L’esperienza dell’arbitro bancario finanziario

1. Osserva N. Lipari (Le categorie del diritto civile, Milano, 2103) che “si è venuto progressivamente sfaldando il confine, un tempo rigido, tra pubblico e privato, tra interesse generale e interessi particolari. Il privato comunica al pubblico strumenti e forme di azione (contratto, impresa, società, associazione, fondazione). Se si privilegia la categoria come elemento indirizzante dell’operazione ricostruttiva, sorge il problema di come il carattere privato dello strumento possa adeguarsi, e con quali adattamenti, all’interesse generale senza che sia snaturato il fine e senza che sia snaturato il mezzo. Se invece si riconosce che la categoria è solo il punto d’arrivo, allora si tratta di ripensare ciascuno di quegli strumenti in funzione di una realtà del tutto nuova. D’altra parte, l’interesse generale penetra sempre più in aspetti peculiari della vita privata, ad esempio limitando l’autonomia negoziale in nome di valori imperativamente imposti alle scelte dei privati, a cominciare dal rispetto di regole di uguaglianza sostanziale destinate a far premio rispetto a qualunque principio di uguaglianza formale”.
È questa forse, sul piano euristico, la sistemazione concettuale più prossima a spiegare morfologia, natura e obiettivi dell’arbitro bancario finanziario. Quella che la risoluzione delle controversie sia problema tutto e solo “privato”, estraneo a interessi generali è, soprattutto nel mercato finanziario, conclusione (oltre che obsoleta) manifestamente illogica se solo si riflette sulla circostanza che – specie in un mercato senza frontiere spaziali e temporali – l’efficienza di assetti siffatti si riflette sulla concorrenza tra gli ordinamenti giuridici; sulla appetibilità degli investimenti; sulla crescita della domanda interna; sulla conformazione delle condotte anche a fini di gestione “sana e prudente”.

