Ricorso incidentale escludente: storia di un accanimento terapeutico e tutela delle posizioni asimmetriche di carattere sostanziale

Quando un essere umano è in fin di vita a causa di una malattia grave, esistono due possibilità: l’accanimento terapeutico o la presa di coscienza della fine. Alla luce delle Plenarie che si sono succedute, sembra potersi affermare che Palazzo Spada abbia scelto il primo.
L’istituto, oggetto di numerose rianimazioni, è il ricorso incidentale escludente; la materia, gli appalti, su cui si accendono i riflettori dell’U.E., gettando coni d’ombra che si allungano su contenziosi ormai estesi a dismisura e che però ammettono una unica soluzione.
Il “tormentone” del ricorso incidentale escludente ha inizio con il pesante revirement dell’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011.
La questione sottoposta all’Adunanza Plenaria era quella che si prospetta in presenza di due soli partecipanti ad una gara di appalto; il secondo classificato, ricorrente principale, impugna l’esito della gara, contestando che l’aggiudicataria sarebbe dovuta essere esclusa. Con ricorso incidentale, l’aggiudicatario eccepisce che, in ragione della fondatezza del proprio ricorso incidentale, il ricorso principale debba essere dichiarato integralmente inammissibile o improcedibile per difetto di legittimazione all’azione. Di qui la qualifica (e il nomen) di questo ricorso incidentale come “escludente”
Come sempre, c’è un prima ed un dopo.
Il prima era segnato dalla finalità cui aspirava la procedura di evidenza pubblica. Era, come è ovvio, la selezione del giusto contraente dell’amministrazione, con una particolare attenzione al soddisfacimento delle condizioni di legittimità nello svolgimento della gara.
La normativa sulla contabilità di Stato, imponendo il controllo sulla spesa pubblica, si preoccupava della tutela di uno specifico interesse pubblico. Era la ricerca del giusto contraente dell’amministrazione, da cui derivava l’interesse a selezionare il contraente che offrisse le migliori garanzie al prezzo più conveniente per la corretta esecuzione della prestazione[1]. Ne discendeva che, di fronte all’emergere di una illegittimità delle procedure di gara, dovesse prevalere l’interesse strumentale al rinnovo della stessa. L’illegittimità rappresentava il sintomo della anomala aggiudicazione.
Il dopo è segnato dalla introduzione della disciplina comunitaria. L’attenzione si sposta su un piano più complesso, costituito dalla tutela rafforzata delle regole della libera concorrenza e della parità di trattamento dei contendenti. Si avvia così un sottile processo di emersione di interessi, anche particolari, che si contrappongono a quello prioritario della tutela del solo contraente pubblico: presidiato è infatti l’interesse alla più ampia partecipazione e la chance di tutti i partecipanti ad ottenere l’aggiudicazione, in applicazione dei principi comunitari. In tale ottica, l’art. 2 del Codice dei contratti pubblici, il d.lgs. n. 163 del 2006, oltre ad indicare che l’affidamento e l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture devono garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, aggiunge che, con pari autorevolezza, deve essere garantito un affidamento rispettoso dei principi della libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità. È chiara la trasformazione: ai principi ispirati alla tutela della pubblica amministrazione per il controllo ed il migliore utilizzo delle finanze pubbliche, si aggiungono principi ispirati alla tutela delle imprese concorrenti e del corretto funzionamento del mercato. Nasce, così, un interesse diremmo ulteriore e di pari rango a quello tutto pubblicistico: l’interesse al bene della vita, vale a dire il bene finale, che nella materia degli appalti non può che essere l’aggiudicazione, o il risarcimento del danno per il suo mancato e legittimo conseguimento.
Quid iuris se, però, entrambe le imprese impegnate nel contenzioso non erano legittimate a partecipare e quindi a conseguire il bene finale, l’aggiudicazione?
La risposta è intuibile applicando il criterio matematico delle equivalenze: se l’interesse primario da tutelare fosse quello di selezionare il contraente che, tra tutti i partecipanti, è provvisto dei requisiti richiesti dalla lex specialis, l’intera procedura dovrebbe essere caducata. Di fronte all’illegittimità dell’agere pubblico che ha ammesso e valutato i due concorrenti “infetti”, si dovrebbe necessariamente ammettere la soluzione biblica del “chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
Se, però, tutelato è l’interesse alla conservazione dell’utilità conseguita con l’aggiudicazione – cioè con la scelta del miglior concorrente –, la logica del ricorso incidentale diventa un escamotage quasi inevitabile, con salvezza della forma ma, in taluni casi, come vedremo, a tutto detrimento della sostanza.
Si scontrano, così, due “fazioni”: da una parte, la necessità della prevalenza di un interesse strumentale alla riedizione della gara, come offerta della chance, riconosciuta a tutti i partecipanti, di addivenire ad una nuova aggiudicazione legittima; dall’altra, l’interesse al consolidamento di una posizione sostanziale, costruita su una fictio iuris, di natura processuale, per cui prevale l’ordine logico-temporale delle pregiudiziali, senza entrare nel merito delle domande.
Invero, le pur autorevoli voci[2], che sostengono la pregiudiziale prevalenza del ricorso incidentale escludente, fanno leva sulla regola processuale che afferma il carattere necessariamente preliminare dell’accertamento sulle condizioni dell’azione (art. 276, co. 2, c.p.c.). Pertanto, si argomenta, il ricorso incidentale escludente, una volta accolto, priva il ricorrente principale dell’ammissione alla gara riducendolo a quisque de populo. Sul versante processuale, non può che derivarne l’inammissibilità del suo ricorso.
A questa affermazione di diritto il Consiglio di Stato ha dato piena adesione, con l’A.P. n. 4 del 2011. Il ragionamento è complesso. In sostanza la tesi è che la partecipazione al procedimento selettivo deriva da una qualificazione di carattere normativo, che postula l’esito positivo del sindacato sulla ritualità dell’ammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva. Se questo sindacato ha esito negativo, ne discende, sia pure in base ad una valutazione ex post, che la partecipazione alla gara è “di fatto”, e quindi non sufficiente per attribuire la legittimazione al ricorso. In altri termini, l’accertamento dell’illegittima partecipazione alla gara impedirebbe di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione sostanziale, che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva[3].

