenti politici europei (ci si riferisce, in particolare, alla petizione del Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz) che attestano una palese ingerenza negli affari di un Paese sovrano[31]; nel contempo, si è registrata l’ipotesi di un’operazione di ‘aiuti umanitari’ nei confronti di uno Stato membro, dalla quale emergono la estrema fragilità di tale componente dell’UE e, più in generale, la possibilità che processi di disgregazione inficino una costruzione la cui compattezza fino a questo momento era sembrata fuori discussione[32].
Da ultimo, la conseguenza degli eventi in esame che maggiormente rileva è la necessaria presa d’atto che, al presente, nell’Unione esistono ancora differenze socio politiche, economico finanziarie e culturali tali da far ritenere improbabile una soluzione, in tempi brevi, degli annosi problemi che affliggono alcuni Stati membri e la Grecia in particolare. Ancora una volta l’unico rimedio proponibile sembra essere quello della «unificazione politica»; peraltro, le vicende dianzi analizzate razionalmente conducono alla sua esclusione … salvo a confidare in un paradossale processo reattivo all’odierna tragedia greca in grado di trasformare in realtà un mero wishful thinking.

4. Le vicende greche – dopo il coagulo del consenso parlamentare ellenico sulle ‘proposte di riforma’ presentate da Tsipras – incontrano il momento più difficile della loro travagliata storia allorché vengono sottoposte al giudizio critico dei Governi dei paesi dell’EU. La mancanza di fiducia nei confronti di tale Stato – riconducibile alla sua linea comportamentale segnata dall’assunzione di impegni (in occasione di pregressi salvataggi) poi non mantenuti – è al centro del dibattito sotteso alla decisione riguardante le modalità d’intervento. Il riferimento all’ambiguità della politica di Syriza diviene, in tale contesto, ulteriore elemento di pregiudizio, in quanto consolida l’opinione relativa alla scarsa affidabilità della Grecia ed induce ad ipotizzare una prospettiva di nuove ‘perdite’ a carico dell’Unione[33]. Un’ampia parte dell’UE sembra intenzionata a non voler intrattenere ulteriori rapporti con un Paese che – prescindendo dalla ‘questione umanitaria’ delle disperate condizioni di vita di molta parte della sua popolazione – con il ricorso al referendum popolare ha dimostrato di voler sottrarsi alle proprie responsabilità, affidando ad un gioco d’azzardo la ‘partita’ della sua permanenza nell’Europa.
Le varie tesi, di cui sono portatori gli opposti schieramenti, convergono sulla dibattuta questione di una possibile Grexit. Da qui la riproposizione di una problematica già affrontata in passato dalla dottrina, ma oggi riproposta in modalità nuove, sulle quali è opportuno soffermare l’analisi, avendo riguardo sia alle indicazioni desumibili dai Trattati, sia alle gravi implicazioni sistemiche che possono derivare dalla soluzione adottata. A livello politico si assiste ad uno scontro tra gli Stati membri dal quale emergono tutte le antinomie del processo d’integrazione europea: da taluni atteggiamenti di dura intransigenza (che confermano la mancanza di coesione e di solidarietà all’interno dell’UE), alle contraddizioni dello storico partenariato tra Germania e Francia, alla poca valenza dell’attività di mediazione svolta da paesi ritenuti passibili di ‘contagio’, al carattere nazionale delle democrazie europee (talora non ancora adeguatamente integrate all’interno dei singoli Stati).