2. Non è, sotto questo versante, casuale che l’organismo sia stato istituito dalla legge sulla tutela del risparmio (art. 29 l. 28 dicembre 2005, n. 262 che ha introdotto nel d.lgs. n. 385 del 1993, Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia l’art. 128–bis, oggetto di diverse successive modificazioni) introdotta a seguito di noti scandali finanziari, la quale rappresenta l’epifania più prossima della stessa devoluzione all’autorità settoriale del nuovo compito di tutela (in senso lato) del consumatore ex art. 127 Tub. Compito che permane in capo alle autorità nazionali anche dopo la riforma della vigilanza unica europea. L’organismo ha iniziato a operare agli inizi del 2010. È strutturato (in base alla disciplina sub primaria che ne regola il procedimento emanata dal Comitato del credito con la deliberazione n. 275 del 2008 e dalla Banca d’Italia con il regolamento del giugno 2009 e successive modificazioni e integrazioni) in tre collegi (Milano, Roma e Napoli) competenti per le corrispondenti aree territoriali. La competenza territoriale si radica in ragione del domicilio del ricorrente. È abilitato a conoscere (e a decidere) controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (scilicet, creditizi) nonché (dal febbraio 2010) di servizi di pagamento (in attuazione dell’art. 40 d.lgs. n. 11 del 2010) per l’accertamento dei relativi diritti (competenza per materia) e per il risarcimento del danno fino a 100 mila euro (competenza per valore). Può, a tal fine (quale a.d.r. “decisoria/aggiudicativa”), adottare pronunce di accertamento e di condanna (non quindi pronunce costitutive, es. di annullamento del contratto) e opera come organismo “di secondo grado” dopo il previo reclamo (con esito negativo o in assenza di esito) all’intermediario, che ne costituisce condizione di procedibilità oltre che prodromica fase di negoziazione tesa alla conciliazione tra le parti. Le pronunce in rito sono di improcedibilità (assenza del reclamo); inammissibilità (diversa materia); irricevibilità (limite alla cognizione temporale). La sua adizione è riservata alla clientela bancaria e finanziaria, oltre che agli utilizzatori degli strumenti di pagamento (trattasi di diritto irrinunciabile); non prevede un’assistenza legale obbligatoria e sconta un basso costo d’accesso (economicità). La partecipazione delle diverse categorie d’intermediari al sistema (resa obbligatoria dal presente imperativo “aderiscono” di cui agli artt. 128–bis tub, e 40 d.lgs. n. 11 del 2010) costituisce una condizione per l’esercizio dell’attività riservata (perciò un onere). La mancata adesione rappresenta peraltro fonte della sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 144, comma 4°, tub.
Le sue specifiche attribuzioni rilevano perché l’enforcement dei contratti bancari, creditizi e di pagamento è essenziale al fine di rendere effettive le tutele garantite da leggi recenti, segnatamente per ripristinare (a fronte della grave crisi economica che interessa oggi l’intera società civile) condizioni di fiducia nei mercati e negli intermediari della finanza; perché riscontra un gradimento crescente con percentuali di accoglimento della domanda superiori al 70 per cento dei ricorsi; per i tempi contenuti della decisione, che realizzano l’obiettivo della rapidità (max 105 gg. dal ricorso, ma la durata media è stata, nel 2013, di 215 gg.); perché l’unica (ancorché significativa) sanzione (di shame culture) conseguente all’inosservanza della decisione (la pubblicazione della stessa) fa registrare, in relazione ai ricorsi decisi, numeri contenuti ancorché crescenti (effettività della tutela, 89 casi di inadempimento dalla sua istituzione. Questi dati e quelli riportati in precedenza e nel seguito sono tratti dalla Relazione sull’attività dell’Arbitro Bancario Finanziario della Banca d’Italia, Roma, 2014 e dal sito web dell’Arbitro Bancario Finanziario).
Le pronunce dei diversi collegi, indipendentemente da “variazioni sul tema” (peraltro rappresentative dell’indipendenza di giudizio e dell’imparzialità dell’organismo) su questioni di dettaglio, costituiscono spesso – in punto di politica del diritto – avanzate tutele della clientela con effetti conformativi di rilievo per la comune dei destinatari. Né va sottaciuto che l’istituzione di un apposito collegio di coordinamento assicura coerenza e uniformità di indirizzi a controversie di particolare importanza che abbiano generato o possano generare orientamenti contrapposti. La decisione di questo collegio, oltre a definire il ricorso rimessogli, stabilisce il principio di diritto che i collegi territoriali dovranno applicare nei casi futuri. È fatta salva la possibilità di disattendere l’orientamento espresso dal collegio di coordinamento nei soli casi caratterizzati da specificità evidenti e con espressa motivazione. Nel corso del 2013 si è pronunciato in 24 circostanze su questioni di particolare rilievo, prime fra tutte quelle in materia di fattispecie e disciplina delle conseguenze civilistiche dell’usura.
Sul più generale versante culturale e istituzionale, si consolida una crescente attenzione per le decisioni dell’arbitro da parte di riviste giuridiche (elettroniche e tradizionali), dei mass media, nonché da parte della dottrina (saggi, libri, convegni). Lo stesso legislatore lo contempla espressamente (art. 5 d.lgs n. 28 del 2010 e successive modificazioni) tra gli organismi atti a soddisfare l’esperimento della condizione di procedibilità nella materia in oggetto, così validando a livello primario le regole del relativo procedimento.

