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La banca che ci manca. Le banche centrali, l’Europa, l’instabilità del capitalismo – Discussione sul libro di Pierluigi Ciocca (I parte)

di e - 11 Giugno 2015
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Intervento di Pierluigi Ciocca

Dico solo due parole, dando per scontato che il libro sia stato scorso, non solo da coloro che interverranno a commentarlo. Ho scritto il libro, da un lato, a testimonianza di una sconfitta, dall’altro, per gettare nel mare la bottiglia con un messaggio positivo, non escludendo che si muova verso istituzioni-banca centrale “più utili”.
La storia del pensiero economico, del pensiero giuridico, dei fatti ci ha affidato fondamentalmente due modelli di banca centrale.
Uno è quello che “odio”, l’altro è quello che “amo”. Il primo è un modello nel quale alla Banca Centrale si dice: “Devi occuparti di una finalità esclusiva, quantomeno prevalente, e devi perseguirla tenendo comportamenti canonici, al limite predeterminati, quantomeno prevedibili da parte del mercato, affinché non lo si turbi”. È il modello Bundesbank, un tempo minoritario nel panorama del “central banking” internazionale.
Dall’altro lato – all’opposto, perché i due sono inconciliabili – vi è il modello che preferisco e che ho avuto l’opportunità di vivere nella Banca d’Italia. Alla banca centrale si affidano una pluralità di fini economico-sociali da perseguire, potenzialmente anche in conflitto tra loro, e una panoplia di strumenti, sia di mercato sia amministrativi. Si fa leva, quindi, non soltanto sull’indipendenza della istituzione – come è certamente il caso anche nell’altro modello – ma sulla discrezionalità, quantomeno tecnica, forse anche amministrativa, al limite del politico, che essa è chiamata a esercitare in una materia opinabile come quella monetaria e finanziaria.
Nella bottiglietta lanciata in mare si prende atto che la crisi del 2008 ha indotto a un ripensamento dello stile di “central banking“ che aveva prevalso a partire dagli anni 1970 e che si è imposto anche in Europa con il Sistema Europeo di Banche Centrali (lo stile Bundesbank). La crisi è stata molto grave, per la sua complessa eziologia e per le sue conseguenze. Ha posto le autorità di vigilanza e, segnatamente le banche centrali, di fronte a decisioni drammatiche, da assumere nel volgere di un tempo cronologico misurabile in ore, se non in minuti. Nel libro, registro i ripensamenti nella direzione della banca centrale a tutto tondo a cui soprattutto penso, ripensamenti che la crisi ha suscitato. Ma lo sbocco concreto, istituzionale di tali ripensamenti è stato sinora contraddittorio e parziale (il caso inglese, il caso europeo, il caso della Fed, sono descritti nel libro).
La questione della discrezionalità, dei suoi contenuti e dei suoi limiti, è cruciale. Non deve scadere nell’arbitrio, lungo un crinale sottile, almeno per me difficile da tracciare sotto il profilo giuridico. Faccio appello nel libro alle teorie economiche e alle analisi economiche anche empiriche di cui oggi disponiamo, ben più solide che in passato. Esse tracciano paradigmi di comportamento rispetto ai quali verificare (da parte dell’Esecutivo, del Parlamento, della Magistratura, dell’opinione pubblica) se della discrezionalità la banca centrale ha fatto uso, ovvero ha abusato.
La modesta (!!) proposta è che sul piano macroeconomico le banche centrali si occupino non soltanto di stabilità dei prezzi, ma anche di livello dell’attività produttiva, di occupazione e altre variabili, inestricabilmente connesse fra loro nel capitalismo moderno. Propongo che le Banche Centrali si occupino di supervisione bancaria e – perché no? – finanziaria. Infine – terza proposta, il tema più delicato – esse non possono ignorare il rapporto con la finanza pubblica. Devono avere la facoltà di finanziare lo Stato, purché solo illiquido, non insolvente. Cito una frase famosa del Governatore Carli di quarant’anni fa, quando egli dichiarò, più o meno: “Potevo non finanziare la spesa pubblica in quei difficili giorni? Se fossero mancati i denari, non sarebbero stati onorati gli impegni dello Stato. Non finanziare sarebbe stato atto sedizioso”.
Fu poi promulgata una legge che obbligava la Banca d’Italia a sospendere il finanziamento dello Stato, ricorrendo certe condizioni di difficoltà nelle pubbliche finanze. Ricordo un episodio. Nei primi anni 1980 il Governatore Ciampi dovette far scattare la legge. Sospese i pagamenti come la legge obbligava a fare. Vi fu una telefonata del Presidente della Camera, Leonilde Iotti: “Governatore, sono andata a ritirare lo stipendio allo sportello del Banco di Napoli di Montecitorio, ma non me lo hanno pagato”. Allora Ciampi, con la sua straordinaria forma, le spiegò i motivi. La Presidente Iotti, di rimando: “Ora che facciamo, Governatore?”. Risposta del Governatore: “Il Parlamento, assumendosene la responsabilità politica, obblighi la Banca con legge a finanziare una tantum lo Stato”.
Le tre proposte, insomma, chiamano in causa la discrezionalità, comunque definita, da meglio definire.
Supponiamo di essere stati presenti in una drammatica riunione, a metà settembre del 2008, a Washington. Una riunione a tre: il Ministro del Tesoro Paulson, ex banchiere, il presidente della Fed Bernanke, economista e storico dell’economia, e Timothy Geithner, allora presidente della Fed di New York, quella che tra le banche della Riserva Federale attua gli interventi nei mercati. Salvare Lehman o no? Alla fine si decide di “non salvare” Lehman. Crolla il mondo. Noi non c’eravamo in quella riunione, ma i tre protagonisti fecero riferimento esplicito alla dimensione giuridica del problema. Ho in mente in particolare Geithner, un decisore, un economista non accademico. La conclusione fu che la magistratura avrebbe probabilmente stigmatizzato un intervento di salvataggio per Lehman. La Section 13 (3) dello statuto della Fed non è chiara. Forse offriva gli estremi giuridici per salvarla, forse no. Quei tre signori alla fine decisero di non spingere all’estremo l’esercizio della loro discrezionalità… e fu la crisi.

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Intervento Prof. Massimo Luciani

Questo libro ha molti meriti. Colpiscono il giurista soprattutto alcuni passaggi, dai quali emerge l’attenzione continua alla dimensione istituzionale, alla dimensione del diritto, nella migliore tradizione della scienza economica. E’ significativo che questa dimensione istituzionale emerga anche quando si dà conto del pensiero di un grande economista classico come Ricardo, del quale si ricorda l’intervento sull’istituzione della Banca Centrale.

Trascrizione degli interventi al seminario sul libro di Pierluigi Ciocca “La Banca che ci manca. Le banche centrali, l’Europa, l’instabilità del capitalismo”, ApertaContrada 31 marzo 2015.

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