I contrasti evidenziatisi nel momento in cui l’eurogruppo ed il Consiglio europeo avrebbero dovuto procedere al vaglio del ‘programma di riforme’ presentato dalla Grecia dimostrano che l’Europa non ha forse conseguito ancora un adeguato grado di maturità politica (i.e. la capacità di valutare le situazioni con necessario distacco emozionale, di evitare l’affermazione di tesi predefinite evidenziando un’effettiva disponibilità all’incontro, al compromesso relazionale) quale ci si sarebbe potuto (e dovuto) aspettare dopo oltre mezzo secolo dalla costituzione della Comunità. L’UE si presenta divisa e, come è stato puntualmente sottolineato, non in grado di superare «l’ortodossia dei tecnocrati e negoziare un processo per conciliare i legittimi imperativi di 28 democrazie nazionali»[34].
Ed invero, a fondamento del provocatorio progetto presentato in detta sede dal tedesco Schäuble di far uscire la Grecia dall’eurozona per cinque anni (progetto di cui ha dato notizia la stampa specializzata, ma privo di qualsivoglia riferibilità ai Trattati) si intravede – con rammarico – una posizione rancorosa (forse a causa dei diverbi in precedenza avuti da tale Ministro con il collega greco Varoufakis, il quale ha definito «terroristi» i creditori del suo Paese) o, quanto meno, l’intento di infliggere una punizione (rectius: un’umiliazione), da utilizzare alla stregua di temibile ‘gogna’, con ovvi effetti deterrenti, nei confronti di chi ha demeritato[35]. Di contro, si registra la responsabile opposizione a tale proposta di alcuni Stati (Francia, Italia) e della stessa Commissione UE, realisticamente preoccupati per le ripercussioni negative sulla stabilità della moneta unica dell’eventuale affermazione della medesima; laddove un atteggiamento silente della Cancelliera Merkel (presumibilmente a conoscenza del disegno di Schäuble e di certo consapevole dei rischi dallo stesso derivanti all’Unione) denota la prioritaria preoccupazione di quest’ultima a non perdere il consenso politico di un elettorato ormai favorevole (in un’altissima percentuale) alla linea del rigore.
Emerge una realtà europea nella quale, a tacer d’altro, la decisione politica è riferibile in via prevalente alla Germania (supportata da paesi satelliti nord-europei, anch’essi assertori di una incondizionata austerity). Si individuano, altresì, le conseguenze della pericolosa «continuità della linea egemone» di tale Stato, incurante della «fine» dell’euro, quale ipotizzabile tappa terminale del processo di disgregazione europea causato dalle richieste tedesche volte a conformare a rigore l’agere degli Stati membri; richieste avvertite alla stregua di imposizioni e come negatorie della sovranità nazionale, donde il fiorire dei movimenti populisti che da tale stato di cose traggono linfa vitale. È evidente come la miopia politica (o, forse, una logica di ipotizzata superiorità dovuta all’incidenza del sonderweg sul processo formativo della democrazia tedesca) riesca, nella fattispecie, a far aggio sulla razionalità e, dunque, su una equilibrata valutazione dei fatti in osservazione; ciò col risultato di un sempre più diffuso convincimento che la Germania si propone come arbitro unico delle sorti dell’Europa, laddove di certo l’ideale europeo non può identificarsi e confondersi con il trionfo di un indesiderato pangermanesimo[36].
Si comprende, pertanto, il clima drammatico nel quale si sono svolti i negoziati che si sono conclusi con un accordo in cui prevale la volontà di tener fermo il principio dell’irreversibilità dell’euro, fondamento della costruzione dell’UME. Il salvataggio della Grecia viene subordinato all’accettazione da parte di quest’ultima di dure condizioni (con scadenze strettissime e procedure molto stringenti) nella realizzazione di riforme, considerate necessarie al fine di «ricostruire la fiducia» con le autorità di tale Paese, indispensabile presupposto per dar corso ad «un nuovo programma del meccanismo europeo di stabilità (MES)»[37]. Detto accordo prevede, altresì, la adozione di un «programma di privatizzazione», propedeutico alla costituzione di «un fondo indipendente» destinato a monetizzare le attività greche di valore, misura garantistica gestita «sotto la sorveglianza delle pertinenti istituzioni europee» e destinata ad operare sulla base di «un quadro legislativo .. (idoneo a )… garantire procedure trasparenti e …prezzi adeguati per la vendita delle attività»[38]. Da ultimo, si chiede al Governo greco di «modernizzare e rafforzare in maniera significativa l’amministrazione» per «la creazione di capacità» e per scopi di depoliticizzazione; intervento che si lega al riesame, in vista di un’azione di modifica, della «legislazione introdotta in contrasto con l’accordo del 20 febbraio retrocedendo dagli impegni del precedente programma».
L’identificazione dei menzionati «requisiti minimi» richiesti dall’accordo «per avviare negoziati con le autorità greche», si accompagna alla previsione di un ritorno della Troika (BCE, FMI e Commissione UE) il cui controllo si configura preordinato a svolgere un ruolo che, andando oltre la mera «assistenza tecnica», sembra quello di una funzione guida «per migliorare l’attuazione ed il controllo del programma»[39]. Di certo, questo è l’aspetto più sacrificale delle misure in parola; è il dettame impositivo che maggiormente fa avvertire all’osservatore la sensazione che, per quanto obiettivamente giustificabili, i rimedi ipotizzati in sede europea incidono sulle prerogative di uno Stato sovrano, ponendosi a fondamento di critiche volte a denunciare l’insostenibilità del modello ordinatorio a base dell’Unione[40].
Alla luce di quanto precede si comprende la ragione per cui i contenuti dell’accordo testé esaminato e le modalità con cui è si pervenuti al loro perfezionamento sono stati valutati prevalentemente in chiave negatoria delle libertà che dovrebbero connotare un regime democratico. Ed invero, a fronte di giudizi che ne riconducono l’essenza ad un vero e proprio ultimatum ad un «Alexis Tsipras … andato a Canossa coprendosi la testa di cenere e accettando di capitolare di fronte a tutte le richieste dei creditori»[41], altri sottolineano come la Grecia abbia «cessato di esistere come Stato indipendente … (laddove) … i greci … (sono) … trattati da minori cui è interdetta la gestione dei propri affari»[42].
Indubbiamente si è in presenza di un contesto decisionale caratterizzato da dure prescrizioni dalle quali deriveranno «devastanti sacrifici» a carico della popolazione greca e, come si è detto, una sostanziale limitazione della sovranità dello Stato greco!  Tuttavia, l’analisi non può essere circoscritta in tale ambito, non può omettersi di considerare che gli eventi odierni sono conseguenza di una pregressa, continuata violazione delle regole e delle raccomandazioni europee, laddove il rispetto di queste ultime costituisce un’ineludibile esigenza per assicurare stabilità all’Unione e prospettive di crescita dei suoi membri in linea con le finalità perseguite dai Trattati che disciplinano il processo d’integrazione economica all’interno dell’UE.