Sul versante della giurisdizione, una nota ordinanza della Corte costituzionale (n. 218/2011) dichiara l’inammissibilità della legittimazione dell’arbitro alla proposizione di questioni di legittimità costituzionale: a) perché ne viene esclusa natura giurisdizionale; b) perché la sua pronuncia non è autenticamente decisoria, non incidendo sulla situazione giuridica delle parti (è un “responso”, nel lessico della Corte); c) perché il decidere “secondo diritto” è proprio anche di qualsiasi organismo della pubblica amministrazione. Nel menzionarla al solo scopo di ribadire la progressiva centralità dell’arbitro nel diritto vivente, mette peraltro conto fugacemente osservare: a) che non pare dubbio che l’arbitro non svolga funzioni giurisdizionali (lo preclude l’art. 102 cost.), ma l’ordinanza di rimessione del collegio di Napoli insisteva più che su questo profilo sul possibile allargamento del giudizio della Corte ad atti (es.: il parere del Consiglio di Stato nell’àmbito del ricorso straordinario al Capo dello Stato) ai quali la decisione dell’arbitro potrebbe essere assimilata; b) che altro sono gli effetti della decisione dell’arbitro (certo non esecutiva né esecutoria), altro il negare che di decisione concettualmente si tratti; c) che la pubblica amministrazione certo adotta le proprie determinazioni “secondo diritto”, ma al diverso fine dell’adozione di un provvedimento amministrativo e non di una decisione relativa a una controversia in atto. In ogni caso, il gradimento crescente all’interno della società civile di tale organismo è testimoniato da fatti “veri e non stupidi” quali il crescente incremento dei ricorsi che, nel corso del 2013, sono stati pari a 7.862, con una crescita del 39 per cento rispetto all’anno precedente. Nell’anno sono stati decisi più di 6.300 ricorsi, con un incremento di ca. 2.000 sul precedente. Il trend 2014 fa prevedere il superamento dei 10 mila ricorsi, con incrementi significativi soprattutto al sud (95 per cento di ricorsi in più rispetto al 2013).

3. Il crescente “successo” dell’organismo corre anzi (paradossalmente) il rischio di alimentare entusiasmi eccessivi e di generare distorte accezioni dei compiti che è chiamato ad assolvere. Il riferimento, neanche troppo implicito, è alla norma contenuta nell’art. 27–bis, comma 1°–quinquies, del d.l. n. 1 del 2012 e successive modificazioni nella parte in cui prevede che “ove lo ritenga necessario e motivato, il prefetto segnala all’arbitro bancario finanziario […] specifiche problematiche relative ad operazioni e servizi bancari e finanziari. La segnalazione avviene a séguito di istanza del cliente in forma riservata e dopo che il prefetto ha invitato la banca in questione, previa informativa sul merito dell’istanza, a fornire una risposta argomentata sulla meritevolezza del credito”, aggiungendo che “l’arbitro si pronuncia non oltre trenta giorni dalla segnalazione”. Non chiarissima nella forma e nei contenuti, la norma sollecita questioni interpretative tanto di rito quanto soprattutto di sostanza, segnatamente nella parte in cui, nel rimettere all’arbitro il sindacato sulla “meritevolezza di credito” del cliente, può ingenerare il sospetto dell’estensione della cognizione dell’organismo alle valutazioni imprenditoriali dell’intermediario, così determinando un non sequitur logico rispetto agli obiettivi perseguiti e legittimando improponibili aspettative sul suo àmbito di applicazione. Interpretare la norma nel senso di rimettere all’arbitro il giudizio sulla meritevolezza di credito dell’istante significherebbe infatti traslare su questi il giudizio imprenditoriale, avallando uno strabismo legislativo incompatibile con la natura dell’attività bancaria e con lo stesso diritto europeo. Negli indicati termini, l’unico significato ragionevolmente proponibile della disposizione in rassegna non può che risiedere nel più circoscritto sindacato da parte del giudicante della condotta perseguita dall’intermediario nel rapporto con il richiedente credito e dunque nella correttezza concretamente spiegata in sede di trattativa o di esecuzione del contratto, in grado di estendere il suo àmbito non solo alla tradizionale ipotesi dell’ingiustificata rottura della relazione tra i paciscenti, ma anche allo stesso clare loqui e, in particolare, alla mancata informazione circa il reale intento di concludere il contratto o di modificarlo o di recedere dallo stesso. La norma disegna un procedimento affatto singolare. Ciò consente di ritenere che la legittimazione ad agire straordinaria del prefetto possa prefigurare una fattispecie di sostituzione processuale analoga a quella regolata dall’art. 81 del codice di rito.

4. L’inedita morfologia giuridica dell’organismo ha sollecitato e sollecita continui interventi (e polemiche) sulla natura giuridica dell’arbitro: da organismo arbitrale ad arbitratore, a organo della Banca d’Italia per il perseguimento delle finalità pubbliche della vigilanza bancaria.
Il discorso può tuttavia essere impostato diversamente e scontare risposte diverse nel metodo e nei contenuti.

