Corte costituzionale, sentenza 16 aprile 2015, n. 60
La Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità di alcuni articoli della legge della Regione Basilicata 30 aprile 2014, n. 7 che consentono, a determinate condizioni, l’eliminazione mediante abbruciamento dei residui vegetali, inclusi quelli provenienti dall’attuazione dei piani di forestazione e dalla potatura dei complessi boscati, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri. Secondo il ricorrente, tale disciplina si sarebbe posta in contrasto con l’art. 117, Cost., che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, in quanto violerebbe la normativa sullo smaltimento dei rifiuti contenuta nel Codice dell’Ambiente. La Corte, invece, ha ritenuto, come già in altri casi analoghi, che la disciplina dell’abbruciamento di residui vegetali rientri nella materia dell’agricoltura, di competenza residuale regionale, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.
SENTENZA N. 60
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 10, commi 2, 3 e 4, e 29 della legge della Regione Basilicata 30 aprile 2014, n. 7 (Collegato alla Legge di bilancio 2014-2016), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 30 giugno-2 luglio 2014, depositato in cancelleria il 3 luglio 2014 ed iscritto al n. 48 del registro ricorsi 2014.
Udito nell’udienza pubblica del 10 marzo 2015 il Giudice relatore Marta Cartabia;
udito l’avvocato dello Stato Alessandro Maddalo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso spedito per la notifica il 30 giugno 2014, ricevuto dalla resistente il 2 luglio 2014, depositato nella cancelleria di questa Corte il 3 luglio 2014 ed iscritto al n. 48 del registro ricorsi 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale degli artt. 10, commi 2, 3 e 4, e 29 della legge della Regione Basilicata 30 aprile 2014, n. 7 (Collegato alla Legge di bilancio 2014-2016), in riferimento agli artt. 3, 81, terzo comma, 97 e 117, commi primo, secondo, lettere l) ed s), e terzo, della Costituzione.
1.1.– Il ricorrente ha anzitutto censurato l’art. 10, commi 2, 3 e 4, della legge reg. Basilicata n. 7 del 2014 – che contiene una serie di modifiche agli artt. 7 e 8 della legge della Regione Basilicata 22 febbraio 2005, n. 13 (Norme per la protezione dei boschi dagli incendi) –, in riferimento all’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera s), Cost.
Mentre l’art. 10, comma 1, non impugnato, ha introdotto, nell’art. 7, comma 1, lettera m), della legge reg. Basilicata n. 13 del 2005, il divieto di eliminare mediante abbruciamento i residui vegetali, così come definiti dall’art. 184, commi 2, lettera e), e 3, lettera a), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), d’ora in poi «codice dell’ambiente», il comma 2 del medesimo art. 10, oggetto invece di impugnazione al pari dei due commi successivi, ha modificato l’art. 7, comma 2, lettera b), della legge reg. Basilicata n. 13 del 2005, includendo, tra le deroghe ammesse (valide solo dall’alba al tramonto e nelle giornate senza vento), anche la seguente fattispecie: «l’eliminazione mediante abbruciamento dei residui vegetali, provenienti dai lavori di forestazione eseguito da idoneo personale addetto al settore forestale, in esecuzion[e] di Piani di Forestazione nel rispetto di quanto previsto dal successivo art. 8 comma 8».
I successivi commi 3 e 4 del medesimo art. 10 hanno apportato altrettante novelle all’art. 8 della legge reg. Basilicata n. 13 del 2005, rispettivamente modificando il comma 3 e introducendo il comma 8. In particolare, l’art. 10, comma 3, consente di bruciare i residui della potatura delle coltivazioni legnose e dei complessi boscati, ivi compresi quelli derivanti dagli interventi di spalcatura, purché nel rispetto di una serie di condizioni: ossia, se disposti in cumuli e in aree sgombre da piantagioni e distanti dai boschi e solo per esigenze di carattere fitosanitario al fine di eliminare fonti di diffusione di organismi nocivi per le piante e per l’uomo, nonché nei casi in cui l’accumulo di tale materiale possa provocare un rischio per l’innesco di incendi. L’art. 10, comma 4, pone invece una serie di condizioni, a tutela della salute e dell’ambiente, alle quali deve sottostare la combustione dei residui vegetali in esecuzione degli interventi previsti nei piani di forestazione: attinenti l’orario (dal sorgere del sole fino alle ore 10), lo spegnimento in caso di vento o altre condizioni di pericolosità sopravvenute, la larghezza dell’area da destinare alla bruciatura (almeno 3 metri privi di vegetazione), la presenza di personale idoneo, le dimensioni dei cumuli (al massimo pari a 3 metri steri ad ettaro al giorno), la previa comunicazione al Corpo forestale dello Stato (almeno 24 ore prima dall’inizio dell’attività).
