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Money and Trade Wars in Interwar Europe, di Alessandro Roselli, Palgrave Macmillan Editore, 2014

di - 18 Dicembre 2014
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copertina RoselliÈ stato osservato che il periodo che va dall’inizio della prima guerra mondiale alla fine della seconda può essere definito per l’Europa come un’unica, lunga “guerra dei trent’anni”, dove l’intervallo fra le due guerre “guerreggiate” è occupato da un conflitto, non cruento ma altrettanto distruttivo, combattuto sul piano monetario e commerciale. Venne meno, senza essere sostituita, l’ancora monetaria del gold standard, si consolidarono politiche economiche e monetarie nazionalistiche, cadde il commercio mondiale, si affermarono dittature, ponendo così le premesse di un nuovo, più catastrofico, conflitto armato.
Dopo la prima guerra mondiale, il ripristino del gold standard fu ostacolato da tre principali fattori: l’inflazione bellica e dell’immediato dopoguerra, i debiti interalleati, le riparazioni tedesche, mentre gli Stati Uniti emergevano come grande creditore internazionale, e la Germania grande debitrice.
Ma la struttura delle nuove parità auree, lungi dal rispecchiare i nuovi assetti, fu costruita in modo non coordinato, risultato prima di politiche di potenza e poi di aggressiva competizione. Grandi movimenti di capitale, indotti anche da irrealistiche parità, all’inizio stabilizzanti, non fecero che accentuare gli squilibri, esponendo i debitori a subitanei deflussi.
Gli Stati Uniti si consolidarono come potenza egemone, mortificando l’intera Europa, dalla decadente Inghilterra alla sconfitta Germania. Sul piano monetario, contro ogni simmetria di comportamento, che richiede all’economia in attivo di stimolare la propria crescita con politiche espansive, gli SU strinsero il freno monetario, introdussero la prima grande Tariffa commerciale e svalutarono il dollaro. L’Inghilterra abbandonò ogni tentativo di restaurazione della propria potenza e iniziò una fase di svalutazioni competitive; la revanscista Germania mantenne una politica di potenza, non svalutò formalmente il marco, ma reagì alla carenza di mezzi di pagamento internazionali  con stretti controlli dei cambi e con un’estesa rete di accordi commerciali bilaterali (clearing), funzionali all’acquisizione di materie prime per il proprio riarmo, e con politiche di stampo keynesiano ante litteram.
C’è da meravigliarsi che l’idea di un’Europa economicamente e monetariamente unita sotto l’egida del Reich, parto dell’entourage hitleriano, faccia leva su un clearing centrato sulla Germania e sulla nuova moneta di riserva internazionale, il Reichsmark? Sono da notare la perplessità dell’Italia fascista di fronte all’idea del suo scomodo alleato, ma anche la propensione inglese a guardare con favore a quel progetto, con la sola variante di avere al centro del sistema di clearing l’impero britannico, e la sterlina: tentativo degli inglesi di resistere all’incombente superiorità americana, in un dopoguerra vittorioso, che fallirà completamente con gli accordi di Bretton Woods.
Il libro si chiede infine – col supporto di qualche statistica – se nell’area dell’euro si ritrovi oggi un paese egemone che segua comportamenti non dissimili dalla potenza egemone degli anni ‘20 e ‘30: alta posizione creditoria e riluttanza a politiche espansive, mentre il vincolo monetario (un nuovo gold standard?) frena i paesi debitori dall’adottare quel tipo di politiche.


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