5. L’area di riferimento è quella della giustizia stragiudiziale. È noto che questa strutturalmente riguarda, con specifico riferimento alle controversie minori (c.d. small claims), l’allargamento della tutela dei diritti più che l’efficienza della giustizia civile. Ha tuttavia effetti di rilievo anche ai fini di un sensibile contenimento nell’imput delle controversie sottoposte al giudice togato, sollecitando forme di soluzione delle liti diverse dal ricorso al processo civile. Precursore dell’arbitro bancario finanziario è stato, nel settore di riferimento (fin dall’accordo istitutivo del 1993), l’ombudman bancario, organismo la cui matrice (dichiaratamente autopoietica) formalmente consisteva in un contratto (stipulato tra i costituenti e aperto agli altri operatori del settore) a favore di terzo (il beneficiario dell’accordo) sostanzialmente riconducibile alla tipologia negoziale prevista (e disciplinata) dagli artt. 1411 ss. c.c. Le differenze rispetto all’arbitro bancario finanziario sono, sul piano del diritto positivo, cospicue. Tralasciando quelle “minori”, basti menzionare la diversa valenza dell’accesso: libera e facoltativa (in quanto consensuale) a quello; doverosa a questo. Diversità che, naturalmente, si riflette sui conseguenti effetti (ovviamente inesistenti per il mancato esercizio di una facoltà; per converso rilevanti tanto in punto di accesso alla e di esercizio dell’attività bancaria quanto sanzionatori). Né va sottaciuto, sul piano delle tutele concretamente approntate, il diverso, più ampio perimetro della cognizione dell’arbitro non solo nell’ammontare monetario a fini risarcitori, restitutori o a qualunque altro titolo, ma soprattutto nell’attribuzione di una competenza per materia estesa all’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono.

6. È peraltro doveroso ricordare che l’evoluzione in parte qua del sistema finanziario è monca nella parte in cui nulla prevede, diversamente da quanto introdotto (e realizzato) a favore del risparmiatore e dell’investitore (tramite la camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob, peraltro oggetto di strutturali ripensamenti), in materia assicurativa. Tale settore, che al pari (e forse più) di quelli considerati, è caratterizzato da una elevata soglia di small claims e afflitto da cronici ritardi della giustizia ordinaria con riguardo a una congerie di controversie (si pensi solo a quelle relative alla responsabilità civile automobilistica) che considerevolmente incidono sul numero dei processi pendenti (e relativi arretrati) e non dispone (eccezion fatta per le conciliazioni paritetiche) neanche di forme autopoietiche di risoluzione delle controversie similari a quelle riferibili all’ombudsman bancario (ora finanziario). I reclami che l’art. 7 del cod. ass. devolve all’Ivass sono tutt’affatto diversi da quelli che precedono la pronuncia dell’arbitro tanto negli scopi (che riguardano i controlli di legittimità) che nei risultati (che non ristorano il proponente, ma solo, per il tramite delle sanzioni amministrative pecuniarie, l’erario dello Stato). È una lacuna grave alla quale il mercato non è stato fin qui in grado di porre rimedio e che impone, per molteplici ragioni (comparative, di tutela asimmetrica rispetto a prodotti talora unitari, di disfunzioni della giustizia togata) di provvedere con urgenza, avendo peraltro presente che il “braccio violento della legge”, espressione del principio di sussidiarietà, non tarderà a manifestarsi, visto che un art. 13 inserito nella proposta di direttiva di modifica della precedente n. 2002/92/Ce sull’intermediazione assicurativa espressamente prevede, da parte degli Stati, l’istituzione di procedure di risoluzione stragiudiziali delle controversie insorte tra intermediari assicurativi e consumatori “adeguate, efficienti, imparziali e indipendenti”, con obbligo in capo a tutte le imprese di assicurazione e agli intermediari di parteciparvi.