Il ricorrente ha quindi richiamato la disciplina contenuta nel codice dell’ambiente, e in particolare negli artt. 183, comma 1, lettera a), 184, comma 4, lettera e), 184-bis e 185, comma 1, lettera f). Da tale disciplina ha ricavato che i residui vegetali provenienti dai lavori di forestazione e i residui della potatura delle coltivazioni legnose e dei complessi boscati, oggetto della disciplina impugnata, non sarebbero qualificabili come sottoprodotti, in quanto la nozione di sottoprodotto di cui all’art. 184-bis del codice dell’ambiente si incentrerebbe sulla certezza di un riutilizzo nel corso di un processo di produzione (in proposito il ricorrente richiama la decisione della Corte di giustizia CE, 11 novembre 2004, causa C-457/02, Niselli, punti n. 44 e n. 45); né tanto meno potrebbero ritenersi esclusi dal campo di applicazione della parte IV del codice dell’ambiente, relativa ai rifiuti, in quanto l’esclusione prevista dall’art. 185, comma 1, lettera f), di tale codice si baserebbe sul successivo utilizzo mediante processi o metodi che non danneggino l’ambiente e non mettano in pericolo la salute umana (è richiamata la medesima sentenza della Corte di giustizia, al punto n. 32). Ne discenderebbe, sempre nella ricostruzione proposta dall’Avvocatura generale dello Stato, che i materiali in questione costituirebbero – salvo il caso di un loro riutilizzo nei termini di cui agli artt. 184-bis e 185, comma 1, lettera f), del codice dell’ambiente – veri e propri rifiuti e andrebbero assoggettati alle prescrizioni di cui alla parte IV del codice dell’ambiente, e in particolare agli artt. 179, comma 1, e 182 di tale codice.
Poiché con queste disposizioni il legislatore statale ha puntualmente recepito le direttive comunitarie in materia di rifiuti (da ultimo, la direttiva del 19 novembre 2008, n. 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive), le impugnate norme regionali violerebbero, in primo luogo, l’art. 117, primo comma, Cost., laddove richiede che la potestà legislativa statale e regionale sia esercitata nel rispetto dei «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario»; e altresì, in secondo luogo, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal momento che la disciplina dei rifiuti afferirebbe alla materia della tutela dell’ambiente, rientrante nella legislazione esclusiva dello Stato, nell’ambito della quale le Regioni non possono legiferare, neppure in via sussidiaria, apportando deroghe alle norme statali (si richiama la sentenza n. 249 del 2009 di questa Corte).
1.2.– Relativamente all’art. 29 della legge reg. Basilicata n. 7 del 2014, il ricorrente ha osservato che tale articolo modifica l’art. 4, comma 1, della legge della Regione Basilicata 15 aprile 2014, n. 4 (Riorganizzazione delle funzioni regionali in materia di erogazioni comunitarie in agricoltura), estendendo anche al personale a tempo determinato, purché nei ruoli di altra pubblica amministrazione, il trasferimento nei ruoli organici della Regione Basilicata (o degli altri enti strumentali da essa dipendenti) del personale dell’Agenzia della Regione Basilicata per le Erogazioni in Agricoltura (d’ora in poi «ARBEA»), trasferimento che originariamente era stato previsto per il solo personale a tempo indeterminato della medesima Agenzia, soppressa in applicazione della legge reg. Basilicata n. 4 del 2014.
Il ricorrente ha censurato questa disposizione per violazione anzitutto dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che attribuisce alla legislazione esclusiva dello Stato la materia dell’ordinamento civile, in quanto si porrebbe in contrasto con l’art. 30, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), laddove dispone che le amministrazioni pubbliche possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica, in servizio presso altre amministrazioni, i quali facciano domanda di trasferimento. A questo fine, l’Avvocatura generale dello Stato ha richiamato quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 324 del 2010, secondo cui la disciplina dell’istituto della mobilità volontaria rientra nella materia di rapporti di diritto privato, in quanto essa si configura come una fattispecie di cessione del contratto, che è negozio tipico disciplinato dagli artt. 1406 e seguenti del codice civile.
