La banca che ci manca. Le banche centrali, l’Europa, l’instabilità del capitalismo, di Pierluigi Ciocca – Donzelli Editore, 2014

Il cambiamento sembra quasi un imperativo categorico per vivere e sopravvivere, che accomuna sia individui che istituzioni, alla continua ricerca di necessaria armonia e coerenza con ambiente esterno e contesto di riferimento.
Indubbiamente il cambiamento è difficile, lungo, talvolta penoso, perché incontra resistenze e ostacoli, frapposti sia all’esterno sia al proprio interno da una più o meno conscia preferenza per una comoda e tranquilla continuità. Peraltro esso ha la grande capacità di sprigionare energie vitali, di prospettare nuove ragioni di esistenza e di proiettare dinamicamente verso il futuro.
Tali contrastanti tendenze sono tanto più rilevanti nel caso della banca centrale – istituzione tradizionalmente chiamata ad occupare una posizione delicata di governo della moneta e di supervisione del sistema finanziario – che inevitabilmente si trova ad agire lungo un delicato crinale, a contatto con gli andamenti della economia, in un reciproco scambio tra influenzarli ed esserne influenzata.
Queste semplici riflessioni sono suscitate dalla più recente opera di Pierluigi Ciocca “La banca che ci manca. Le banche centrali, l’Europa, l’instabilità del capitalismo”, stimolante contributo dedicato ad analizzare le necessità di ripensamento che la banca centrale (ma lo stesso vale mutatis mutandis anche per la finanza in generale e per la economia tutta) deve affrontare per svolgere adeguatamente il ruolo assegnatole.
Si tratta di un breve ma concettoso volume, nel quale – alla luce di fatti contingenti – confluiscono molte considerazioni maturate dall’Autore nel corso delle sue lunghe intense esperienze intellettuali di banchiere centrale, di economista e di storico, principalmente dedicate alla finanza (evoluzione nel tempo e nelle diverse realtà geopolitiche, caratteristiche e qualificazioni, rapporti con la economia reale), ed in particolare al ruolo e funzioni della banca centrale.
In effetti, alla fine degli anni ‘90 era emersa tra numerose banche centrali una piuttosto generalizzata convergenza verso schemi di policy, che sembravano in grado di conciliare in maniera ottimale stabilità macroeconomica e dei prezzi. Peraltro, è attualmente opinione diffusa che tale convinzione sia superata, sulla base di una serie di fattori causali sia contingenti, quali la recente crisi economica e finanziaria, sia di più lungo periodo come ripensamenti di schemi interpretativi concettuali.
In particolare sembrano da riconsiderare, tra gli altri, il rapporto tra stabilità dei prezzi e più ampi obiettivi relativi a grandezze macroeconomiche, la instabilità del sistema economico e le imperfezioni del mercato finanziario, l’ampliamento da parte delle banche centrali delle proprie competenze verso altre aree ed i relativi effetti sulla loro indipendenza, la presenza di livelli elevati di debito sia privato che pubblico (con ricorrenti dubbi sulla sostenibilità di questo ultimo), il ruolo trainante della finanza rispetto alla economia reale, la consapevolezza dei limiti della politica monetaria che necessita di essere integrata con altre modalità di politica economica (fiscale, riforme strutturali, regolazione del settore finanziario, ecc.).
L’Autore affronta con forza argomentativa i più rilevanti problemi emersi recentemente, con una attenta analisi di varie concezioni di banca centrale – la cui discriminante anche cronologica è la crisi economica e finanziaria internazionale iniziata nell’estate del 2007 – ma arricchita e allargata a molteplici altre considerazioni attinenti la teoria della politica monetaria e finanziaria, esperienze istituzionali diversificate nel tempo e nello spazio, verifiche empiriche.