Giova a questo punto ricordare che i principi dell’economia processuale e della gradazione dell’esame delle questioni pregiudiziali e preliminari non sono lasciati alla libera scelta del giudice, perché di fatto suscettibili di influenzare la decisione nel merito. Molto spesso il gioco delle eccezioni, con funzione paralizzante, si basa proprio sulla loro natura sostanziale (es. domanda che chiede l’affermazione del diritto, eccezione che ne oppone la prescrizione). Tuttavia, per neutralizzare nel merito una domanda, le eccezioni di natura processuale sono e devono essere regolate dal codice di procedura.
Così il processo amministrativo, fino alla Plenaria del 2008, era il luogo deputato alla verifica della regolarità delle operazioni di gara, senza se e senza ma. Nella singolar tenzone processuale, tra ricorrente principale e ricorrente incidentale, entrambi illegittimamente ammessi alla gara, avrebbe prevalso comunque il supremo principio di legalità[4].
Analizzando, infatti, la prima impostazione, sposata dalla Plenaria del 2008 n. 11, l’interesse strumentale alla riedizione della gara è anch’esso un interesse legittimo ultroneo (rectius: detronizzato), a causa della constatazione dell’illegittima ammissione di entrambi i contraenti. Si è osservato, però, che a seguito dell’annullamento giurisdizionale dell’atto di ammissione e conseguente aggiudicazione, l’amministrazione sia tenuta alla adozione di una serie di attività amministrative, eventualmente e non necessariamente, satisfattive per il ricorrente vittorioso. Detto altrimenti, l’annullamento dell’ammissione alla gara della controparte ricorrente incidentale, nelle ipotesi della specie, non assolve ex se ad una specifica funzione di tutela per il ricorrente principale, ma persegue un risultato, la rinnovazione della gara, la cui concreta realizzazione resta rimessa ad un’autonoma scelta dell’amministrazione.[5].
Si ripropone, cioè, la vexata quaestio della sostanziale inutilità della tutela impugnatoria, che lascia irrisolto il profilo della attribuzione del bene della vita. Ciononostante, le motivazioni di diritto su cui si fonda la decisione del 2008, non appaiono affatto peregrine, anche se transitano su un binario squisitamente demolitorio.
Intanto il supremo principio della imparzialità e parità delle parti processuali, benché sia concetto processuale, ha un risvolto di equità, trascendente la questione specifica: “in base al principio della parità delle parti, (il giudice) non può determinare una soccombenza anche parziale in conseguenza dei criteri logici che ha seguito nell’ordine di trattazione delle questioni”[6].
Inoltre l’ordo delle questioni è soltanto un criterio di priorità che non inficia l’esame dei rispettivi ricorsi, la cui fondatezza o infondatezza involge il merito. Lapidariamente la Plenaria del 2008 però conclude per una soluzione che, ai più, appare ormai obsoleta: e cioè, che, qualunque sia il primo ricorso esaminato e ritenuto fondato (principale o incidentale), il giudice deve (dovrebbe) esaminare anche l’altro, onorando un principio di ordine superiore, quello dell’interesse strumentale di ciascuna impresa alla ripetizione della gara. Ne dovrebbe derivare l’annullamento di tutti gli atti di ammissione alla gara e, per illegittimità derivata, anche dell’aggiudicazione, con il conseguente obbligo in capo alla amministrazione di indire una nuova gara.