Pertanto, una serena valutazione degli accadimenti di cui trattasi deve tener conto del fatto che il salvataggio della Grecia, per quanto ad alto prezzo, ha ridato a tale Paese la speranza di riavvisarsi su un cammino di sostenibilità economica e di recupero produttivo, scongiurando i rischi che la sua fuoriuscita dall’Eurosistema avrebbe certamente causato anche ad altri Stati membri dell’Unione. Ciò spiega come, nelle drammatiche ore del dibattito svoltosi nell’Euro Summit del 12 luglio 2015, sulla rigidità di alcune posizioni sia prevalsa la razionalità, il buon senso, la consapevolezza di quanti hanno dichiarato di non poter immaginare un’Europa senza la Grecia[43]. È evidente come sulle motivazioni che avrebbero consigliato la Grexit ha fatto aggio l’intento di rispettare i criteri ordinatori sottesi alla costruzione della ‘moneta unica’, ai quali è riconducibile la volontà disciplinare (espressa dai Trattati) di tener ferma (tra i paesi aderenti) una compattezza sistemica che non consente la possibilità di uscite o espulsioni. Si è seguita, dunque, una linea di continuità rispetto all’impegno di Mario Draghi che, dall’inizio della sua Presidenza nella BCE, ha fatto ricorso ad interventi variegati (dalla operazioni non convenzionali al Quantitative easing) per assicurare l’irreversibilità dell’euro.
Ciò posto, nel valutare la realtà sopra descritta si dovrà tener conto della circostanza che l’attuale situazione economico finanziaria della Grecia risulta talmente deteriorata da non poter prescindere da una necessaria ristrutturazione del suo debito; ciò trova, del resto, autorevole conferma nelle indicazioni del FMI che anche di recente ha ribadito la insostenibilità di tale debito e l’esigenza di procedere all’adozione di misure conseguenti[44]. È evidente come, in prospettiva, si individuino ovvi, ulteriori condizionamenti alle opzioni degli Stati membri nell’assumere decisioni volte ad assicurare la continuità della moneta unica. In tale contesto rileva, altresì, la considerazione secondo cui ogni reale programma di riduzione dell’austerity (che oggi mortifica la popolazione ellenica) deve necessariamente raccordarsi a piani di riforme a supporto della crescita, tali cioè da consentire finalmente ai paesi in difficoltà di attrarre investimenti; piani la cui realizzazione postula, ovviamente, la modifica del patto di stabilità…vale a dire l’introduzione di un sistema disciplinare destinato ad innovare profondamente l’ordinamento europeo.