7. In questo scenario, la caratteristica assorbente che segnala la netta soluzione di continuità dell’introdotto sistema rimediale, teso ad “assicurare la rapidità, l’economicità della soluzione delle controversie e l’effettività della tutela” (art. 128–bis, comma 2°, tub) rispetto al tradizionale assetto della giustizia civile, è rappresentata dalla legittimazione “disuguale” all’azione, circoscritta a favore del solo cliente (che è nozione più ampia, ma non ontologicamente diversa da quella di consumatore del prodotto o servizio considerato), omologa alla corrispondente disuguale tutela disegnata, sul piano sostanziale, dal diritto privato europeo che disciplina i contratti del consumatore. A ben vedere, è dalla legittimazione “disuguale” che derivano tutte le altre peculiarità del procedimento: dall’incerta sua natura giuridica alla previsione di singolari meccanismi afflittivi a carico del convenuto nel caso di accoglimento del ricorso. L’indicatore (anche sul piano positivo) più perspicuo di siffatta linea di policy è offerto dalla espressa salvezza del ricorso “a ogni mezzo di tutela previsto dall’ordinamento” contemplata a favore del solo cliente (art. 128–bis, comma 3°). Nessun dubbio, sul piano sistematico, che l’adizione del giudice sia concessa (scilicet, non possa che esserlo, trattandosi di un diritto costituzionalmente protetto) anche all’intermediario bancario o finanziario. È tuttavia significativo (e tutt’altro che ininfluente) che l’inciso corrisponda esattamente (in sede di output) alla identica limitazione soggettiva al ricorso. Breviter: scopo della norma è quello di precisare che l’istituito sistema è volto ad assicurare un alternativo e additivo rimedio dei conflitti economici in materia bancaria, creditizia e (poi) dei pagamenti al solo cliente, preoccupandosi coerentemente di specificare che per lui e per lui solo questo meccanismo di enforcement alternativo si somma a quelli tradizionali.
Rispetto ad altri paesi europei, quello della crisi della giustizia civile è peraltro un problema che affligge l’Italia in maniera ormai radicata. Un’efficiente (o, almeno, acconcia) tutela dei diritti è, oggi più che in passato, importante strumento di politica economica, atteso che la competizione internazionale opera non solo nel mercato dei prodotti, ma anche in quello delle regole. I canali attraverso i quali la qualità della giustizia civile ha effetti sull’attività economica – segnatamente in punto di affidabilità e stabilità dei diritti proprietari, contrattuali e dell’impresa – sono molteplici. La Banca d’Italia rileva che la perdita annua di PIL attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere a un punto percentuale. Naturalmente, non di solo PIL si tratta. Le ricadute di una giustizia civile in crisi si riflettono prioritariamente sui diritti della persona costituzionalmente garantiti, investono le ragioni del vivere civile, la stessa intima essenza del “contratto sociale”. La denegata giustizia che segue alla ritardata giustizia provoca allontanamento dalla realizzazione dei diritti, ineffettività delle norme, incentivi a comportamenti opportunistici. Grava più pesantemente proprio sui soggetti più deboli.
Al di là quindi e oltre all’economicità nella soluzione di controversie “minori”, il contesto di riferimento esalta il valore aggiunto offerto da un organismo, quale l’arbitro bancario finanziario, che – a fronte delle richiamate disfunzioni – ben può in talune circostanze essere percepito non come alternativo alla giustizia ordinaria, ma addirittura (quoad effectum) come esclusivo quando il ricorso a quella risulti sostanzialmente precluso dagli elevati costi, diretti (essendo gli oneri monetari pur sempre prodromici alla realizzazione dei diritti dei quali si invoca tutela in un rapporto di mezzo al fine) e soprattutto indiretti (quando la domanda di giustizia viene vanificata dai tempi del processo e dalla aleatorietà della pronuncia in ragione delle possibili impugnazioni).