Inoltre, sempre ad avviso del ricorrente, l’impugnato art. 29 sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., laddove enunciano i principi di eguaglianza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, dal momento che esso disporrebbe l’inquadramento nei ruoli regionali con rapporto di lavoro a tempo indeterminato di personale assunto a tempo determinato che non ha superato un pubblico concorso.
In terzo luogo, la disposizione impugnata violerebbe altresì l’art. 117, terzo comma, Cost., nella parte in cui riserva allo Stato i principi in materia di coordinamento della finanza pubblica, in quanto non rispetterebbe le disposizioni sui vincoli di assunzione di cui all’art. 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art 1, comma 1, della, legge 6 agosto 2008, n. 133, richiamandosi, a supporto, la sentenza n. 148 del 2012 di questa Corte.
In quarto e ultimo luogo, l’art. 29 della legge reg. Basilicata n. 7 del 2014 contrasterebbe con “il principio fondamentale del coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 81, 3° comma, Cost.”, in quanto non prevedrebbe che il trasferimento del personale sia accompagnato dal trasferimento delle relative risorse finanziarie.
2.– La Regione Basilicata non si è costituita in giudizio.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10, commi 2, 3 e 4, e 29 della legge della Regione Basilicata 30 aprile 2014, n. 7 (Collegato alla Legge di bilancio 2014-2016), in riferimento agli artt. 3, 81, terzo comma, 97 e 117 della Costituzione, quest’ultimo relativamente sia al primo comma, sia al secondo comma, lettere l) ed s), sia al terzo comma. La Regione Basilicata non si è costituita in giudizio.
2.– L’art. 10, commi 2, 3 e 4, della legge reg. Basilicata n. 7 del 2014 è censurato nella parte in cui, modificando gli artt. 7 e 8 della legge della Regione Basilicata 22 febbraio 2005, n. 13 (Norme per la protezione dei boschi dagli incendi), consente, a determinate condizioni, l’eliminazione mediante abbruciamento dei residui vegetali, inclusi quelli provenienti dall’attuazione dei piani di forestazione e dalla potatura dei complessi boscati.
2.1.– Ad avviso del ricorrente, tale disciplina si porrebbe in contrasto con l’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera s), Cost., che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, in quanto violerebbe la normativa sullo smaltimento dei rifiuti contenuta negli artt. 183, 184, 184-bis e 185, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e nella direttiva del 19 novembre 2008, n. 2008/98/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive).
2.2.– La questione non è fondata.
Questa Corte ha già avuto modo di esprimersi recentemente su leggi di altre Regioni recanti disposizioni simili, e approvate nel medesimo periodo di tempo. Essa ha giudicato non fondate analoghe censure (sentenze n. 38 e n. 16 del 2015), ritenendo che la disciplina dell’abbruciamento di residui vegetali rientri nella materia dell’agricoltura, di competenza residuale regionale, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.
La Corte ha affermato tale principio anche a prescindere dall’intervento del legislatore statale che – nel nuovo art. 182, comma 6-bis, introdotto nel codice dell’ambiente con l’art. 14, comma 8, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 116 – ha esplicitato che «le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui all’articolo 185, comma 1, lettera f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti». Nei precedenti sopra citati, infatti, questa Corte ha ritenuto – in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione (ex plurimis, terza sezione penale, sentenza 7 marzo 2013, n. 16474; e sentenza 7 gennaio 2015, n. 76) – che tanto l’art. 185, comma 1, lettera f), del codice dell’ambiente, quanto le corrispondenti disposizioni della direttiva n. 2008/98/CE consentivano, anche prima della ricordata introduzione del comma 6-bis nell’art. 182 del codice dell’ambiente, di annoverare tra le attività escluse dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti l’abbruciamento in loco dei residui vegetali, in quanto pratica ordinariamente applicata in agricoltura e nella selvicoltura. Di conseguenza, il legislatore regionale è legittimamente intervenuto in tale ambito, trattandosi di una disciplina che rientra nella materia dell’agricoltura, riconducibile alle competenze di carattere residuale, di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2013, n. 116 del 2006, n. 283 e n. 12 del 2004).