5. Venendo, quindi, ad un puntuale esame della regolazione europea in tema di recesso e/o espulsione degli Stati membri, può dirsi che le conclusioni sopra rappresentate in ordine alla soluzione del problema della Grexit trovano piena conferma nei Trattati. Ed invero, come si ebbe modo di sottolineare in passato, significativa al riguardo deve ritenersi la circostanza che, pur essendo previsto dall’art. 50 del TUE il diritto di uscita (volontaria, unilaterale o negoziata) dall’Unione europea, tale diritto non è praticabile con riguardo alla sola UME[45]; donde la nostra adesione alla tesi secondo cui «non sussistono … meccanismi del nuovo Trattato che consentano l’espulsione (uscita forzata) né dall’UE, né dall’Unione monetaria»[46].
Può ora aggiungersi che l’intero disegno normativo, ipotizzato a Maastricht, è incentrato su un principio di «non regressione», quale canone fondante di un’integrazione (tra gli Stati membri) che si propone di raggiungere livelli sempre più elevati. In tale logica costruttiva – a fronte della mancata previsione di una exit dall’Unione monetaria – l’inosservanza dei criteri disciplinari che fanno carico ai componenti dell’UME (e in particolare la non conformità alla disciplina di bilancio ed il mancato rispetto dei requisiti all’uopo previsti dalla normativa) trova compendio nel complesso delle misure (sostanzialmente sanzionatorie) di cui all’art. 126 del TFUE, le quali non prevedono l’espulsione del paese inadempiente (e, tanto meno, la possibilità di una sua fuoriuscita temporanea dall’Eurosistema). Se ne deduce la conformità della tesi interpretativa in passato formulata ai canoni normativi posti a presidio delle finalità perseguite dal regolatore europeo, anche se verosimilmente può essere considerata irrealistica una costruzione giuridica che, in presenza di situazioni estreme, esclude l’applicabilità di rimedi adeguati per la loro rimozione.
In tale logica si ritiene non proponibile l’argomentazione, apparsa sulla stampa specializzata[47], che vorrebbe rinvenire una soluzione giuridica al problema della Grexit, riconducendone la legittimità al disposto dell’art. 352 del TFUE; norma nella quale si prevede che «se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate».
Al riguardo è bene precisare che la «clausola di flessibilità», quivi introdotta, essendo correlata al perseguimento delle finalità politiche dell’Unione monetaria, funziona unicamente per integrare e potenziare i meccanismi interventistici dei vertici europei (il cd. potere implicito) e non anche per ridimensionare l’area euro. Da qui la sua inapplicabilità al caso di specie, peraltro avvertita da chi ha rappresentato detta ipotesi applicativa sottolineando che secondo «gli esperti di diritto comunitario… l’articolo in questione sembra essere stato concepito… per gestire l’evoluzione del mercato interno, di cui fanno parte tutti i paesi membri»[48].
Analoga conclusione sembra prospettabile con riguardo alla possibilità di far ricorso alle previsioni normative della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati del 1969 per invocare l’applicazione dell’art 62 di quest’ultima, ravvisando nella fattispecie un mutamento di circostanze tale da costituire «motivo per porre termine al trattato o per ritirarsi da esso o meramente come motivo per sospendere l’operazione del trattato»[49]. Sul punto è il caso di far presente che l’utilizzo di tale clausola, quale fondamento di un diritto di recesso dall’UME, dovrebbe ricondurre alla crisi finanziaria il ‘mutamento di circostanze’ di cui alla disposizione in esame; interpretazione di certo estensiva rispetto alle indicazioni della dottrina che ne limita l’applicabilità in casi estremi[50]. Tale opinione è stata, del resto, confermata da una recente analisi nella quale si perviene alla conclusione che la clausola rebus sic stantibus «does not offer an easy way out of the Eurozone»[51]; conclusione che, peraltro, non contrasta con una risalente tesi nella quale si ipotizzava di poter invocare la medesima per supportare la richiesta di una revisione dei Trattati[52]!