Il problema, lungi dall’essere squisitamente processuale, è solo di opportunità: la seconda classificata ha tutto l’interesse a sollevare l’illegittima partecipazione alla gara della aggiudicataria, anche ove la propria partecipazione fosse illegittima, al solo scopo di inficiare l’intera procedura. Si apre così la porta ad un sistema giustiziale che torna indietro di oltre un secolo: a quando, cioè, il processo amministrativo aveva una chiara impronta oggettivistica, il luogo in cui osservare con la lente di ingrandimento l’operato della pubblica amministrazione e l’interesse legittimo era l’interesse alla legittimità dell’azione amministrativa.
Un salto all’indietro poco sponsorizzabile, alla luce della ratio delle direttive appalti.
A questa lettura è stato consequenziale obiettare che, una volta accertata la illegittima partecipazione della ricorrente principale, ad essa mancherebbero i due interessi fondanti lo stesso ricorso: la titolarità di una posizione differenziata all’esercizio dell’azione (legittimazione al ricorso) e l’utilità ricavabile dall’accoglimento della domanda di annullamento (interesse al ricorso), anche prescindendo dal carattere finale o strumentale di tale vantaggio.
Del resto, sono proprio le sirene dell’ordinamento europeo ad individuare nell’annullamento giurisdizionale uno strumento di tutela di una posizione giuridica soggettiva sostanziale e non la sola strada alla riaffermazione della legalità violata. Il nuovo volto del processo nazionale sugli appalti, come ridisegnato dalle direttive, ha chiaramente una connotazione soggettiva. Nella materia degli appalti il sistema di giustizia deve garantire una tutela processuale effettiva e celere: solo chi ha una posizione sostanziale che lo legittimi ad essere parte della gara ha poi un titolo a lamentare un eventuale deficit di tutela giurisdizionale.
Si potrebbe dire che è tutta qua la materia del contendere: tra il prediligere la soluzione del “tutti a casa e si ricomincia”, a quella più opportuna (sarà così?) del lasciare in vita l’aggiudicazione, con la salvezza dell’intera procedura.
La Plenaria n. 4 del 2011 demolisce ogni speranza alla rinnovazione della gara, privando questo interesse del valore di interesse legittimo, degradandolo ad interesse di mero fatto perché privo dei crismi della attualità e concretezza: “qualora il ricorso incidentale abbia la finalità di contestare la legittimazione del ricorso principale, il suo esame assume carattere necessariamente pregiudiziale e la sua accertata fondatezza preclude al giudice l’esame nel merito delle domande proposte dal ricorrente[7].
È innegabile che questa conclusione sia patrocinata dalla lettura, squisitamente processuale, della ratio del ricorso incidentale che si compone di due elementi: l’uno di carattere negativo, consistente nell’assenza di una lesione attuale, che altrimenti dovrebbe esser fatta valere in via principale, e l’altro di carattere positivo, concernente la lesione virtuale derivante dall’accoglimento del ricorso.
Il ricorso incidentale non ha più una natura demolitoria ma difensiva, per cui viene fatto rientrare nell’ambito delle eccezioni spettanti al controinteressato, proprio in ragione dell’esistenza del ricorso principale. Conseguentemente, ove le ragioni del controinteressato abbiano fondamento, si paralizza l’intera vicenda processuale, con salvezza delle ragioni di almeno uno dei contendenti.
Come a dire: merita di vincere chi già ha conseguito qualcosa, mentre merita di perdere colui il quale non ha nulla da conseguire.