I medesimi principi conducono a dichiarare non fondate le censure riferite all’art. 10, commi 2, 3 e 4, della legge reg. Basilicata n. 7 del 2014, i quali, nel consentire a determinate condizioni l’attività di abbruciamento dei rifiuti vegetali, contengono una disciplina che per taluni profili risulta persino più restrittiva rispetto a quella disposta dalle leggi regionali precedentemente giunte all’attenzione della Corte costituzionale e che già hanno superato il vaglio di costituzionalità.
3.– L’art. 29 della legge reg. Basilicata n. 7 del 2014 è censurato nella parte in cui, modificando l’art. 4, comma 1, della legge della Regione Basilicata 15 aprile 2014, n. 4 (Riorganizzazione delle funzioni regionali in materia di erogazioni comunitarie in agricoltura), dispone il trasferimento nei ruoli organici della Regione Basilicata o degli altri enti strumentali da essa dipendenti anche del personale a tempo determinato appartenente all’ARBEA (Agenzia della Regione Basilicata per le Erogazioni in Agricoltura), purché nei ruoli di altra pubblica amministrazione. Tale disposizione violerebbe, anzitutto, l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., laddove affida alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia dell’«ordinamento civile», in quanto contrasterebbe con la disciplina sulla mobilità nel pubblico impiego contenuta nell’art. 30, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche); in secondo luogo, gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto comporterebbe l’immissione nei ruoli della Regione a tempo indeterminato di personale assunto a tempo determinato e che non ha superato un pubblico concorso; in terzo luogo, l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasterebbe con i principi di coordinamento della finanza pubblica sui vincoli di assunzione nel pubblico impiego di cui all’art. 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133; in quarto ed ultimo luogo, l’art. 81, terzo comma, Cost., in quanto non prevedrebbe che il trasferimento del personale sia accompagnato dal trasferimento delle relative risorse finanziarie.
3.1.– La questione è inammissibile.
Il ricorrente muove dal presupposto che l’impugnato art. 29 della legge reg. Basilicata n. 7 del 2014 configuri una forma di mobilità del personale pubblico o, alternativamente, di stabilizzazione di personale assunto, senza concorso a tempo determinato, presso l’ARBEA. Le censure, che peraltro si sviluppano in poche succinte righe dell’atto introduttivo del presente giudizio, non tengono conto in alcun modo del contesto normativo in cui si inserisce la disposizione impugnata, la quale modifica l’art. 4, comma 1, della legge regionale n. 4 del 2014, che dispone lo scioglimento di una agenzia regionale, l’ARBEA appunto, con contestuale trasferimento delle relative funzioni alla Regione, nonché del personale, del patrimonio e di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi già facenti capo all’Agenzia. Ai sensi dell’art. 2 della legge regionale n. 4 del 2014, infatti, la Regione «subentra in tutte le posizioni attive e passive facenti capo ad ARBEA, nei rapporti di lavoro in essere, nonché nelle componenti patrimoniali, così come presenti nell’inventario dei beni dell’ente». L’impugnato art. 29 deve perciò essere inquadrato nell’ambito del trasferimento di attività dalla disciolta Agenzia alla Regione, previsto e disciplinato dall’art. 31 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (si veda per una ipotesi analoga la sentenza n. 226 del 2012), mentre il richiamato parametro interposto – l’art. 30 del medesimo decreto legislativo, relativo alla mobilità volontaria del personale pubblico tra amministrazioni diverse – risulta del tutto inconferente. Inoltre, il ricorso non dà conto in alcun modo del fatto che due dei parametri interposti invocati sono stati oggetto di interventi modificativi, in particolare ad opera del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 114, entrato in vigore dopo la deliberazione del ricorso da parte del Consiglio dei ministri, ma anteriormente alla data in cui il ricorso è stato sottoscritto e inviato per la notifica. Anche sotto questo profilo, dunque, le censure non appaiono supportate da sufficiente ed adeguata motivazione. Ne risulta l’inammissibilità della questione di legittimità, per erronea e incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento (ex plurimis, sentenza n. 165 del 2014, sentenza n. 114 del 2013 e ordinanza n. 174 del 2012).
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 della legge della Regione Basilicata 30 aprile 2014, n. 7 (Collegato alla Legge di bilancio 2014-2016), promossa, in riferimento agli artt. 3, 81, terzo comma, 97 e 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 2, 3 e 4, della legge reg. Basilicata n. 7 del 2014, promossa, in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 aprile 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI