Considerazioni a margine di un provvedimento della Banca d’Italia sull’«entrata in funzione del Single Supervisory Mechanism»

Sommario: 1. Premessa. – 2. Il primato della BCE nelle previsioni della regolazione europea. – 3. Le indicazioni della Banca d’Italia sull’applicazione dell’SSM. – 4. (Segue): la difficile accettazione di un ridimensionamento del proprio ruolo. – 5. (Segue): la denuncia di un improprio utilizzo dei poteri d’intervento dell’autorità di vigilanza.- 6. Conclusioni.

1.     L’entrata in vigore del ‘Meccanismo unico di  vigilanza’ – dopo una vigilia di ingiustificati timori da parte degli intermediari destinatari della nuova forma di supervisione[1] –  è alla base di un intervento disciplinare dell’autorità di controllo nazionale volto a puntualizzare i termini dell’importante svolta che ha mutato l’ordine del mercato bancario.[2] Sono state, per tal via, formulate alcune riflessioni sulla normativa adottata in sede europea, quasi a voler fornire una lettura di quest’ultima in chiave d’interpretazione autentica, sì da chiarire in modalità compiute la portata del cambiamento in atto nel settore del credito e della finanza.
Il provvedimento in parola arriva all’indomani della pubblicazione dei risultati degli stress test (sui requisiti patrimoniali richiesti dalla BCE) e dell’AQR (concernente la revisione della qualità degli attivi) che hanno riguardato 15 gruppi creditizi italiani, dei quali due (Monte dei Paschi e Carige) sono stati bocciati, mentre altri sono riusciti a superare dette prove solo con margini molto ristretti.[3] Si è, dunque, in un delicato momento della storia del nostro settore bancario, come è dato desumere, tra l’altro, dagli esiti dell’andamento borsistico, che risulta notevolmente differenziato (in negativo) rispetto alle altre «piazze» europee.[4]
Tale evento, per certi versi, chiama in causa l’Organo nazionale di supervisione, ove si abbia riguardo all’eventualità di un’inadeguata azione preventiva da parte del medesimo; ci si interroga se non fosse stato possibile conseguire una differente «pagella» qualora detta autorità fosse intervenuta per tempo, evitando che lo ‘stato di salute’ di alcune banche degenerasse fino al punto da non far loro superare l’ esame della BCE.
Si comprendono, pertanto, gli input reattivi della Banca d’Italia, la quale ha valutato «nel complesso rassicuranti» i risultati degli accertamenti in parola, anche in relazione al fatto che lo scenario in essi ipotizzato risulta «appositamente costruito in modo da costituire una vera prova di resistenza delle banche a situazioni estreme»[5]. A ben considerare, si è in presenza di valutazioni che evidenziano il chiaro intento di infondere credibilità nel settore, a fronte di un quadro di per sé non privo di difficoltà (ove si abbia riguardo al nesso tra rallentamento della crescita e capitalizzazione delle banche). Il richiamo alla severità dei criteri praticati rispetto alla  realtà macroeconomica italiana – pur rispondendo alla logica salvifica adottata nell’occasione dall’ autorità di controllo nazionale – non soddisfa appieno l’esigenza di chi, per converso, apprezza il rigore di tali prove, quale ineludibile strumento per testare in maniera adeguata la capacità degli enti creditizi di pervenire a soddisfacenti livelli di patrimonializzazione (e, dunque, di essere in grado di superare future situazioni di crisi).
E’ indubbio che il Comprehensive Assessment (CA) pilotato dalla BCE individua un importante passo verso la definizione di presupposti idonei all’attivazione del ‘Meccanismo unico di vigilanza’; esso tende, infatti, alla realizzazione di condizioni positive, di asset patrimoniali solidi, che costituiscano una ‘punto di partenza’ uniforme per tutti gli istituti di rilevanza sistemica dell’Eurozona. In tale logica, del resto, si iscrivono le valutazioni formulate dalla Banca d’Italia nel provvedimento sulla entrata in funzione dell’SSM, che qui di seguito si vuole analizzare, essendo i contenuti del medesimo legati (da un percepibile file rouge) alle verifiche di cui sopra si è detto, in vista dei cd. “procedimenti comuni” nei quali sono ugualmente impegnati tutti gli intermediari dell’ordinamento finanziario europeo.