Tuttavia, nonostante la chiarezza dei principi sanciti dalla Adunanza Plenaria, il contenzioso è sempre aperto, stante le aspre critiche blasonate: “ la decisione dell’A.P. non è stata condivisa da tutti i Tribunali amministrativi regionali che si sono in seguito pronunciati ed ha ricevuto le critiche di una parte della dottrina, in quanto – al cospetto di due imprese che talvolta sollevano a vicenda la medesima questione – ne sanziona una con l’inammissibilità del ricorso e ne favorisce l’altra con il mantenimento di un’aggiudicazione illegittima (in tesi), denotando una crisi del sistema che, al contrario, proclama di assicurare a tutti la possibilità di ricorrere al giudice per fargli rimediare a quello (che male) ha fatto o non ha fatto l’Amministrazione[8].
Parole chiare e assolutamente condivisibili, non foss’altro che per lo stesso argomento speso dalla fazione che ammette il ricorso incidentale escludente: la tutela della concorrenza e del mercato. Con più attenzione al principio di legalità della azione amministrativa, le stesse S.U. della Cassazione hanno espressamente affermato che il principio di diritto enunciato dalla A.P. n. 4 del 2011 suscita “indubbiamente delle perplessità che lasciano ancora più insoddisfatti, ove si aggiunga che l’aggiudicazione può dare vita ad una posizione preferenziale, soltanto se acquisita in modo legittimo e che la realizzazione dell’opera non rappresenta in ogni caso l’aspirazione dell’ordinamento (artt. 121/23 del cod. proc. amm.), che in questa materia richiede un’attenzione e un controllo ancora più pregnanti al fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato”[9].
L’equazione ha, in questo caso, prodotto un mostro a due teste: un’aggiudicazione relativa ad una gara condotta in maniera illegittima, di cui occorrerebbe o la riedizione o (quantomeno) una pronuncia di secondo grado e, nel contempo, una gara aggiudicata e una fornitura eseguita in tempi relativamente brevi.
Eppure, si dirà, le regole sono regole, in ossequio al principio di speditezza dell’azione amministrativa. A parere di chi scrive vengono così, tuttavia, ad essere sacrificati tutti gli altri principi di cui sopra abbiamo detto, che presidiano al “corretto giuoco della concorrenza” in un mercato libero, ma le cui regole devono essere bilanciate opportunamente, anche in fase applicativa, in guisa da garantire il rispetto delle procedure sì, ma anche il sostanziale raggiungimento del bene della vita anelato (c’è da domandarsi: ma da chi? Dal ricorrente, dal consumatore finale o dal contribuente?).
La legittimazione, allora, ad agire per vedere tutelate le proprie posizioni che, possono o meno, coincidere con un interesse superiore alla riedizione della gara, non è affare puramente processuale, che dipenda cioè dalla sola esclusione dalla gara del ricorrente principale, bensì è questione di carattere sostanziale. E di regola un interesse sostanziale riceve la sua qualificazione normativa direttamente dalla legge, non dal provvedimento. Il provvedimento non può né cancellare la qualificazione normativa che un interesse ha già ricevuto dal sistema ordinamentale, né conferirla ad interessi che la hanno, a prescindere da esso. Nel caso tanto controverso, infatti, solo chi ha legittimamente partecipato alla gara può contestare l’aggiudicatario e demolire la sua posizione per illegittimità derivata dalla sua irrituale ammissione alla stessa.
