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Riforma delle tariffe elettriche: miglioramenti di efficienza o un altro taglio allo stato sociale?

di - 16 Aprile 2015
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Peccato che da studi più svariati, che vanno da articoli su riviste dedicate a tesi di dottorato e alle analisi del Gestore del Mercato Elettrico[5], emerga, e non solo grazie al noto Herfindhal-Hirschmann Index, peraltro elaborato allo scopo, ma anche da altri indicatori economici, quanto “potere di mercato” ancora esista e quanto collusivi possano essere i comportamenti degli operatori. In queste circostanze davvero sorprende che il regolatore (l’Autorità per l’energia), che dovrebbe continuare a svolgere la funzione di protezione del consumatore dal gestore con potere di mercato, debba invece assicurare la copertura dei costi in una situazione di consumi ridotti dalla crisi e in uno scenario, quello italiano, nel quale l’elettricità ha un costo per l’utenza, nella migliore delle ipotesi almeno del 20% superiore a quello degli altri paesi europei. Il che è un altro eloquente indicatore di concentrazione del mercato e di quanto poco siano protetti gli utenti/consumatori. Vediamo adesso la posizione dell’Unione Europea rispetto ai sussidi-incrociati. Premesso che l’esatta definizione, e ancor più la misurazione, di questi sussidi non è così scontata[6], ciò che l’UE non accetta sono i sussidi incrociati quando consentono la pratica dei prezzi predatori che allontanano i potenziali concorrenti oppure, come può verificarsi nel caso di imprese integrate verticalmente, e spesso quelle del settore dell’elettricità lo sono, non consente il trasferimento di ciò che si genera nel settore regolato a quello non regolato[7]. Per questo, la Commissione, nell’ottica del mercato interno dell’energia, spinge verso una maggiore liberalizzazione e la legislazione europea già richiede che le società separino le attività di rete (trasmissione, generalmente in monopolio, e distribuzione) dalle altre (generazione e offerta) mentre nessuna menzione è fatta alla questione della progressività tariffaria. Analogamente non ci risulta che l’Agency for the Cooperation of Energy Regulators (ACER) si sia mai occupata della questione. Dunque non esistono “controindicazioni” vere alla progressività delle tariffe: – non sono in contrasto con le scelte energetiche europee, – sono efficaci nel contenere i consumi e perciò coerenti con l’obiettivo di protezione ambientale, – ed attuano una certa equità nella distribuzione dei costi. E se da un lato mancano controindicazioni, dall’altro non si riesce a immaginare come la rimozione possa essere sostenuta sull’argomentazione dei miglioramenti di efficienza. Il superamento della progressività può fondarsi o sulla volontà di far recuperare i costi ai fornitori pur sapendo che dati il potere di mercato e la collusività nei comportamenti, già praticano tariffe finali ben più alte di quelle medie europee oppure sull’obiettivo specifico, non dichiarato, di incentivare l’uso delle pompe di calore (come si vedrà) oppure semplicemente come taglio alla solidarietà. In effetti due appaiono le motivazioni vere, non dichiarate, a sostegno del superamento della progressività. La prima e forse più importante, riguarda proprio la copertura dei costi che in tempi di consumi calati e forse ancora calanti e comunque minori di quelli attesi, è messa in pericolo se il grosso delle entrate viene dalla parte legata ai consumi e tanto più se deriva da tariffe crescenti al crescere di questi e la seconda che si voglia incentivare l’uso dell’elettricità. Per assicurare la copertura dei costi, la rimodulazione delle tariffe dalla parte variabile alla fissa è certamente efficace anche se così facendo si fa ricadere il costo di fornitura più sugli utenti a minor reddito generalmente corrispondenti ai consumi più bassi. Per migliorare l’efficienza nella fornitura, una volta intrapresa la via della privatizzazione, non c’è che da procedere con la liberalizzazione in modo da erodere il potere di mercato delle imprese operanti e rendere davvero credibile l’ingresso di altre. Questo è per esempio ciò che fa l’Unione europea per creare un vero mercato unico integrato dell’energia mentre assicurare la copertura dei costi[8] attraverso aumenti della parte fissa della tariffa per controbilanciare il calo dei consumi, non va certo nella direzione di aumentare la concorrenza, anzi protegge e rafforza gli operatori presenti sul mercato. La seconda motivazione si lega agli indirizzi di politica energetica che attualmente sembrano spirare verso un maggior uso del vettore elettrico che, secondo l’Autorità, sarebbe più idoneo di altre fonti a promuovere sia l’efficienza energetica che la sostenibilità ambientale. E si citano le auto elettriche, le pompe di calore per il riscaldamento e la produzione di acqua calda e magari le piastre per cucinare. Per la verità l’obiettivo sembra proprio quello di incentivare l’installazione negli edifici delle pompe di calore tant’è che già esiste una tariffa dedicata D1 che consente un risparmio dell’ordine del 30% rispetto alla tariffa standard D3 (ovviamente per accedere ad essa, in questa fase sperimentale che durerà fino al 31 dicembre di quest’anno, si devono avere certi requisiti come essere utenti domestici di prima casa, avere il contatore smart ed altro). Dunque l’obiettivo di fare usare più elettricità è chiaro ed anche facilmente rafforzabile con l’argomento ambientale dato che, si sottolinea, è alternativo alle fonti fossili[9]. Se questo è il fine le tariffe proposte dall’ Autorità appaiono ben pensate: favoriscono i grandi consumi di elettricità e assicurano la copertura dei costi grazie all’espansione della componente fissa. Più difficile è individuare la coerenza in termini di rimozione degli ostacoli all’efficienza nella fornitura dell’energia. Infine, un’ultima perplessità. Ma se, come da decreto, l’ Autorità agisce in modo da sostenere l’elettricità e le pompe di calore, non si sta snaturando la sua funzione di regolatore a favore di una vera e propria attività di indirizzo di politica energetica? Può allora sorprendere che l’Autorità sostenga il decreto e che ENEL plauda alla rimozione della progressività come strumento di recupero di efficienza? Autorità ed ENEL escono rafforzati nelle funzioni e nel mercato, rispettivamente. Chi perde sono i piccoli consumatori residenti. La tabella seguente, predisposta dall’Autorità non lascia margini di dubbio anche a prescindere dalla modifica da essa operata, e nella quale non entriamo, nel benchmark di riferimento.