2.     Si è già detto in altra sede del sostanziale ridimensionamento delle forme di intervento spettanti alle autorità nazionali di supervisione bancaria a seguito dell’ attivazione del ‘Meccanismo unico di vigilanza’, prevista per gli inizi del mese di novembre 2014. Si è, altresì, precisato che la riconduzione in capo alla BCE dell’azione di supervisione, pur riguardando ampia parte dell’attività di controllo sulle banche, deve avvenire (in base alla normativa europea) in modalità che non facciano andare disperso il patrimonio conoscitivo delle menzionate autorità nazionali.[6]
Da qui l’esigenza di individuare l’ambito dei poteri assegnati alla BCE e, dunque, i termini della «collaborazione» che le autorità bancarie nazionali sono chiamate a svolgere con  detto organismo. La normativa UE è chiara sul punto: il regolamento n.1024/ 2013, che identifica i compiti della BCE «in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi», unitamente al regolamento n. 468/2014 della BCE, relativo al «quadro di cooperazione» (nell’ambito dell’SSM) tra la Banca centrale europea e le autorità nazionali competenti, delineano in maniera inequivoca la sfera di competenza delle seconde. Nel ribadire il riparto degli interventi legati alla ‘significatività’ dei soggetti abilitati, emerge l’intento disciplinare di circoscrivere in un’attività strumentale (volta a supportare la funzione decisionale rimessa dalla regolazione alla autorità di vertice del Meccanismo unico di vigilanza) l’azione demandata alle amministrazioni domestiche.
Le autorità nazionali (nel nostro caso la Banca d’Italia) devono limitarsi, quindi, a svolgere un’assistenza che si estrinseca in compiti meramente istruttori volti ad assicurare alla BCE l’«attuazione coerente ed efficace della politica dell’Unione in materia di vigilanza prudenziale sugli enti creditizi» (considerando n. 15 del reg. n. 1024). Ed invero, i poteri attributi alla Banca Centrale Europea riconducono all’ «unitarietà del comando» di quest’ultima le aspettative in ordine al buon esito della costruzione in esame. Da qui la posizione di primazia riconosciuta dalla regolazione al nominata istituzione europea, come è dato desumere non solo dalla rimessione alla medesima delle decisioni ultime in materia di vigilanza sulle banche sistemiche (i.e.  potere di imporre, in base all’art. 16 reg. n. 1024, a qualsiasi ente creditizio  di adottare le misure necessarie per affrontare specifiche problematiche), bensì dalla  possibilità (prevista dall’art. 6, comma 5, lett. b, reg. n. 1024) di estendere il proprio intervento anche a banche non significative «qualora sia necessario per assicurare l’ applicazione coerente di standard di vigilanza elevati».[7]

Orientate in tal senso devono, poi, ritenersi anche le norme riguardanti l’ autorizzazione all’accesso all’attività bancaria e la revoca di tale provvedimento, disposizioni che sono considerate dal regolatore europeo «presidio prudenziale fondamentale per assicurare che tale attività sia svolta soltanto da operatori dotati di una base economica solida, di un’organizzazione atta a gestire i rischi specifici insiti nella raccolta di depositi e nell’erogazione di crediti e di idonei amministratori» (considerando n. 20 del reg. n.1024). Infatti, non sembra sminuisca il ruolo primario della BCE il disposto dell’art. 14 del reg. n.1024 sopra richiamato nel quale si prevede che «la domanda di autorizzazione…è presentata alle autorità nazionali competenti …. nel rispetto dei requisiti previsti dal pertinente diritto nazionale» e che tali autorità adottano «un progetto di decisione» col quale viene proposto alla BCE il rilascio di tale provvedimento; laddove «negli altri casi» le autorità nazionali sono facoltizzate a respingere la domanda di cui trattasi.
Dette statuizioni – nel conferire un’investitura formale alle autorità nazionali chiamandole a svolgere puntuali compiti in subiecta materia – fanno riferimento pur sempre all’esercizio di un’attività istruttoria, il cui apporto resta comunque circoscritto alla sola ricognizione e valutazione degli elementi rilevanti per la decisione finale. Pertanto, l’incidenza che l’ANC esercita nella ricostruzione della realtà procedimentale – pur potendo influenzare la definizione del provvedimento da assumere in sede autoritativa – non consente in alcun modo di ipotizzare che, nella fattispecie, si assista ad una sostituzione, sul piano funzionale, dell’organismo nazionale alla BCE.  Ciò in quanto le norme regolamentari dianzi richiamate non afferiscono alla decisione (finale) concernente il rilascio dell’autorizzazione, che resta pertanto di competenza esclusiva dell’autorità europea, come del resto viene sottolineato nel comma terzo dell’art. 14  in parola e nel secondo comma dell’art. 78 del reg. n. 468/2014 della BCE ove si precisa che questa ultima «fonda la decisione sulla propria valutazione della domanda, del progetto di decisione di autorizzazione e dei commenti formulati dal richiedente».
L’inequivoca formulazione della normativa in esame attesta, quindi, che il progetto predisposto dalle autorità nazionali non ha alcun carattere vincolante, esaurendosi in un ambito meramente propositivo, comprovato dalla facoltà consentita alla BCE di sollevare obiezioni al progetto suddetto qualora ritenga «non soddisfatte» le condizioni di autorizzazione stabilite nel diritto dell’Unione. In linea con tale impianto sistemico appaiono, d’altronde, le prescrizioni (contenute negli artt. 73 e 75 del menzionato reg. 468) che impongono alle autorità nazionali di inviare alla BCE le ‘informazioni supplementari’ eventualmente richieste e ‘copia’ della loro decisione di rigetto delle domande; è evidente come il regolatore abbia voluto, per tal via, rimettere all’autorità europea la possibilità di supportare i contenuti del progetto di autorizzazione disposto in ambito nazionale (al fine di concedere l’autorizzazione) ovvero di opporsi alle determinazioni ivi assunte.
Analoghe considerazioni vanno fatte con riguardo alla possibilità di revoca dell’autorizzazione da parte della BCE, la quale procede «di propria iniziativa previa consultazione dell’autorità nazionale competente dello Stato membro… in cui l’ente creditizio è stabilito oppure su proposta di tale autorità nazionale competente» (art.14, comma quinto, reg. n. 1024 e art. 80 e seguenti del reg. n. 468/2014). Anche tale procedura, fermo il coordinamento della Banca Centrale Europea con le ANC richiesto dalla regolazione (considerando n. 5 del reg. n. 1924), vede il potere d’intervento di queste ultime risolversi in una mera ‘proposta’ o, al più, nella notifica alla BCE della propria ‘obiezione’, qualora ritengano che la revoca dell’autorizzazione pregiudichi la stabilità finanziaria (art. 80 reg. n. 468); eventualità cui consegue, in un primo momento, la sospensione dell’iter procedimentale e, successivamente, una ‘decisione motivata’ dell’autorità europea qualora, a livello nazionale, non siano state adottate «le opportune azioni necessarie per mantenere la stabilità finanziaria» (art. 14, comma sesto, reg. n.1024).
Anche in materia di acquisizione di partecipazioni qualificate l’autorità nazionale competente trasmette alla BCE le notifiche relative, formulando una ‘proposta di decisione’ in merito alla possibilità di «vietare o di non vietare l’ acquisizione», (art. 15, comma secondo, reg. n.1024). Naturalmente, è la BCE ad assumere la determinazione  ultima relativa al divieto di acquisizione della partecipazione (sulla base dei criteri di valutazione stabiliti dal diritto dell’Unione e, dunque, seguendo la procedura e rispettando i termini quivi stabiliti).
Da ultimo, va tenuto presente che la regolazione europea ha fissato significative garanzie procedurali per l’adozione dei provvedimenti di vigilanza da parte della  BCE, stabilendo che quest’ultima prima di «prendere decisioni concede alle persone interessate dal procedimento la possibilità di essere sentite» (art. 22 reg. n. 1024).  La previsione di un diritto dei destinatari degli interventi della nominata autorità ad essere ascoltati, nonché a chiedere un riesame delle decisioni da essa assunte (ai sensi delle norme stabilite in sede regolamentare) impedisce che procedure attivate in sede nazionale nei loro confronti si esauriscano in detto ambito dispositivo, assumendo carattere di definitività. Da qui l’ulteriore conferma del ruolo di primazia della Banca Centrale Europea per tutto quanto concerne l’esercizio della supervisione bancaria in linea con i principi in materia vigenti nell’Unione.

3.     Ciò posto, e passando all’esame del provvedimento che la Banca d’Italia ha emanato in occasione dell’entrata in funzione del Single Supervisory Mechanism, sorprendono le modalità dell’impianto logico di tale intervento disciplinare che appare preordinato essenzialmente a sottolineare l’importante ufficio attribuito a detta autorità nazionale nel coadiuvare la BCE, al presente titolare dei poteri di vigilanza ad essa demandati dal regolatore europeo. Ed invero, nel ribadire che quest’ultima svolge i compiti previsti dal Regolamento n. 1024/2013 «con la assistenza della Banca d’Italia», si puntualizza che le relative «decisioni verranno prese, su proposta del Consiglio di vigilanza, dal Consiglio direttivo della BCE», organi nei quali la Banca d’Italia è rappresentata.
Si è in presenza di affermazioni dalle quali sembra trasparire l’esigenza di tener ferma l’essenzialità di un ruolo di cui si avverte l’inevitabile ridimensionamento, ma che si reputa (rectius: si vuole) ancora primario grazie alla partecipazione della nostra banca centrale agli organi della BCE.

Ritornano alla mente alcune considerazioni formulate nelle Relazioni della Banca d’Italia negli anni immediatamente successivi all’attivazione della ‘moneta unica’! Anche allora, a fronte della perdita del potere monetario – attraverso l’analisi dei tratti distintivi del ‘SEBC’ – si tenne a precisare ora la partecipazione di tale istituzione  «alla definizione della politica monetaria comune»,[8] ora la circostanza che essa «concorre a determinare la politica monetaria europea» (della quale «cura l’attuazione a livello nazionale»),[9] ora infine l’apporto dato dalla medesima «alla definizione del nuovo quadro istituzionale e organizzativo per la conduzione della politica monetaria comune».[10] Anche allora si voleva, nelle modalità testé indicate, porre rimedio all’erompere di un cambiamento sentito (o, forse, subito) come perdita della propria essenza!
E’ evidente – oggi come nel passato – il tacito intento di contenere la dimensione del processo innovativo in atto, impedendo che se ne possa dare un’interpretazione esorbitante rispetto alla sua reale portata. Da qui i richiami alla nota posizione istituzionale della Banca d’Italia all’interno dell’Eurosistema, nonché alle modalità degli interventi che alla medesima competono in base al complesso normativo che dà contenuto all’SSM; realtà disciplinare, peraltro, ben conosciuta dagli studiosi e dagli operatori, i quali conseguentemente sono messi di fronte ad affermazioni ovvie o, quanto meno, ripetitive sotto il profilo dell’apporto informativo dalle medesime recato.
Si procede, quindi, all’indicazione delle principali modifiche recate dall’SSM all’attività di vigilanza della Banca d’Italia, puntualizzando le funzioni istruttorie di quest’ultima in relazione ad alcune specifiche tipologie di procedimenti che riguardano tutte le banche. In particolare, sono presi in considerazione il rilascio dell’ autorizzazione alla costituzione, la revoca della licenza all’esercizio dell’attività bancaria e l’acquisizione di partecipazioni qualificate; procedure che – pur essendo descritte in modalità conformi alle prescrizioni disciplinari della regolazione europea – sono rappresentate in termini che ascrivono particolare importanza al ruolo della Banca d’ Italia nella definizione delle medesime.
La finalità di esaltare la funzione svolta dalla nostra banca centrale all’interno del Meccanismo unico risulta con chiarezza, oltre che dal tenore complessivo del provvedimento, da alcune specifiche asserzioni nello stesso formulate. Da queste si evince l’intento di sottolineare il peculiare rilievo delle valutazioni, effettuate da detta autorità, in ordine alla «sussistenza delle condizioni di autorizzazione previste dal diritto nazionale», donde la valorizzazione del relativo potere di proposta alla BCE finalizzato al «rilascio dell’autorizzazione»; in tale logica si iscrive, altresì, la volontà di porre l’accento sulla facoltà (consentita «negli altri casi» alla nostra autorità nazionale) di respingere la domanda di abilitazione all’esercizio dell’attività bancaria. Analoga considerazione, infine, si ritiene di poter formulare con riguardo all’intervento di «revoca dell’autorizzazione», nel quale risultano nuovamente affiancate «a seconda dei casi» l’iniziativa della BCE e la proposta della Banca d’Italia; revoca che – si sottolinea nel provvedimento in esame – lascia comunque «fermo … il potere della Banca d’Italia di proporre al MEF la liquidazione coatta amministrativa ai sensi degli artt. 80 e seguenti del testo unico bancario».
Da quanto precede risulta in maniera inequivoca che si è in presenza di un contesto dispositivo orientato al recupero (seppur parziale) del ruolo che per decenni ha caratterizzato la posizione istituzionale della Banca d’Italia nell’ordinamento finanziario italiano. Ciò attraverso una lettura della regolazione europea che – per quanto ineccepibile sul piano giuridico formale – dà la chiara sensazione di dare spazio ad un’interpretazione pro domo sua data dall’autorità di vigilanza nazionale alla normativa dianzi richiamata. Di fondo si intravede la speranza di non intaccare le ‘veteris vestigia flammae’, quasi che queste potessero essere reintegrate da un anacronistico tentativo di far rientrare dalla finestra quel che è uscito dalla porta.