Così l’istituto del ricorso incidentale escludente viene rianimato con i principi stabiliti dalla Corte Europea nella sentenza “Fastweb”[10]: la parità di trattamento e l’equità delle armi processuali non sono principi strumentalizzabili, anzi sono così radicati da non ammettere letture riduttive. La simmetria processuale nasce da una serie di indizi: l’identità del vizio invalidante fatto valere da entrambe le ricorrenti e la sua contestazione nello stesso segmento procedimentale.
Ancora una volta la regola sancita nella decisione della Corte Europea apre ad un compromesso tra ragioni di opportunità e ragioni di pura giustizia o, forse, di legittimità delle operazioni di gara.
Così le Adunanze Plenarie n. 7, 9 e 10 del 2014, si affrettano a calibrare il tiro, e con identici incisi stabiliscono le regole di ammissione dell’esame del ricorso principale in presenza di alcune condizioni. La preziosa chiosa, imposta dalla sentenza “Fastweb”, non sembra però mettere la parola fine a tutto quel vociare sulla natura squisitamente processuale della priorità dell’esame del ricorso incidentale. Le Plenarie aggiungono così argomenti nuovi: “l’ordine di esame delle questioni pregiudiziali di rito non rientra nella disponibilità delle parti e non subisce eccezioni neppure se venga impugnata, da parte del ricorrente principale, la legge di gara”. Così opinando allora appare logico e conseguente che anche nel processo amministrativo si applichi la regola universale di ogni processo: la verifica delle condizioni dell’azione, ovvero il titolo, l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., la legitimatio ad causam. Inoltre viene da sé che anche riconoscendo come ammissibile la tutela di un interesse strumentale alla legittimità dell’azione amministrativa, questo non può non essere collegato ad una posizione giuridica attiva: “la facoltà di agire in giudizio non è attribuita, indistintamente, a tutti i soggetti che potrebbero ricavare eventuali ed incerti vantaggi dall’accoglimento della domanda”. Il soggetto escluso o che avrebbe dovuto esserlo, è un legittimato di fatto ma non di diritto. Allora, la stessa A.P. riafferma con forza l’ovvietà della soluzione abbracciata dalla Plenaria del 2011; emerge in modo univoco che il discrimine è rintracciato nell’introduzione, da parte del ricorso incidentale, di censure che colpiscono la mancata esclusione, da parte della stazione appaltante, del ricorrente principale (ovvero della sua offerta) a causa dell’illegittima partecipazione di quest’ultimo alla gara o dell’illegittimità dell’offerta.
Si giunge, poi, a dare la giusta lettura a questo meccanismo: la U.E. ci chiede l’applicazione incondizionata di due principi inderogabili, la rapidità e la efficacia dei ricorsi e l’essenzialità della tutela risarcitoria. Ma, nello stesso momento, la Corte Europea con la sentenza “Fastweb”, in un caso in cui era stata accertata in concreto l’illegittimità di entrambe le offerte, non ha potuto fare a meno di somministrare la concreta regola iuris, costruendola come una evidente eccezione al compendio delle norme e dei principi di sistema.
Tanto è vero questo che ha limitato la possibilità dell’esame congiunto del ricorso incidentale e principale alle stringenti condizioni che I) si versi all’interno del medesimo procedimento; II) gli operatori rimasti in gara siano solo due; III) il vizio che affligge le offerte sia identico per entrambe. Come dire che i principi della effettività e parità delle armi non sono assoluti, anche se necessariamente costituzionalizzati ed europeizzati, bensì relativi, cioè finalizzati al soddisfacimento della domanda di giustizia di bisogni reali, senza che possano essere chiamati a presidiare azioni emulative o pretestuose.