8. Quanto precede conduce, da un lato, a qualificare come inutilmente sterile la tradizionale contrapposizione in parte qua dell’interesse pubblico a quello privato; dall’altro a constatare lo spazio vuoto di diritto che connota i procedimenti (in senso lato) di alternative dispute resolution. La diversità di questi rispetto alla funzione giurisdizionale è di manifesta evidenza, anche solo sul piano semantico. Il nostro ordinamento, permeato di normativismo, di fatto esclude con l’art. 102 cost. (o rende comunque difficili) forme di giustizia diverse da quelle che si realizzano nel processo e col processo. Ciò segnala un anacronismo legislativo idoneo ad alimentare (nonostante il principio di sussidiarietà) dubbi sulla sua coerenza con l’art. 81, lett. g) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (FUE) che demanda al Parlamento europeo e al Consiglio il compito di adottare misure volte a garantire “lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie”. Il presupposto, ai limiti dell’ovvio, essendo che altro è la giurisdizione, altro il rendere giustizia. La prima – in quanto funzione pubblica a tutela di diritti costituzionalmente rilevanti – è esclusiva, rigidamente regolamentata, esercitata da un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, amministrata in nome del popolo.

Consiste nello jus dicere. Ma il rendere giustizia può risiedere anche nel prevenire l’insorgenza della lite fuori dal processo civile per il tramite di metodiche a questo alternative, ancorché – dal punto di vista funzionale – complementari. Dopotutto, il declino del modello della iurisdictio si accompagna al tramonto del mito della verità giudiziale e della certezza giuridica. Né può ragionevolmente omettersi di considerare che in paesi diversi da quelli occidentali la giustizia civile è stata nel tempo amministrata fuori dai tribunali. L’esempio cinese è emblematico perché, di là anche dal giusnichilismo prodotto dalla Rivoluzione culturale, la prima legge (provvisoria) di procedura civile (peraltro strutturata in maniera molto similare al nostro codice di rito) è solo del 1982. Successivamente, la conciliazione stragiudiziale presso gli appositi comitati popolari rimase peraltro il modo di risoluzione delle liti civili di gran lunga più diffuso. L’interesse generale può perciò consistere nell’approntare sistemi in grado di soddisfare la reciproca aspettativa a comporre la lite senza addivenire alla traumatica rottura di ogni relazione sottesa al processo, soluzione questa non sempre socialmente ed economicamente efficiente. Nulla peraltro esclude che giudice e arbitro possano impostare un virtuoso gioco cooperativo attraverso il quale, reso preventivamente edotto (grazie all’acquisizione delle risultanze istruttorie e della decisione) della ratio decidendi, dell’iter logico e degli elementi di fatto che hanno condotto al giudizio spesso basato su approfondimenti tecnici altamente specifici, l’organo di giurisdizione riduca elevati costi transattivi e instauri così, nel rispetto dei ruoli, rapporti dialogici certamente fecondi. La partita si sposta allora – anche per l’arbitro bancario finanziario – dalla sua riconduzione al procedimento amministrativo o arbitrale a quella della maggiore sua similitudine a meccanismi stragiudiziali altrove in uso. Si fa così più coerente, interessante, attuale.

9. Non è escluso che significative evoluzioni della cultura giuridica domestica possano presto derivare dal diritto europeo. L’interesse dell’Unione a queste tematiche è infatti crescente non solo al fine di assicurare tutela alle controversie transfrontaliere, ma anche e soprattutto in quanto tempi, costi, flessibilità dei relativi procedimenti rappresentano argomenti forti per l’adozione di politiche di incentivazione del fenomeno. L’obiettivo non è quello di creare un duplicato, un clone uguale e parallelo al giudice togato, ma un meccanismo quanto più possibile diverso, appunto “alternativo”, alla giustizia formale. È appena il caso di soggiungere che ciò non postula alcun affievolimento degli sforzi tesi a rendere più efficiente la giustizia civile ordinaria, muovendosi invece su un versante parallelo e complementare. Tangibile testimonianza è offerta dall’adozione del regolamento n. 861 dell’11 luglio 2007, istitutivo di un procedimento europeo per le controversie di modesta entità.
Le principali fonti del diritto dell’Unione sono rappresentate, oltre che dal libro verde del 1993, dalle due raccomandazioni del 1998 (n. 257 del 30 marzo 1998) in materia di ADR decisorie/aggiudicative e del 2001 (n. 310 del 4 aprile 2001) sulle ADR conciliative. Seguono, insieme alle molteplici disposizioni contenute nelle direttive consumeristiche che – nell’uno o nell’altro modo – prevedono l’istituzione e il ricorso a specifiche forme di ADR, le best practices del 2009 compendiate, nella sostanza, nei quattro specifici indicatori tesi a enfatizzare criteri d’imparzialità e indipendenza (attraverso la preferenza per le ADR pubbliche, la conoscibilità dei criteri di nomina dei componenti, la loro rappresentatività e professionalità); di trasparenza (sub specie effettività delle decisioni, anche per il tramite di sanzioni reputazionali, c.d. naming and shaming); di attuazione del principio del contraddittorio; di accessibilità diffusa. Da ultimo, la direttiva sulle modalità alternative di risoluzione delle controversie n. 11/2013 (motivata dalla qualità non omogenea delle diverse forme di ADR all’interno degli Stati membri), associata al regolamento n. 524/2013 sulla risoluzione delle controversie on line dei consumatori, fornisce significativi istituti e tecniche giuridiche di evoluzione del fenomeno ora considerato. In attesa della sua attuazione (prevista nel luglio 2015), forse non inutile può risultare simulare un esercizio applicativo che individui i principali punti di comunanza e di differenza tra la disciplina da questa prevista e la regolazione vigente dell’Arbitro Bancario Finanziario. Con la sintesi del caso, gli insiemi fondamentalmente omologhi mi sembrano consistere intanto negli obiettivi che, per la direttiva, risiedono nell’assicurare procedure “facili, efficaci, rapide e a basso costo” (4° “considerando”), assolutamente coerenti con gli scopi dell’art. 128 – bis del Tub (rapidità, economicità, effettività); poi, almeno in linea tendenziale, nei destinatari della tutela, atteso che – seppure la direttiva ha a oggetto la tutela del solo consumatore – significativamente (in linea con la giurisprudenza europea) evolve verso l’allargamento all’uso promiscuo dei beni o dei servizi (18° “considerando”), laddove la tutela assicurata dal sistema ABF è a “soggetto indifferente”, rivolgendosi a ogni controparte dell’impresa bancaria, finanziaria e dei pagamenti. Ciò nella dichiarata consapevolezza della funzione strategica delle ADR sul piano dell’interesse generale, che abbraccia non solo gli scopi della vigilanza in guisa di conformazione delle condotte (quale obiettivo intermedio di tipo microeconomico) ma gli stessi obiettivi macroeconomici di “stimolare la crescita e rafforzare la fiducia” (9° “considerando”) anche in quanto, se le ADR non sono tese a decongestionare i processi pendenti ma ad assicurare l’allargamento dei diritti, la loro diffusione può tuttavia risultare importante negli stati membri nei quali esiste congestione di cause pendenti (15° “considerando”). Ancora, elementi comuni tra i due insiemi regolamentari mi sembrano le previsioni sull’indipendenza, integrità e professionalità dei componenti e sui requisiti di nomina, sulle procedure telematiche per la formazione dei fascicoli e la comunicazione alla parti onde conseguire recuperi di efficienza temporale, sulla trasparenza e accontability delle decisioni anche attraverso la produzione di relazioni annuali degli organismi.
Le principali differenze riguardano i tempi del procedimento (90 vs. 105 giorni); l’esclusione della tutela per controversie “futili o temerarie”, non prevista dalla disciplina ABF; la previsione del principio di oralità che potrebbe implicare la previsione di un’apposita udienza di comparizione della parti laddove l’istruttoria ABF è esclusivamente documentale; la sospensione dei termini di prescrizione e di decadenza e, soprattutto, l’introduzione di un cooling off period di durata triennale di astensione a carico dei componenti il collegio.

(*)Testo colloquiale della relazione al Convegno “La tutela del cliente nel settore bancario e in quello delle assicurazioni”, Catania, 4 dicembre 2014. L’autore è componente effettivo del collegio di Napoli dell’arbitro bancario finanziario. Le opinioni espresse nello scritto sono e restano esclusivamente personali.

Bibliografia essenziale
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