4.     Va, tuttavia, compresa la difficoltà di accettare un cambiamento istituzionale che muta il ruolo storico svolto dalla Banca d’Italia. Dopo la perdita del potere monetario, la traslazione della supervisione bancaria alla BCE segna un nuovo, duro colpo inferto all’immagine dell’Istituto, che ben giustifica il clima di «smarrimento identitario» nella quale esso sembra vivere il passaggio all’SSM. Va condivisa, quindi, la esigenza di puntualizzare, di ribadire i termini e le modalità di tale cambiamento, nell’intento di valorizzare l’offerta di un contributo significativo nel rendere trasparenti i contenuti del processo di riforma in atto, nel facilitarne la conoscenza da parte degli intermediari. Quel che, invece, deve essere senz’altro respinta è  ogni forma (sia pur indiretta) di resistenza al «nuovo» ovvero un’interpretazione del complesso disciplinare di riferimento che vada oltre la sua reale portata; si  rischia, infatti, di ridurre (se non addirittura di vanificare) gli effetti dell’europeizzazione in atto.
In tale premessa, ben vengano i richiami, in altra sede formulati dalla Banca d’Italia, volti a sottolineare l’importanza – nell’attività di prevenzione e repressione della criminalità – della collaborazione da essa prestata congiuntamente all’Unità di informazione finanziaria (UIF) alle «altre autorità per assicurare presidi efficaci contro il riciclaggio che transita attraverso il sistema finanziario».[11] E’ questa, infatti, una  sfera d’azione non ricompresa dal regolatore europeo tra quelle demandate alla BCE,[12] per cui di certo rientra tra le funzioni proprie dell’autorità di vigilanza italiana la verifica «di comportamenti coerenti con il rispetto della legalità». Ciò, ferma restando la necessità di evitare facili sconfinamenti di tale forma di controllo in direzioni che non competono alla Banca d’Italia; eventualità, peraltro, ipotizzabile ove si abbia riguardo alla possibilità di estendere l’ambito degli interventi in parola desumibile dall’assunto che «il rispetto della legalità nell’attività finanziaria è … presupposto della sana e prudente gestione delle istituzioni finanziarie».[13]
Sul punto è bene tener presente che il menzionato pericolo di uno sconfinamento dai limiti imposti dalla regolazione europea è un’ipotesi da non scartare anche alla luce di pregresse linee comportamentali tenute dalla Banca d’Italia: ci si riferisce, in particolare, a quanto è recentemente accaduto nel corso della procedura di ‘rivalutazione’ del capitale di tale istituto.[14] È infatti il caso di ricordare come, in detta occasione, la BCE nell’analiz­zare i diversi aspetti dell’operazione (valutata positivamente ai fini dell’in­dipendenza finanziaria della nostra banca centrale), ha richiamato «l’at­tenzione del Ministero circa il rispetto della procedura di consultazione», racco­mandando un agere prudente e conforme «con i principi e gli obiettivi del SEBC all’atto di effettuazione dell’aumento di capitale»;[15] riserve successivamente ribadite dalla Banca Centrale Europea, la quale ha sottolineato il fatto di non essere stata consultata «sugli emendamenti al decreto legge» n. 133/2013.[16]

Significativo per motivazioni d’altro genere deve considerarsi l’intento di dar corso ad un progetto volto a conferire un nuovo assetto al settore bancario, nel quale – in vista di un generalizzato obiettivo di sviluppo – viene ascritto specifico rilievo alla grande dimensione aziendale; obiettivo da perseguire attraverso forme di cd. razionalizzazione sistemica, attuate previo utilizzo degli strumenti disciplinari relativi alle crisi bancarie. Tale  disegno – da noi già evidenziato con riguardo al rilevante numero di ‘procedure di amministrazione straordinaria’ recentemente praticate dalla nostra autorità di vigilanza nei confronti delle banche di medio/piccola dimensione[17] – sembra al presente confermato da talune affermazioni dello stesso Governatore della Banca d’Italia. Si ha riguardo, in particolare, alla precisazione secondo cui «progressi andranno compiuti anche dalle banche di media e piccola dimensione … (richiedendo)… anche a queste banche sforzi per contrastare il deterioramento della qualità del credito mediante un rafforzamento patrimoniale, un miglioramento degli assetti di governo e dei processi di controllo dei rischi»; donde il richiamo all’esigenza di un necessario adeguamento dei relativi «modelli operativi… ai cambiamenti in atto», prospettiva supportata dalla considerazione che «le operazioni di concentrazione possono facilitare questi progressi».[18]
Tuttavia, politiche di vigilanza siffatte, praticate nell’attuale contesto di difficoltà in cui versa la nostra economia, possono essere causa di squilibrio sistemico, risolvendosi a danno di ambiti imprenditoriali tradizionalmente legati all’intervento finanziario della menzionata tipologia di banche. Conseguentemente, sul piano delle concretezze, sarebbe disatteso l’impegno preso dal Governo italiano, il quale si è dichiarato pronto ad assumere una serie di interventi da sottoporre alla «valutazione della BEI … (tra cui).. il supporto alle Pmi mediante agevolazione del credito, il finanziamento delle reti di impresa e il piano scuola»;[19] impegno che, peraltro, non potrà trascurare le «forti complementarietà e profondi motivi di intreccio operativo» tra piccole e medie banche e Pmi sottolineati dalla dottrina, la quale non ha mancato di osservare, al riguardo, come le une e gli altri siano «confermati sotto il profilo analitico dal vantaggio comparato nel monitoraggio delegato delle piccole imprese».[20]
Ciò a prescindere dalla considerazione (da noi già rappresentata in altra occasione) secondo cui qualora dette procedure di amministrazione straordinaria si risolvano nella riconduzione delle banche commissariate nell’ambito di un ‘gruppo creditizio’ a rilevanza sistemica sembra legittimo il dubbio che tale politica interventistica (nel penalizzare le esigenze dello sviluppo zonale) si iscriva in una logica di deresponsabilizzazione (quanto meno formale) dell’esercizio della supervisione bancaria.
E’ evidente come l’autorità di vigilanza nazionale, vivendo la difficoltà del presente momento storico, finisca con l’essere dibattuta in una singolare alternanza che la vede, per un verso, protesa al rafforzamento dei poteri che residuano dopo l’ applicazione dell’SSM, per altro orientata ad una logica dimissoria (presupposto di una semplificazione dei processi di vigilanza) al presente applicabile nei confronti delle piccole/medio banche (tuttora assoggettate al suo controllo), ma che in prospettiva potrebbe riguardare anche altri aspetti dell’attività di supervisione. E’ forse, questo, il timore maggiore che deriva dall’analisi degli effetti del ‘Meccanismo unico’ sul sistema di vigilanza nazionale; vale a dire la possibilità di un cedimento operativo della nostra autorità di settore, attuato nella convinzione della ineludibilità di eventi destinati a cambiare il ruolo da essa svolto in un diverso contesto economico finanziario (meno avanzato sul piano dell’integrazione europea, ma di certo caratterizzato da una più stretta riferibilità agli elementi costitutivi della sovranità nazionale).
Si è, comunque, in presenza di una realtà problematica, nella quale complessità di vario genere possono impedire di tener fermo il timone per la ‘diritta via’!