Note

1.  Trattasi del mancato pagamento di una rata del pacchetto di finanziamenti concessi alla Grecia dal FMI; tale inadempimento ha causato il blocco di ogni futura erogazione di fondi da parte di detta istituzione allo Stato europeo ormai in dissesto, cui si è aggiunta – inoltre – la scadenza del secondo programma di salvataggio avviato negli scorsi anni dai creditori europei.

2.  Cfr. tra i tanti l’editoriale ‘Incredibile: Prodi accusa la Grecia di avere truccato i conti per entrare nell’euro, visionabile su www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=2000531&codiciTestate=1; in letteratura v. DI TARANTO, Il salvataggio temporaneo di Atene? Vantaggioso solo per Berlino, in Milano finanza del 16 marzo 2012.

3.  Già agli inizi del 2010 si ebbe un’esplosione del debito pubblico che raggiunse oltre il 120% del PIL, a questa ha fatto seguito un crescendo della sua posizione debitoria nei confronti dei paesi esteri, accompagnato dall’abbassamento del rating da parte delle agenzie internazionali (con ovvia difficoltà nel reperire i fondi necessari  per il mantenimento di adeguati livelli di liquidità nel sistema), cfr. La Crisi Finanziaria della Grecia, a cura di Borsa Italiana S.p.A., 5 febbraio 2010; NELSON, BELKIN and MIX, Greece’s Debt Crisis: Overview, Policy Responsens, and Implications, CRS Report for Congress, 2010, 14.5

4.  Così CAPRIGLIONE – SEMERARO, Crisi finanziaria e dei debiti sovrani, Torino, 2012, p. 34.

5.  Ed invero il disposto degli artt. 123 e 125 di tale Trattato è d’ostacolo alla concessione di sostegni finanziari ad un paese in crisi; la prima di tali norme, infatti, vieta facilitazioni creditizie (in particolare: l’acquisto di titoli pubblici) da parte della BCE e delle BCN agli Stati membri, mentre la seconda sancisce il cosiddetto “no bail out”, vale a dire il divieto per uno Stato membro dell’Unione di assumere il debito di un altro Stato.

6.  Cfr., tra gli altri VON BOGDANDY, IOANNIDIS, Il deficit sistemico nell’Unione europea, in Riv. trim. dir. pubbl., 3, 2014, p. 620 ss; ROSSANO, Ancora in tema di crisi dell’euro. Il caso “Grecia” e le sue implicazioni sulla moneta unica, in Federalismi.it, 2015, n. 5, p. 2 ss.

7.  Sul punto si vedano gli ampi riferimenti di ROSSANO, Ancora in tema di crisi dell’euro. Il caso “Grecia” e le sue implicazioni sulla moneta unica, cit., p. 3.

