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La banca che ci manca. Le banche centrali, l’Europa, l’instabilità del capitalismo, di Pierluigi Ciocca – Donzelli Editore, 2014

di - 23 Dicembre 2014
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Il nuovo libro di Pierluigi Ciocca – “La banca che ci manca”, Donzelli editore – dovrebbe avere uno straordinario interesse per i lettori di ApertaContrada (e molti altri). Come rientra nelle abitudini culturali dell’A., “La banca che ci manca” affronta un problema istituzionale e quindi storico e giuridico. Il problema è come, con quali poteri, entro quali limiti, deve agire una banca centrale nei momenti in cui il suo intervento è essenziale, cioè di fronte alle gravi crisi.

Per affrontarlo, l’A. lo colloca nella storia. Ripercorre così uno dei periodi non bellici più drammatici della storia moderna, quello americano ed in realtà mondiale, della fine del primo decennio degli anni 2000. Segue quindi il lungo corso delle crisi che avevano investito le grandi, gigantesche istituzioni finanziarie private negli Stati Uniti; studia i salvataggi o gli abbandoni, cioè i fallimenti, decisi dalle autorità finanziarie. Nasce di qui l’osservazione, che è il cuore del libro: ci sono state vicende, nelle quali le autorità finanziarie hanno dovuto seguire una regola dettata dal legislatore e non hanno potuto valutare in autonomia – in loro scienza e responsabilità – se la situazione dell’impresa finanziaria in crisi fosse dovuta a illiquidità o insolvenza: recuperabile la prima, irrecuperabile la seconda.

La domanda che Pierluigi Ciocca affronta è dunque questa: quali sono, quali devono essere i poteri della banca centrale? In altri termini: dove sta, come è configurata la sua discrezionalità, il suo potere e dovere di intervenire in un modo o nell’altro? La sua tesi è che solo l’esperienza ed il sapere della banca centrale e dei suoi organi di governo possono indicare la via da seguire – ovvero distinguere tra insolvenza e illiquidità.

La tesi è importantissima: solo l’esperienza, la cultura, la ricchezza di informazioni, la  conoscenza della storia e quindi della tipicità di eventi e comportamenti consentono di scegliere tra misure così antitetiche, come il soccorso e quindi il salvataggio o il fallimento. Insomma, il potere di intervento della banca centrale sugli intermediari finanziari deve certamente essere conferito con legge; ma il corpo di regole che ne guida l’esercizio non può essere predeterminato con la legge. Non può che derivare dall’esperienza, nel senso più lato del termine – cultura, informazioni, conoscenza della storia, dimestichezza con il sistema. La legge insomma attribuisce il potere e quindi la discrezionalità che la banca centrale è chiamata ad esercitare; le regole d’esperienza, non la legge, presiedono al suo esercizio. È insomma il suo sapere, al tempo stesso specifico, specialistico, e lato sensu globale. Ogni altra legge può condizionare e quindi limitare le valutazioni e le scelte della banca centrale e quindi, resala fit of an unfit fitness, costringerla a decisioni sbagliate.

In un serrato racconto l’A. conduce il lettore, quasi per mano, nelle vicende e nelle scelte fatte dalla FED. Sono drammatiche le pagine in cui si disegna la crisi e l’abbandono di Lehman. Merita riportare alcune righe di p. 94: “Mai potrà sapersi se, salvando Lehman, si sarebbe evitato il disastro che seguì. Ma perché si optò per il fallimento di Lehman, al rischio di provocare il disastro che seguì?” Ci furono tante discussioni, tanti problemi. Ma, scrive Ciocca, l’ostacolo decisivo al salvataggio fu di natura giuridica e riguardò la discrezionalità della banca centrale. Un articolo della legge sulla FED prescriveva che i titoli su cui si sarebbe potuto fondare il finanziamento dovevano essere “indorsed or otherwise secured to the satisfaction of the Federal Reserve”. Costretta a questo parametro astratto di valutazione, la FED non poté fare altro che abbandonare Lehman. Seguì il disastro.

***

Il punto cruciale è che la tesi di Pierluigi Ciocca non vale solo per il settore di attività delle banche centrali, cui è dedicato il suo libro. La tesi ha valenza generale. Si dice abitualmente che tutto l’agire delle pubbliche amministrazioni deriva soltanto dalla legge e che esse ne possono tradurre i precetti in atti e provvedimenti concreti, grazie a valutazioni di opportunità che maturano attraverso procedimenti amministrativi di vario genere. Questo sarebbe la discrezionalità.

È ragionevole pensare che le cose non stiano proprio così e che il cuore della discrezionalità non stia in una serie di opportunità. Tutta la vita è retta da regole non scritte, non giuridiche, ma dettate dall’esperienza o dalla scienza, in senso lato, anche come sistema di tecnologie o semplicemente di tecniche. Il diritto le avvolge, dando a se stesso un contenuto. Senza la conoscenza di questi saperi non giuridici il diritto non potrebbe avere un contenuto. Non è un caso che oggi si parli spesso di interdisciplinarietà. La discrezionalità non sta in valutazioni di opportunità. Sta nel decidere secondo i criteri dettati dall’esperienza specifica, in funzione dell’interesse che occorre perseguire. Il fatto che l’interesse sia pubblico è poco rilevante. Sempre di un interesse che deve guidare gli accertamenti, le valutazioni, le decisioni, si tratta.

Questo ci ha confermato un economista, laureatosi per altro nella Facoltà di Giurisprudenza di Roma, quindi non ignaro di diritto.

Et de hoc satis, perché il libro che ApertaContrada presenta ai lettori è di Pierluigi Ciocca, e suo deve restare.

 


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