5.    Come talora accade quando si persegue con tenacia un determinato obiettivo, l’intento di raggiungere la meta ad ogni costo aumenta la tensione operativa, col conseguente pericolo di far venir meno il giusto equilibrio che deve guidare la ricerca e la scelta degli strumenti idonei a dare concretezza al disegno avuto di mira.
La consapevolezza della forza dei propri mezzi d’intervento, della capacità d’imporre schemi decisionali preordinati a finalità di pubblico interesse e, più in generale, le certezze rivenienti dalla definizione normativa di un particolare status istituzionale finiscono, a volte, con l’interagire negativamente sul bilanciamento degli interessi in campo; si afferma fatalmente il convincimento che gli indicati fattori rendano la propria azione svincolata dall’ osservanza delle prescrizioni di legge. Si finisce col credere nell’«assolutezza del proprio potere», tanto da ipotizzare che qualsivoglia atto sia consentito; anche – ove necessario – addivenendo ad una utilizzazione impropria di strumenti o procedure che l’ordinamento ha previsto per scopi diversi da quello cui essi vengono impiegati in determinate fattispecie.
E’ evidente come in siffatte ipotesi le istituzioni corrano il rischio di diventare autoreferenziali, allontanandosi conseguentemente dal contesto socio giuridico nel quale hanno consolidato nel tempo la fiducia che ha caratterizzato il loro rapporto con la comunità di riferimento. L’incredulità e la delusione per accadimenti di tal genere dà spazio a giustificate critiche; queste esprimono stupore per quanto è dato riscontrare e lamentano la mancanza di interventi, in via di autotutela amministrativa, a fronte di un consapevole vaglio (rectius: verifica) della invalidità giuridico formale dei provvedimenti emessi.
Sono queste le considerazioni ed i sentimenti che si provano in presenza di una ‘interrogazione al Ministro dell’economia e delle finanze’, recentemente depositata in sede parlamentare,[21] nella quale si sottolinea che tra i presupposti a base del commissariamento di un ente creditizio di piccole dimensioni «la proposta della Banca d’Italia richiama le anomalie della operatività dell’attuale Direttore generale in qualità di Amministratore Delegato di Flash Bank, ente creditizio in precedenza posto in liquidazione coatta». Ciò, precisando in premessa che detto dirigente «non ha mai ricoperto alcuna carica ovvero svolto operatività alcuna nella nominata Flash Bank».
La sconcertante realtà denunciata in tale interrogazione – vale a dire la presentazione al Ministro dell’economia da parte della Banca d’Italia di una proposta (per l’attivazione di una procedura di amministrazione straordinaria) fondata su un ‘fatto inesistente’ – al di là della «chiara invalidità dell’atto del Ministro per eccesso di potere»,[22] richiamata nell’interrogazione parlamentare in parola, pone numerose perplessità  di altro genere.

Si prescinde, in questa sede, da valutazioni afferenti la mancata regolarità della azione posta in essere dalla Banca d’Italia nella fattispecie dianzi richiamata. Per converso, si auspica che l’autorità di controllo italiana eviti  forme di uso improprio di strumenti e procedure previsti dalla normativa speciale, assumendo – nei casi in cui ciò si sia verificato – iniziative idonee a porre rimedio, sia pur tardivamente, agli squilibri causati. Tale forma d’intervento appare, infatti, l’unica via percorribile al fine di un recupero dell’«affidamento» che, da tempi lontani, la società civile ha riposto nella Banca d’Italia. Errare umanum est, perseverare diabolicum!