8.  Cfr. CAPRIGLIONE – TROISI, L’ordinamento finanziario dell’UE dopo la crisi, cit. p. 122 ss.

9.  Cfr. l’editoriale Mad as Hellas pubblicato da New York Times del 11 dicembre 2014.

10.  Cfr. CARACCIOLO, Ma il rigore tedesco e le nostre debolezze rischiano di liquidare anche l’idea di Europa, in laRepubblica, del 7 luglio 2015.

11.  Cfr. DECARO, Integrazione europea e diritto costituzionale, in AA.VV., Elementi di diritto pubblico dell’economia, cit., 2012, p. 49 ss.

12.  Emblematiche sono le deroghe al Trattato di Maastricht accordate dal Consiglio europeo alla Danimarca il 12 dicembre 1992, nonché la deroga accordata nel 2012 alla Francia con riguardo al Trattato di Schengen.

13.  Cfr. Camera dei deputati, XVI Legislatura, La riforma della governance economica dell’UE, 23 novembre 2011, visionabile su http://documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/AT189.htm#dossierList

14.  Cfr. EUROPEAN COMMISSION, Scoreboard for the surveillance of macroeconomic imbalances, Europen Economy Occasional Papers, February 2012, no. 92, p. 4, reperibile su http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/occasional_paper/2012/pdf/ocp92_en.pdf

15.  Cfr. CAPRIGLIONE – TROISI, L’ordinamento finanziario dell’UE dopo la crisi, cit. p. 124.

16.  Cfr. RUFFOLO – SYLOS LABINI, La Germania e il destino dell’Europa, editoriale pubblicato in data 11 settembre 2013 su laRepubblica.it.

17.  Cfr. CAPRIGLIONE – SEMERARO, Financial Crisis and Sovereign Debt. The European Union Between Risks and Opportunities, in Law and Economics Yearly Review, 2012, I, p. 23 ss.

18.  Cfr, PADOA SCHIOPPA, La sovranità in movimento, in Corriere della Sera del 15 febbraio 2010.

19.  Per ogni 100 euro in titoli di Stato greci concambiati, gli investitori ricevono 15 euro in titoli emessi dal fondo EFSF e 31.5 in nuovi titoli di Stato greci. L’interesse maturato sarà corrisposto in forma di titoli del fondo EFSF.

20.  Cfr. EUROPEAN COMMISSION, Financial assistence to Greece – Economic and financial affairs, ove si fa presente che nel  Second economic adjustment programme viene fatto esplicito riferimento ad un surplus primario del 4,5 per cento, da considerare estremamente raro; v. anche EICHENGREEN – PANIZZA, Can large primary surpluses solve Europe’s debt problem?, 30 giugno 2014, in www.voxeu.org.

21.  Cfr. EUROPEAN COMMISSION, Financial assistence to Greece – Economic and financial affairs, cit. Per un’analisi completa della posizione debitoria della Grecia e dei vincoli predisposti dagli Economic Adjustment Programme, si veda The Crisis Observatory, disponibile su http://crisisobs.gr/en/repository/?ct=98&st=104

22.  Cfr. BULOW – ROGOFF, The modern Greek tragedy, in VOX CEPR’s Policy Portal, 10 giugno 2015.

23.  Cfr. FMI, Greece. Preliminary Draft Debt Sustainability Analysis, Country Report No. 15/165, 26 giugno 2015, ove sono riportati i dati macroeconomici dell’indebitamento greco ed evidenziati i significativi cambiamenti, riscontrabili in quest’ultimo anno, che stanno portando a nuove importanti esigenze di finanziamento.

