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La banca che ci manca. Le banche centrali, l’Europa, l’instabilità del capitalismo – Discussione sul libro di Pierluigi Ciocca (I parte)

di e - 11 Giugno 2015
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Il problema di una supervisione tecnica sulle scelte finanziarie e di bilancio, comunque, è molto avvertito dal nostro ordinamento: basta pensare all’istituzione dell’Ufficio parlamentare di bilancio (peraltro non accompagnato – come a me sembrerebbe opportuno – da un equivalente nell’organigramma del Governo). In ogni caso, una volta che questo problema si affaccia al livello della giurisdizione si pone – come accennato – in forme particolari, perché al giudice mancano gli strumenti per risolverlo direttamente, sicché non è azzardato prevedere che in futuro si faranno più frequenti gli apporti consulenziali dei quali la magistratura si avvarrà.
Concludo questo breve intervento con due ultime osservazioni.
La prima: l’insistenza di Pierluigi sulla discrezionalità del banchiere centrale è musica per le mie orecchie, perché evoca un’esigenza di flessibilità. Si tratta di un’esigenza che a mio avviso traspare chiaramente anche nella legge costituzionale n. 1 del 2012 (sta a dire: nella riforma dell’art. 81 Cost., ma non solo, visto che molti altri paradigmi costituzionali, come – in particolare – gli artt. 97 e 119, sono stati incisi), nella quale, per dirla con una formula ad effetto, si nasconde una sorta di rigidità flessibile.
Certo, nel titolo della legge si scrive ch’essa intende introdurre in Costituzione il principio del pareggio di bilancio, ma nel testo della legge non v’è nulla che corrisponda a questa dichiarata intenzione, visto che vi si parla sempre e soltanto di equilibrio e che l’equilibrio di bilancio (specie per come disegnato dalla riforma) è cosa totalmente diversa dal pareggio.
Ebbene: se leggiamo la legge costituzionale n. 1 del 2012 nella prospettiva della flessibilità (una prospettiva, aggiungo, che la legge attuativa ha assunto con minore coerenza), a mio avviso, interpretiamo correttamente il suo testo, senza farci ingannare dal suo titolo. Non solo: la leggiamo conformemente ai principi costituzionali fondamentali. Se, infatti, dovessi dire qual è nel testo originario della Costituzione la cifra essenziale della disciplina del bilancio, direi con sicurezza che si tratta proprio della flessibilità, che non significa legittimazione della finanza allegra, ma neppure significa l’algida e aritmetica rigidità del principio del pareggio.
Infine, un’osservazione su quanto si scrive a p. 123, nelle conclusioni del volume, trattando una questione che ho a cuore in modo particolare: quella del rapporto tra indebitamento netto e spese di investimento; insomma, della golden rule in senso stretto.
Neutralizzare le spese per gli investimenti nel calcolo dell’indebitamento netto? E’, questa, una risposta corretta? Qui – è chiaro – si possono sostenere le tesi più varie, ma richiamerei l’attenzione su un fatto: che questa scelta, della quale – ovviamente – si può discutere sul piano tecnico, deve essere calibrata sulle esigenze delle singole esperienze economico-sociali e sulle esigenze dei singoli ordinamenti. La neutralizzazione delle spese di investimento, infatti, ha un significato diverso in un Paese fortemente infrastrutturato (come può essere la Germania) ed in un Paese che infrastrutturato lo è assai più debolmente (come può essere l’Italia).
Non solo. Se discutiamo della neutralizzazione della spesa per gli investimenti, va ovviamente chiarito cosa per spesa di investimento s’intenda, perché non possiamo fare (come dire) di ogni erba un fascio (senza contare che – davanti a tanti economisti presenti oso solo menzionare il tema – a seguire Keynes  v’è da chiedersi se, sul piano funzionale, abbia davvero senso distinguere tra spese di investimento e spese correnti). Se vale la precisazione fatta prima, sulla diversità delle esigenze dei vari Paesi, la prospettiva da assumere in questa analisi sembra chiara.

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