Da questo vasto esame vengono evidenziate sostanzialmente due visioni di banca centrale: da un lato una concezione ristretta, con attribuzione pressoché esclusiva di competenza in materia di politica monetaria (e questa ultima a sua volta sottoposta a limitazioni in termini di obiettivi e di strumenti) e gravata da regole ben precise e rigide; dall’altra una istituzione consapevole che le negative conseguenze di ogni crisi economica e finanziaria (legate alla intrinseca instabilità sistemica, e drammaticamente all’attenzione della opinione pubblica, di dirigenti politici e di commentatori per gli effetti negativi in termini di crescita economica e di occupazione) sono in gran parte da ricercare in interventi insufficienti e inefficaci per dare adeguate risposte, e quindi cerca  responsabilmente nuove iniziative, con l’ampliamento sia della propria discrezionalità decisionale che delle competenze attribuite.
Nel volume, come ricordato, questo ripensamento di funzioni e ruolo della banca centrale viene opportunamente riferito e collegato anche ad altri aspetti a questi connessi, in primis alla politica fiscale, a quella macroeconomica e delle riforme strutturali, nonché alla supervisione e politica di stabilità finanziaria; ne emerge quindi un contesto ampio e omnicomprensivo, necessario per un adeguato esame delle molteplici complesse interrelazioni.
In effetti è da tale ripensamento che emerge la contrapposizione, oggetto attuale di aspre polemiche tra diverse visioni, definita piuttosto semplicisticamente in termini di contrapposizione tra rigore e crescita (ovvero anche tra  regole e discrezionalità, tra stabilità e instabilità, e più giornalisticamente tra falchi e colombe). Una contrapposizione “muscolare”, spesso ideologica e manichea, talvolta espressa in maniera trasparente, ma in qualche occasione mediante inopportune indiscrezioni (come quelle relative a divergenze di posizioni all’interno dell’organo decisionale della BCE, con l’effetto di danneggiarne la immagine e di influenzare negativamente i mercati).
La recente crisi è analizzata dettagliatamente e con attenzione nelle sue cause, manifestazioni ed effetti – diversi per gli USA e per l’Europa – ed offre l’occasione per non pochi severi giudizi sia sugli interventi di risposta (spesso caratterizzati da esitazioni, contraddizioni, insufficiente intensità, scarso esame di elementi correlati e di indesiderati effetti), sia sulle criticità strutturali emerse, in particolare sugli assetti istituzionali della Eurozona.
Molteplici e complessi, dunque, i temi affrontati; tuttavia tra essi sembrano emergere due contributi (presumibilmente i più “sentiti” dall’Autore stesso), che si caratterizzano per particolare rilevanza ed originalità, sostanzialmente riconducibili a due aspetti fondamentali.
Il primo, molto vicino non solo al Ciocca central banker, ma anche all’economista ed allo storico, considera la contrapposizione tra diverse concezioni di banca centrale con ottica diacronica, delineando due secoli di evoluzione storica di tale istituzione.

L’analisi – che può implicitamente considerarsi anche una sorta di proposta metodologica di ricorso alla storia come strumento di esame di diverse concezioni – identifica sostanzialmente tre periodi. La lunga fase delle origini ripercorre vicende istituzionali e elaborazione concettuale, partendo dal contributo pionieristico di Thornton e successivamente di Bagehot, Keynes, Minsky;  prevale un concetto ampio di banca centrale (“banca delle banche”) che, oltre alla emissione delle banconote (successivamente ampliata come gestione del sistema dei pagamenti), governa la moneta per fare fronte a squilibri economici ed a fluttuazioni cicliche, fornisce liquidità all’industria finanziaria, esercita supervisione e regolazione del sistema finanziario per assicurarne efficienza e stabilità. Una istituzione, quindi, caratterizzata da ampiezza di obiettivi (costanza dei prezzi, pieno utilizzo dei fattori produttivi, tassi congrui d’interesse e di cambio, ecc.) da perseguire con autonomia e “saggia” discrezionalità.