Interessante soluzione se a subirla fosse, però, un vero emulatore! Caliamo, per un momento, i parametri usati dal processo amministrativo in quello civile, da cui sono pure mutuate le regole della legittimazione. Prendiamo ad esempio le invalidità dei contratti con il consumatore. La legittimazione a contestare l’invalidità del contratto appartiene al solo consumatore, il soggetto posto in una condizione di asimmetria. Bene il legislatore ha attribuito questa legittimazione relativa perché ha inteso presidiare la parte più debole, applicando la regola logica di non consentire alla parte più forte di usare il proprio abuso a suo vantaggio. Fin qui la parte costruens. Ma se non esistesse la suddetta regola, anche il contraente che ha dato origine alla invalidità avrebbe titolo ad agire. Così il giudice dovrebbe entrare nel merito della questione e rilevare l’invalidità, con una pronuncia demolitoria che potrebbe inficiare la posizione del consumatore.
Torniamo nel processo amministrativo, nel quale, se si applicasse questa regola, si dovrebbe dire, applicando i principi del ricorso incidentale escludente, che di fronte a due invalidità che infettano i due ricorsi, solo ad una delle parti è attribuita la legittimazione a resistere, cioè la parte più forte, l’aggiudicataria, perché la parte più debole, cioè il ricorrente principale, non può impugnare avendo perso la legittimazione proprio in base alla sua invalidità.
Bene, non sembra che ci sia una asimmetria evidente, che nasce proprio dalla invalidità. Allora opinando in termini di giustizia sostanziale, se la legittimazione ad impugnare nasce dalla illegittimità, come può la stessa illegittimità essere fonte di un diniego di giustizia? Di fronte alle due invalidità, ragionevolmente rilevabili dal giudice, al ricorrente incidentale rimane ferma l’aggiudicazione, al ricorrente principale la assoluta certezza di non avere alcuna chance.
Di fatto, l’interesse alla riedizione della gara è un interesse adespota, indifferenziato, non concreto ed autonomamente azionabile, è cioè un interesse strumentale che ha il suo connaturato limite nel fatto di non essere un interesse pretensivo, ma una mera aspirazione. Conseguentemente, non è presidiabile né da una tutela caducatoria, né risarcitoria.
L’unica soluzione percorribile è l’intervento del legislatore, già più volte autorevolmente invocato[11], che applichi la regola ormai universale nel diritto civile, della tutela delle posizioni asimmetriche di carattere sostanziale, riconoscendo al soggetto posto nella condizione di non poter agire per la caducazione dell’intera gara, il diritto ad un risarcimento del danno o quanto meno un indennizzo forfettario.
La istintiva iperprotezione per l’assetto voluto dalla PA con l’aggiudicazione illegittima avrebbe un suo costo, si placherebbe la profonda indignazione per l’alta incidenza di successo che conosce il ricorso incidentale, instillando il ragionevole ma odioso dubbio che l’illegittimità dell’aggiudicatario sia meno rilevante di quella dell’escluso.
Il ricorrente principale sarebbe soddisfatto dal riconoscimento del suo interesse e dalla riaffermazione della sua libertà di adire il GA per vedere tutelati i suoi interessi e la UE saprebbe che in Italia si fa sul serio.
Tuttavia, siamo coscienti che questa soluzione non passerebbe il vaglio delle finanze pubbliche. Nel diritto amministrativo il cammino accidentato delle soluzioni risarcitorie non è mai scaturito da revirement legislativi, ma è germogliato sempre nelle aule dei tribunali, in special modo ad opera del Supremo Consesso della giustizia ordinaria. Il G.A. ha notoriamente le mani imbrigliate da secoli di querelle su cosa il giudice debba o possa imporre alla PA. Così le asperità dell’interesse legittimo ritornano, periodicamente, come un pesante rigurgito: se l’interesse è oppositivo, la difesa è calibrata su di una pronuncia demolitoria che, da sola, è pienamente restitutoria; in presenza di un interesse pretensivo, la posta si alza. Solo in presenza di una attività vincolata il giudice penetra l’interesse finale e lo attribuisce in via diretta. Oltre questo non si può andare … nemmeno con la più fervida delle immaginazioni e nemmeno in presenza di una materia, quella degli appalti, dove le soluzioni devono fare i conti con interessi di rango comunitario.

