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Considerazioni a margine di un provvedimento della Banca d’Italia sull’«entrata in funzione del Single Supervisory Mechanism»

di - 18 Novembre 2014
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Significativo per motivazioni d’altro genere deve considerarsi l’intento di dar corso ad un progetto volto a conferire un nuovo assetto al settore bancario, nel quale – in vista di un generalizzato obiettivo di sviluppo – viene ascritto specifico rilievo alla grande dimensione aziendale; obiettivo da perseguire attraverso forme di cd. razionalizzazione sistemica, attuate previo utilizzo degli strumenti disciplinari relativi alle crisi bancarie. Tale  disegno – da noi già evidenziato con riguardo al rilevante numero di ‘procedure di amministrazione straordinaria’ recentemente praticate dalla nostra autorità di vigilanza nei confronti delle banche di medio/piccola dimensione[17] – sembra al presente confermato da talune affermazioni dello stesso Governatore della Banca d’Italia. Si ha riguardo, in particolare, alla precisazione secondo cui «progressi andranno compiuti anche dalle banche di media e piccola dimensione … (richiedendo)… anche a queste banche sforzi per contrastare il deterioramento della qualità del credito mediante un rafforzamento patrimoniale, un miglioramento degli assetti di governo e dei processi di controllo dei rischi»; donde il richiamo all’esigenza di un necessario adeguamento dei relativi «modelli operativi… ai cambiamenti in atto», prospettiva supportata dalla considerazione che «le operazioni di concentrazione possono facilitare questi progressi».[18]
Tuttavia, politiche di vigilanza siffatte, praticate nell’attuale contesto di difficoltà in cui versa la nostra economia, possono essere causa di squilibrio sistemico, risolvendosi a danno di ambiti imprenditoriali tradizionalmente legati all’intervento finanziario della menzionata tipologia di banche. Conseguentemente, sul piano delle concretezze, sarebbe disatteso l’impegno preso dal Governo italiano, il quale si è dichiarato pronto ad assumere una serie di interventi da sottoporre alla «valutazione della BEI … (tra cui).. il supporto alle Pmi mediante agevolazione del credito, il finanziamento delle reti di impresa e il piano scuola»;[19] impegno che, peraltro, non potrà trascurare le «forti complementarietà e profondi motivi di intreccio operativo» tra piccole e medie banche e Pmi sottolineati dalla dottrina, la quale non ha mancato di osservare, al riguardo, come le une e gli altri siano «confermati sotto il profilo analitico dal vantaggio comparato nel monitoraggio delegato delle piccole imprese».[20]
Ciò a prescindere dalla considerazione (da noi già rappresentata in altra occasione) secondo cui qualora dette procedure di amministrazione straordinaria si risolvano nella riconduzione delle banche commissariate nell’ambito di un ‘gruppo creditizio’ a rilevanza sistemica sembra legittimo il dubbio che tale politica interventistica (nel penalizzare le esigenze dello sviluppo zonale) si iscriva in una logica di deresponsabilizzazione (quanto meno formale) dell’esercizio della supervisione bancaria.
E’ evidente come l’autorità di vigilanza nazionale, vivendo la difficoltà del presente momento storico, finisca con l’essere dibattuta in una singolare alternanza che la vede, per un verso, protesa al rafforzamento dei poteri che residuano dopo l’ applicazione dell’SSM, per altro orientata ad una logica dimissoria (presupposto di una semplificazione dei processi di vigilanza) al presente applicabile nei confronti delle piccole/medio banche (tuttora assoggettate al suo controllo), ma che in prospettiva potrebbe riguardare anche altri aspetti dell’attività di supervisione. E’ forse, questo, il timore maggiore che deriva dall’analisi degli effetti del ‘Meccanismo unico’ sul sistema di vigilanza nazionale; vale a dire la possibilità di un cedimento operativo della nostra autorità di settore, attuato nella convinzione della ineludibilità di eventi destinati a cambiare il ruolo da essa svolto in un diverso contesto economico finanziario (meno avanzato sul piano dell’integrazione europea, ma di certo caratterizzato da una più stretta riferibilità agli elementi costitutivi della sovranità nazionale).
Si è, comunque, in presenza di una realtà problematica, nella quale complessità di vario genere possono impedire di tener fermo il timone per la ‘diritta via’!