Evoluzione congiunturale e inflazione negli anni ’70 del Novecento hanno segnato una svolta e l’inizio di una nuova fase del central banking, riferibile a contributi di pensiero che rivalutano il mercato e le capacità auto-equilibratrici del sistema economico, e privilegiano un governo della moneta e della finanza affidata piuttosto a “regole” (di cui l’Autore parla come di “temporanea rivincita”, esprimendo severi giudizi sulle loro debolezze), intese come fissi parametri e indirizzi strategici. Di conseguenza alla banca centrale viene affidato un ruolo circoscritto alla sola politica monetaria, privilegiando la stabilità dei prezzi come prioritario e pressoché unico obiettivo, e rafforzandone la autonomia, intesa prevalentemente come scudo protettivo da pressioni politiche.
La crisi del 2007, rimettendo in discussione i trascorsi impianti analitici, assetti istituzionali e operativi, segna la svolta e l’inizio della terza e attuale fase, definita come “un ritorno al central banking” nel senso più ampio, come originariamente definito dai “padri fondatori”. Anche se presumibilmente non si tratta di un ricorso storico vichiano, pur tuttavia il ripensamento, nella felice sintesi di Ciocca, si sostanzia comunque nella “riaffermazione della flessibilità della politica monetaria e attribuzione alle banche centrali di maggiori responsabilità nella cura dell’industria finanziaria”.
Il secondo aspetto – altrettanto meritevole di particolare attenzione, anch’esso frutto indubbio della lunga esperienza di banchiere centrale ad altissimo livello svolta dall’Autore – di analisi delle divergenti idee in tema di banca centrale, evidenzia una posizione netta ed esplicita, definita con le sue stesse parole come “proposte per una banca centrale a tutto tondo” per un “ritorno al più autentico central banking”.
In esso, sembra quasi di leggere il compendio di un prezioso Memorandum indirizzato ad un ipotetico banchiere centrale, contenente indicazioni e proposte per l’ottimale svolgimento della sua funzione, quale emerge dalla recente evoluzione teorica ed empirica.
Alla base di questa concezione è l’idea di discrezionalità operativa, come esercizio di autonomia istituzionale (sia pure sindacabile ex-post) e distinta dalla indipendenza funzionale, data la necessità di complementarità, e quindi di coordinamento tra politica monetaria ed altri momenti della politica economica.
Aspetto particolarmente delicato è la tutela di questa discrezionalità e autonomia – che implica anche aspetti culturali e garanzie istituzionali – soprattutto come salvaguardia nei confronti del complesso Finanza-Industria e di quello Politica-Burocrazia.
E a tale proposito l’Autore si sofferma su alcune questioni cruciali: anzitutto la supervisione finanziaria, intesa ad assicurare stabilità ed efficienza al sistema finanziario nel suo complesso in cui essenziale è il credito di ultima istanza, nonché il rapporto tra politica monetaria e politica di bilancio (tema particolarmente delicato alla luce della normativa europea sul finanziamento al settore pubblico), ipotizzando soluzioni “opportune” nella eventualità di uno Stato illiquido ma non insolvente, ovvero di difficoltà per lo stesso di collocare i propri titoli sul mercato; e ciò in considerazione delle ripercussioni non solo economiche ma anche politiche e sociali di tali eventualità.
Autonomia e discrezionalità costituiscono, dunque, i fondamenti del central banking e, come tali, esse devono tendere – al tempo stesso e complessivamente – a conseguire mediante la politica monetaria la stabilità dei prezzi e il pieno utilizzo delle risorse, ad assicurare tramite la politica di stabilità finanziaria la solidità e liquidità del sistema, ad assicurare il finanziamento allo Stato per garantire la continuità della spesa pubblica.
Sono queste per Ciocca “le basi su cui costruire la nuova banca centrale di cui l’economia, non solo dell’Eurozona, ha bisogno… Nell’instabile economia di mercato capitalistica, nulla è determinato o sicuramente determinabile. La banca centrale non può – non deve – essere costretta alla supplenza delle politiche economiche governative carenti, supplenza che non è in grado di assicurare. E tuttavia l’instabilità può essere non poco contenuta se la banca centrale è posta nella migliore condizione per governare il sistema creditizio”.