Note

1.  Vedi R. Caponigro, Annullamento dell’aggiudicazione ed effetti sul contratto, Foro CdS, 2010, ove si evidenzia che il contratto di appalto stipulato da una amministrazione pubblica si differenzia da un contratto di appalto stipulato tra soggetti privati, in ragione della rilevanza pubblica dei motivi che determinano la parte pubblica alla stipula, motivi solitamente irrilevanti per i soggetti privati.

2.  R.Villata e L. Bertolazzi, Il processo amministrativo – commentario al D.lgs n. 104/2010, a cura di A. Quaranta e V. Lopilato, Milano, 2011, 422,423; M. Protto, Ordine di esame del ricorso principale e incidentale in materia di appalti pubblici: la parola al giudice comunitario in www.giustizia-amministrativa.it

3.  A.P. del 2011, n. 4: la sentenza in discorso, peraltro, ritiene che l’esame prioritario del ricorso principale sia ammissibile, per ragioni di economia processuale, qualora sia evidente la sua infondatezza, inammissibilità, irricevibilità o improcedibilità.

4.  A.P. del 2008, n. 11: “Per definire l’ordine di trattazione del ricorso principale e di quello incidentale e quali siano i conseguenti effetti processuali, nel caso di controversia tra le due uniche imprese che siano state ammesse alla gara, ritiene l’Adunanza Plenaria che sia decisivo il principio per il quale il giudice, per essere “imparziale”, deve trattare le parti “in condizioni di parità”. Tale principio è espressamente affermato dall’art. 111, secondo comma, della Costituzione, nonché dall’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (direttamente applicabile nell’ordinamento nazionale, poiché per l’art. 6 (F) del Trattato di Maastricht, modificato dal Trattato di Amsterdam, l’Unione Europea annovera – tra i “principi generali del diritto comunitario” – “i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”). Per i principi della parità delle parti e di imparzialità, dunque, quando le due uniche imprese ammesse alla gara abbiano ciascuna impugnato l’atto di ammissione dell’altra, le scelte del giudice non possono avere rilievo decisivo sull’esito della lite, anche quando riguardino l’ordine di trattazione dei ricorsi: non si può statuire che la fondatezza del ricorso incidentale – esaminato prima – preclude l’esame di quello principale, ovvero che la fondatezza del ricorso principale – esaminato prima – preclude l’esame di quello incidentale, poiché entrambe le imprese sono titolari dell’interesse minore e strumentale all’indizione di una ulteriore gara”.

5.  A. Giannelli, Il revirement della Plenaria in tema di ricorsi paralizzanti nelle gare a due: le nubi si addensano sulla nozione di interesse strumentale, Dir. Proc. Amm., 2011: l’interesse strumentale identifica situazioni in cui il bene della vita non è direttamente conseguibile con l’annullamento dell’atto impugnato, ma solo ed eventualmente a seguito dell’attività amministrativa posta in essere in esecuzione della sentenza di accoglimento e di annullamento, sicché può ritenersi, quando il riesercizio del potere abbia comunque carattere discrezionale e non sia stato completamente conformato dalla pronuncia giurisdizionale, altrimenti si tratterebbe di interesse finale, che la strumentalità dell’interesse costituisce il risvolto processuale della nozione sostanziale di interesse pretensivo. La nozione di interesse strumentale ha conosciuto una notevole diffusione anche prima che si profilasse all’orizzonte il problema dei due ricorsi reciprocamente escludenti in materia di procedure ad evidenza pubblica e che l’attributo della strumentalità evoca la tensione verso un risultato diverso ed ulteriore rispetto a quello immediatamente ritraibile dall’iniziativa intrapresa dal titolare dell’interesse medesimo; nel glossario del diritto amministrativo, la strumentalità costituisce una efficace sintesi verbale per rappresentare situazioni in cui il risultato perseguito con l’impugnazione non si esaurisce nell’annullamento dell’atto.

6.  A.P. del 2008, n. 11.

7.  A.P. del 2011, n.4.

8.  Ordinanza di rimessione alla A.P. , Sez. VI, del 2013, n. 2681, estensore Giovagnoli.

9.  S.S.U.U. del 2012, n. 10294.

10.  Sentenza C.E., 10° Sez., causa-100/12.

11.  F. Satta, Appalti pubblici e infrastrutture: per una maggiore efficacia della giurisdizione amministrativa, in www.apertacontrada.it, 18 luglio 2014.