5.    Come talora accade quando si persegue con tenacia un determinato obiettivo, l’intento di raggiungere la meta ad ogni costo aumenta la tensione operativa, col conseguente pericolo di far venir meno il giusto equilibrio che deve guidare la ricerca e la scelta degli strumenti idonei a dare concretezza al disegno avuto di mira.
La consapevolezza della forza dei propri mezzi d’intervento, della capacità d’imporre schemi decisionali preordinati a finalità di pubblico interesse e, più in generale, le certezze rivenienti dalla definizione normativa di un particolare status istituzionale finiscono, a volte, con l’interagire negativamente sul bilanciamento degli interessi in campo; si afferma fatalmente il convincimento che gli indicati fattori rendano la propria azione svincolata dall’ osservanza delle prescrizioni di legge. Si finisce col credere nell’«assolutezza del proprio potere», tanto da ipotizzare che qualsivoglia atto sia consentito; anche – ove necessario – addivenendo ad una utilizzazione impropria di strumenti o procedure che l’ordinamento ha previsto per scopi diversi da quello cui essi vengono impiegati in determinate fattispecie.
E’ evidente come in siffatte ipotesi le istituzioni corrano il rischio di diventare autoreferenziali, allontanandosi conseguentemente dal contesto socio giuridico nel quale hanno consolidato nel tempo la fiducia che ha caratterizzato il loro rapporto con la comunità di riferimento. L’incredulità e la delusione per accadimenti di tal genere dà spazio a giustificate critiche; queste esprimono stupore per quanto è dato riscontrare e lamentano la mancanza di interventi, in via di autotutela amministrativa, a fronte di un consapevole vaglio (rectius: verifica) della invalidità giuridico formale dei provvedimenti emessi.
Sono queste le considerazioni ed i sentimenti che si provano in presenza di una ‘interrogazione al Ministro dell’economia e delle finanze’, recentemente depositata in sede parlamentare,[21] nella quale si sottolinea che tra i presupposti a base del commissariamento di un ente creditizio di piccole dimensioni «la proposta della Banca d’Italia richiama le anomalie della operatività dell’attuale Direttore generale in qualità di Amministratore Delegato di Flash Bank, ente creditizio in precedenza posto in liquidazione coatta». Ciò, precisando in premessa che detto dirigente «non ha mai ricoperto alcuna carica ovvero svolto operatività alcuna nella nominata Flash Bank».
La sconcertante realtà denunciata in tale interrogazione – vale a dire la presentazione al Ministro dell’economia da parte della Banca d’Italia di una proposta (per l’attivazione di una procedura di amministrazione straordinaria) fondata su un ‘fatto inesistente’ – al di là della «chiara invalidità dell’atto del Ministro per eccesso di potere»,[22] richiamata nell’interrogazione parlamentare in parola, pone numerose perplessità  di altro genere.

Note

17.  Cfr. CAPRIGLIONE, L’applicazione del ‘Meccanismo unico di supervisione’ bancaria: una vigilia di ingiustificati timori, in Apertacontrada del 10 ottobre 2014, p. 3.

18.  Cfr. VISCO, Intervento alla ‘Giornata mondiale del risparmio del 2014’, Roma 31 ottobre 2014, p. 11 delle bozze di stampa.

19.  Cfr. PADOAN, Intervento alla ‘Giornata mondiale del risparmio del 2014’, cit., p. 6 delle bozze di stampa.

20.  Cfr. MASERA R., Le banche regionali nel nuovo quadro regolamentare europeo e in un confronto con gli Stati Uniti, cit., paragr. 4.

21.  Cfr. Interrogazione a risposta in Commissione al Ministro dell’Economia e delle Finanze presentata dall’On. Colletti (5-04001), pubblicata nell’Allegato B ai Resoconti dell’Assemblea della Camera dei deputati della seduta dell’11 novembre 2014.

22.  E’ ampiamente noto che il travisamento dei fatti costituisce riconosciuta figura sintomatica dell’eccesso di potere, almeno sin da quando, a fine Ottocento, il Consiglio di Stato chiarì definitivamente l’esistenza  di «una specie di eccesso di potere che consiste nella contraddizione tra un provvedimento ed una innegabile situazione di fatto, sia che il provvedimento si fondi sull’ammissione di fatti dai documenti smentiti, sia che abbia per base la negazione di fatti che dai documenti stessi emergano in modo non dubbio» (C.d.S., sez. IV, 3 maggio 1895, n. 187).

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