6.    Alla luce di quanto precede è opportuno soffermarsi su un ordine di considerazioni di carattere generale, riguardanti la linea decisionale che caratterizza le opzioni interventistiche della nominata autorità di settore, linea sulla quale ci si è intrattenuti nei precedenti paragrafi.
In particolare, sorgono dubbi sulla validità dell’impianto sistemico del settore finanziario italiano incentrato sulla grande dimensione aziendale, modello organizzativo a base della ‘politica di vigilanza’ cui sembrano orientate le recenti scelte della Banca d’Italia. La tendenza verso una ridu­zione numerica delle banche (che ha investito soprattutto gli enti creditizi medio/pic­coli)[23] e la circostanza che l’assetto del  settore bancario risulta ricompattato sotto l’egida di alcuni gruppi creditizi[24] individuano fattori destinati a riflettersi sulla morfologia dell’ordinamento finanziario italiano, segnando un’inevitabile compressione del ‘localismo bancario’ (che, da sempre, ha costituito una prerogativa delle piccole/medio banche e, in particolare, di quelle a struttura cooperativa).
Un incremento nell’applicazione delle  procedure di amministrazione straordinaria per finalità di concentrazione (al di là del loro impiego per la risoluzione di reali situazioni di crisi) interagisce, quindi, negativamente sul ruolo riconosciuto alle banche locali di «agenti integratori» dei distretti industriali.[25] Si incide, altresì, sul positivo radicamento nel territorio di tale tipologia di banche, notoriamente volta allo sviluppo zonale attraverso una serie di interventi mirati al conseguimento di equilibrate forme di crescita dei processi economici e sociali. Del resto, fino ad un passato recente anche insigni esponenti della Banca d’Italia hanno correttamente sottolineato che la costituzione di merca­ti locali del credito, fondati su un’operatività rivolta «prevalentemente al socio-cliente e al territorio di riferimento», trova piena realizzazione «nel caso di cooperative di contenute dimensioni …  per le quali è significativo il controllo svolto dalla collettività».[26]
Se ne deduce che al fine di accertare l’incidenza dell’SSM sul sistema finanziario italiano non potrà prescindersi da verifiche che – nel valutare le politiche di vigilanza domestiche adottate a seguito della sua applicazione – accertino la sorte del localismo bancario e, in particolare, se effettivamente la regolazione europea sia orientata nella direzione che sembra emergere dalle tendenze interventistiche della competente autorità italiana.
Si profila, pertanto, una problematica di grande rilievo in quanto, come è stato sottolineato da un autorevole studioso, non può trascurarsi di considerare che «le banche regionali e locali svolgono un ruolo particolarmente incisivo… come banche di prossimità, in particolare per le micro e le piccole-medie imprese, componente essenziale dell’economia reale».[27] Va da sé che i risultati di opportuni riscontri comparatistici potranno essere d’ausilio nel rilevare come in Europa le banche locali, ben gestite e ben sorvegliate, svolgono un ruolo tutt’ora «fondamentale nel concedere credito a micro imprese, a PMI, alle famiglie».[28]

Note

1.  In argomento cfr. CAPRIGLIONE, L’applicazione del ‘Meccanismo unico di supervisione’ bancaria: una vigilia di ingiustificati timori, in Apertacontrada, 10 ottobre 2014.

2.  Cfr. Provvedimento della Banca d’Italia. Entrata in funzione del Single Supervisory Mechanism. Effetti sui procedimenti amministrativi di vigilanza di competenza della Banca d’Italia, docum. protocollo n. 1088399/14 del 4 novembre 2014, visionabile sul sito www.bancaditalia.it

3.  Cfr. GRECO – RICCIARDI – SCOZZARI, Stress test: le pagelle di tutte le italiane. Bocciate Mps e Carige, visionabile su www.repubblica.it_economia_2014_10_26.

4.  Si segnala, tra l’altro, il crollo verticale di Mps (-21,5%) e di Banca Carige (-17,2%), a cui la Bce ha chiesto di trovare 2,1 miliardi e rispettivamente 814 milioni di euro di capitale; cfr. taluni editoriali della stampa specializzata (nei quali, per l’ appunto, si evidenzia il tonfo del comparto bancario) tra cui «Borse negative dopo i risultati degli stress test Crollano Mps e Carige, Milano è maglia nera» visionabile su www.lastampa.it _2014_10_27 e «Piazza Affari chiude a -2,4%. Mps cede il 21,5%, vietate le vendite allo scoperto», visionabile su www.ilsole24ore.com_2014_10_27.

5.  Cfr. GRECO – RICCIARDI – SCOZZARI, Bankitalia, Panetta: “Scenario italiano degli stress test molto severo”, visionabile su www.repubblica.it_economia_2014_10_26.  

6.  Cfr. CAPRIGLIONE, European Banking Union. A challenge for a more united Europe, in Law and economics yearly review, 2013, I, p. 44 ss; CAPRIGLIONE – TROISI, L’ordinamento finanziario dell’UE dopo la crisi, Torino, 2014, p. 67 ss.

7.  Cfr. BCE, Guida alla vigilanza bancaria,  settembre 2014, p. 10; per un commento cfr. CAPRIGLIONE, L’unione bancaria europea, Torino, 2013, p. 62 ss.