24.  Riporta tali dichiarazioni l’editoriale “Elezioni Grecia 2015, vince Tsipras: “Popolo ha scelto la fine dell’austerità” pubblicato da IlFattoQuotidiano.it del 25 gennaio 2015, visionabile su http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/25/elezioni-in-grecia-exit-poll-tsipras-in-netto-vantaggio-355-395/1368693/

25.  Cfr. le dichiarazioni di Tsipras riportate da IlFattoQuotidiano.it del 25 gennaio 2015, cit..

26.  Cfr. l’editoriale Elezioni Grecia, Alexis Tsipras trionfa. Il presidente della Bundesbank: “Rispetti impegni”, pubblicato da L’Huffington Post del 25 gennaio 2015, visionabile su http://www.huffingtonpost.it/

27.  Cfr. HATZIS, Greece needs broader structural reforms than Syriza has proposed, pubblicato su The New York Times in data 29 gennaio 2015 e reperibile su http://www.nytimes.com/roomfordebate/2015/01/27/can-greeces-anti-austeritygovernment-succeed/greece-needs-broader-structural-reforms-than-syriza-has-proposed

28.  Significative, al riguardo, sono le parole di Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo, « la Grecia ha interrotto …(il programma di aiuti) e sta sottoponendo l’ipotesi del referendum al popolo greco con una opinione negativa, cosa che noi consideriamo scorretta», cfr. l’editoriale Grecia: Eurogruppo dice no a proroga aiuti fino a referendum visionabile su www.ilvelino.it/it/article/2015/06/27/grecia-eurogruppo-dice-no-a-proroga-aiuti-fino-a-referendum/ a0465 ; v. altresì MAURO, La tragedia europea in scena ad Atene, in laRepubblica del 7 luglio 2015.

29.  Cfr. FERRARI, Grecia, l’audacia di Tsipras, in Corriere della sera del 11 luglio 2015, visionabile su www.corriere.it/economia/15_luglio_11/grecia-l-audacia-tsipras-ab93028c-27a6-11e5-ab65-6757d01b480d.shtml

30.  Vengono al riguardo in considerazione il diniego da parte dell’Eurogruppo alla richiesta di proroga degli aiuti fino al referendum, nonché la sua indifferenza di fronte alla chiusura delle banche e la dura posizione della BCE di mantenere la linea di credito straordinaria ELA (Emergency Liquidity Assistance) al livello di 89 miliardi di euro (nella gran parte utilizzati dalla banca centrale ellenica alla data del referendum).

31.  Tale notizia è visionabile sulla stampa, in particolare v. http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=11&pg=

32.  Cfr. D’ARGENIO, Cibo e farmaci ai greci, piano aiuti umanitari prima volta nell’UE, in laRepubblica del 7 luglio 2015.

33.  Nell’analisi di D. Gros, la differenza tra il quasi-default greco e altri simultaneamente in corso (come quello della colonia statunitense di Porto Rico) è nel fatto di avere creditori quasi esclusivamente ufficiali (istituzioni e altri paesi della UE). Ciò renderebbe l’azzardo politico più remunerativo rispetto a quanto si verificherebbe verso creditori privati, e prefigurerebbe ulteriori richieste e perdite per il futuro (“The key political difference is not austerity, but the fact that Greece’s debt is mainly to official creditors, who are ideal targets for political pressure.”); cfr. GROS, The meaning of a referendum: Austerity and sovereignty, reperibile su http://www.voxeu.org/article/meaning-referendum-austerity-and-sovereignty.

34.  Cfr. GARTON ASH, Quel conflitto tra democrazie che ancora divide l’Europa, in laRepubblica del 10 Luglio 2015.

35.  Cfr. l’editoriale Schäuble ipotizza un’uscita della Grecia dall’euro per 5 anni, pubblicato su IlSole24Ore del 11 luglio 2015, visionabile su http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-07-11/stampa-tedesca-schaeuble-propone-grexit-5-anni-182534.shtml.

36.  Cfr. al riguardo l’editoriale di RICCI, La vera tragedia europea è la Germania, visionabile su www.repubblica.it/economia/rubriche/eurobarometro/2015/07/13/news, ove si sottolinea «l’isolamento culturale, ideologico in cui vive la maggior potenza del continente… (legata).. ad una immagine della realtà europea fasulla, in cui, ad esempio, i tedeschi appaiono quelli che finanziano i debiti greci, anche se, pro capite, il contribuente tedesco ha versato esattamente quanto quello italiano».