Tabella 1: Effetti a regime (dal 2018) sulla spesa delle Opzioni sui corrispettivi unitari della tariffa

Clienti “benchmark” Oggi (spesa netto tasse) T0 (non differenziata, tariffa di rif.to) T1 (non differenziata, nuova) T2 (differenziaz. in €/kW) T3 (differenziaz. in €/punto)
A: Res.
3kW, 1500 kWh
233 € + 89 € + 106 € + 74 € 71 €
B: Res.
3kW, 2200 kWh
343 € + 86 € + 74 € + 44 € 50 €
C: Res.
3kW, 2700 kWh
438 € + 67 € + 36 € + 5 € 19 €
D: nonRes,
3kW, 900 kWh
260 € – 29 € + 10 € + 129 € 117 €
E: nonRes,
3kW, 4000 kWh
928 € – 225 € – 307 € – 188 € – 155 €
F: Res.
6kW, 6000 kWh
1.528 € – 471 € – 557 € – 618 € – 582 €

Le quattro tariffe alternative T0, T1, T2, T3, predisposte dall’Autorità differiscono tra di loro per variazioni nella distribuzione delle componenti (e nello specifico la T0 prevede l’applicazione della D1 che non è progressiva e la T2 è quella preferita dall’ Autorità) ma, anche senza approfondire i dettagli, tutti gli utenti piccoli cioè con potenza di 3kW e residenti hanno aggravi mentre i non residenti piccoli hanno ugualmente aggravi eccettuata l’alternativa T0. I non residenti e i residenti grandi hanno tutti riduzioni tariffarie. Giustamente i perdenti sono i piccoli consumatori che non hanno voce e sono stati democraticamente (!) coinvolti in una consultazione pubblica piuttosto artefatta nonostante la trasparenza e la completezza di Analisi di impatto della regolazione (AIR), alla quale l’Autorità è peraltro tenuta, riassunta nella tabella 1.

Dopo l’accurata lettura, va detto, le perplessità si sono alquanto rafforzate.

Note

5.  GME, Annual Report, 2013. Facendo uso dell’indice di concentrazione Herfindhal-Hirschmann per sei zone, rispettivamente, il Nord, il centro-Nord, il centro-Sud, il Sud, la Sicilia e la Sardegna, trova che per nessuna zona l’indice è sotto il valore di 1200 che indica condizioni di mercato sufficientemente concorrenziali (l’indice com’è noto assume valori da 0 a 10000 , rispettivamente corrispondenti a concorrenza e monopolio) anche se il Nord e solo il Nord vi è molto vicino (1285).

6.  Questi temi erano già ben presenti negli anni ’90 quando, consolidantosi il passaggio alle privatizzazioni, emerse la pratica dei sussidi incrociati da parte delle imprese pubbliche a rete. Si veda, per esempio, Heald D.A., Public Policy Towards Cross Subsidy, 1997, Annals of Public and Cooperative Economics, 68:4, p.591-623.

7.  Willems B.,Ehlers E., Marti Fraga V., “Cross-subsidies in the Electricity Sector”, Discussion Paper 2008-03, UNECOM.

8.  E non indaghiamo se siano i minimi o non invece i massimi.

9.  Non si entra nel problema delle rinnovabili, penalizzate dai mutamenti nella legislazione che creano quel clima di incertezza così nocivo agli investimenti anche perché se il vento spira in questa direzione, il modo di far vedere che si pensa anche alle rinnovabili – amiche dell’ambiente – c’è e infatti si sottolinea come il vettore elettrico sia quello maggiormente compatibile ed integrabile con le fonti rinnovabili.

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