8.  Cfr. Relazione della Banca d’Italia per l’anno 2000, Considerazioni finali, p. 3.

9.  Cfr. Relazione della Banca d’Italia per l’anno 2001, Considerazioni finali, p. 3

10.  Cfr. Relazione della Banca d’Italia per l’anno 2003, Considerazioni finali, p. 3

11.  Cfr. VISCO, Contrasto all’economia criminale: precondizione per la crescita economica, intervento al Convegno organizzato da  Banca D’Italia – Fondazione Cirgis (Milano, 7 novembre 2014), p. 8 delle bozze di stampa.

12.   Cfr. CAPRIGLIONE, L’unione bancaria europea, cit., p. 36.

13.  Cfr. VISCO, Contrasto all’economia criminale: precondizione per la crescita economica, cit., p. 9.

14.  Cfr. CAPRIGLIONE, La rivalutazione del capitale della Banca d’Italia. Una complessa vicenda meritevole di chiarimenti, in Apertacontrada, 14 marzo 2014, p. 3; AA.VV., La rivalutazione del capitale della Banca d’Italia, a cura di Capriglione e Pellegrini, Padova, 2014.

15.  Cfr. il parere della BCE del 27 dicembre 2013 relativo all’aumento di capitale della Banca d’Italia.

16.  Cfr. il parere della Banca Centrale Europea del 21 febbraio 2014 sulle modifiche alla governance della Banca d’Italia. per commenti cfr. PELLEGRINI, L’aumento di capitale della Banca d’Italia nella prospettiva europea, in AA.VV., La rivalutazione del capitale della Banca d’Italia, cit., p. 68.

17.  Cfr. CAPRIGLIONE, L’applicazione del ‘Meccanismo unico di supervisione’ bancaria: una vigilia di ingiustificati timori, in Apertacontrada del 10 ottobre 2014, p. 3.

18.  Cfr. VISCO, Intervento alla ‘Giornata mondiale del risparmio del 2014’, Roma 31 ottobre 2014, p. 11 delle bozze di stampa.

19.  Cfr. PADOAN, Intervento alla ‘Giornata mondiale del risparmio del 2014’, cit., p. 6 delle bozze di stampa.

20.  Cfr. MASERA R., Le banche regionali nel nuovo quadro regolamentare europeo e in un confronto con gli Stati Uniti, cit., paragr. 4.

21.  Cfr. Interrogazione a risposta in Commissione al Ministro dell’Economia e delle Finanze presentata dall’On. Colletti (5-04001), pubblicata nell’Allegato B ai Resoconti dell’Assemblea della Camera dei deputati della seduta dell’11 novembre 2014.

22.  E’ ampiamente noto che il travisamento dei fatti costituisce riconosciuta figura sintomatica dell’eccesso di potere, almeno sin da quando, a fine Ottocento, il Consiglio di Stato chiarì definitivamente l’esistenza  di «una specie di eccesso di potere che consiste nella contraddizione tra un provvedimento ed una innegabile situazione di fatto, sia che il provvedimento si fondi sull’ammissione di fatti dai documenti smentiti, sia che abbia per base la negazione di fatti che dai documenti stessi emergano in modo non dubbio» (C.d.S., sez. IV, 3 maggio 1895, n. 187).

23.  Tendenza che, per quanto risalente nel tempo (cfr. in particolare i dati pubblicati dalla Banca d’Italia, Relazione al Parlamento e al Governo, anni 2009 e 2011), ora sembra decisamente ampliata, come è dato desumere dai riferimenti richiamati nella precedente nota n. 17.

24.  Si fa presente che già nel 2006 un autorevole esponente della Banca d’Italia ebbe modo di sottolineare che «rispetto al 1994 la dimensione media delle banche e dei gruppi bancari è quasi triplicata», cfr. Saccomanni, Il ruolo delle banche italiane per lo sviluppo del sistema paese, intervento alla X Convention ABI, Roma, Novembre 2006; in senso conforme, Cerasi – Crosato, Dimensione e concentrazione dei gruppi bancari italiani nell’ultimo decennio, in Economia e Politica Industriale, 2009, vol. 3, p. 21 ss.

25.  Cfr. CAPRIGLIONE, Commento sub art. 28 tub, in AA.VV., Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Padova, 2012, tomo I, p. 348 ss.

26.  Cfr. TARANTOLA, La riforma delle banche popolari, ‘Audizione’ presso la Commissione VI finanze e tesoro del senato del 22 giugno 2011, p. 6.

27.  Cfr. MASERA R., Le banche regionali nel nuovo quadro regolamentare europeo e in un confronto con gli Stati Uniti, cit., paragr. n. 1, ove si fa presente che «lo stesso Regolamento del Consiglio che affida la microsorveglianza alla BCE (1024/2013) sottolinea …(il) .. pieno rispetto per le diversità delle istituzioni creditizie, per le loro dimensioni e per i modelli di business».

28.  Cfr. MASERA R., Le banche regionali nel nuovo quadro regolamentare europeo e in un confronto con gli Stati Uniti, cit., paragr. 6.