37.  Cfr. EURO SUMMIT del 12 luglio 2015, p. 2 ss ove si rinviene la dettagliata elencazione delle riforme che, in tempi brevissimi, la Grecia dovrà attuare (dalla semplificazione del regime dell’IVA, alla sostenibilità del regime pensionistico, all’attuazione del Trattato sulla stabilità, alla revisione delle procedure del sistema di giustizia civile, ecc.), accompagnate dall’impegno formale del Governo greco ad adottare un ‘calendario’ soddisfacente per le realizzazioni programmate.

38.  Cfr. EURO SUMMIT del 12 luglio 2015, cit. p. 4.

39.  Cfr. EURO SUMMIT del 12 luglio 2015, cit. p. 5.

40.  Fra i tanti studi meritevole di particolare segnalazione sembra essere quello di SAVONA, Grexit. Il “J’accuse”, Soveria Mannelli (Catanzaro), 2015.

41.  Cfr. CERRITELLI, I pericoli sottovalutati dell’Europa dei diktat, in Il Sole 24 Ore del 13 luglio 2015.

42.  Cfr. CARACCIOLO, Il protettorato in maschera, in la Repubblica del 14 luglio 2015.

43.  Per tutti si veda l’editoriale dal titolo Romano Prodi: “Atene non uscirà dall’euro ma senza autorità federale sarà proprio l’Unione a fallire”, pubblicato dalla stampa specializzata e visionabile su http://www.repubblica.it/economia/2015/07/02/news/romano_prodi_atene_non_uscira_dall_euro_ma_senza_autorita_federale….

44.  Cfr. FMI, Greece. Preliminary Draft Debt Sustainability Analysis, cit.

45.  Cfr. CAPRIGLIONE – SEMERARO, Financial Crisis and Sovereign Debt. The European Union Between Risks and Opportunities, cit., p. 24.

46.  Cfr. MASERA, La crisi dell’eurozona e l’Italia, relazione al Convegno “Può l’Italia uscire dall’euro?”, (Fondazione Roma, 11 novembre 2011); tesi recentemente sostenuta anche da altri studiosi, v. in particolare ROSSANO, Ancora in tema di crisi dell’euro. Il caso “Grecia” …, cit, p. 14, il quale precisa: «nell’ipotesi in cui la Grecia intenda uscire dall’euro ma rimanere nell’UE, essa non avrebbe altra alternativa che concludere la procedura di exit prevista dalla normativa e avviare quella di rientro nell’Unione ai sensi dell’art. 50, ul. co., TUE»

47.  Cfr. CHIELLINO, L’opzione giuridica di Grexit, in Il Sole 24 Ore del 30 giugno 2015.

48.  Cfr. CHIELLINO, L’opzione giuridica di Grexit, cit.

49.  Cfr. PACCIONE, Il diritto di uno stato membro dell’unione europea ad abbandonare l’eurozona, in Rivista di finanza, 2013, p. 7.

50.  Cfr. tra gli altri CARON, The Legitimacy of the Collective Authority of the Security Council, in Am.J. Int. L., 1993, p. 552 ss.; DI ROSA, The Recent Wave of Arbitrations Against Argentina Under Bilateral Investment Treaties: Background and Principal Legal Issues, in Am. L. Rev., 2004, p. 41ss.; COHEN, “Undead” Wartime Cases: Stare Decisis and the Lessons of History, 84, in Tul. L. Rev., 2010, p. 957 ss.

51.  Cfr. DAMMANN, The Right to Leave The Eurozone, in Texas International Law Journal, 2013, p. 137.

52.  Ci si riferisce alla tesi che ritiene pienamente legittimo un uso siffatto della clausola rebus sic stantibus di cui art.62 della Convenzione di Vienna, per tutti cfr. ATHANASSIOS, Termination of Treaties in International Law: The Doctrines of Rebus sic Stantibus and Desuetude, in Clarendon Press, University Michigan, 1985, p.138 ss.