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La solitudine dell’interesse legittimo: un percorso lungo un secolo

di - 30 Settembre 2014
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Oggi, più che approfondire la natura sostanziale dell’interesse legittimo, è opportuno esaminare quest’ultimo come situazione immediatamente riconosciuta e tutelata dall’ordinamento giuridico e individuare, semmai, la sua mutevole essenza e la attitudine ad adeguarsi ad ogni situazione nel corso dei decenni, riuscendo a coprire ogni situazione giuridica, potenzialmente meritevole di tutela.
Occorre, tuttavia, partire dalla sua moderna definizione: situazione giuridica sostanziale direttamente riconosciuta dall’ordinamento giuridico, che si sostanzia nella attribuzione di facoltà attivabili, sia in sede procedimentale che in sede processuale, al fine di condizionare l’esercizio del potere pubblico per la tutela dell’interesse sostanziale al conseguimento e alla protezione di un bene della vita[1].
In origine, l’interesse legittimo nasceva orfano di un diritto processuale proprio, dando origine ad un peculiare rapporto di connessione tra istituti sostanziali e relative forme e tecniche di tutela. Una realtà autoreferenziale che si è avvalsa di una giurisprudenza fervida ed irrequieta, che ha sempre posto l’accento sulle criticità della sua giurisdizione.
Così, in questa definizione, si racchiude un secolo di battaglie e di interventi legislativi; ripercorrerli brevemente contribuirà a dare volto e dignità, sempre nuovi, all’interesse legittimo.
Il bisogno di tutela dell’amministrato nei confronti della Pubblica Amministrazione non è stato un principio sempre immanente nel nostro ordinamento. Il legislatore post-unitario dimostrò con forza, di voler dettare una serie di “guarentigie dell’amministrazione nei confronti del potere giudiziario”[2], inaugurando con la Legge Abolitiva del contenzioso, la strada della giustiziabilità degli interessi legittimi con il semplice ricorso amministrativo: come dire, una giustizia in casa dell’accusato. L’art. 3 della LAC, infatti, stabiliva che “gli affari non compresi nell’articolo precedente saranno attribuiti alla autorità amministrativa”.
Tuttavia la radicata cultura e la sensibilità giuridica che, nonostante tutto, hanno connotato la storia legislativa del nostro paese, non tardarono a registrare il vuoto di tutela. Si optò, quindi, per la creazione di un giudice deputato alla cognizione degli interessi legittimi con la legge Crispi del 1889, istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato.
Si realizza, così, il sistema dicotomico necessariamente accompagnato dal riparto di giurisdizione tra il G.A., definitivamente giudice degli interessi legittimi e G.O., giudice dei diritti soggettivi.
Il percorso viene arricchito e rafforzato dall’accoglimento e la enunciazione sul piano costituzionale dell’organigramma giurisdizionale, così come ereditato dall’ordinamento pre-repubblicano. La sconfitta di Calamandrei col suo accorato discorso in sede costituente sulla unicità della giurisdizione e la timida vittoria di Mortati, fanno nascere l’articolo 103 della Costituzione italiana “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”.
In realtà, le due supreme giurisdizioni già avevano trovato un degno compromesso con il famoso accordo tra i presidenti Romano e D’Amelio del 1930, in cui prevalse il concetto della causa petendi: per determinare la giurisdizione, si ebbe cura di distinguere tra il tipo di provvedimento richiesto al giudice e la situazione giuridica di cui si chiede tutela.
La semplicità della soluzione si scontrò subito con la difficoltà di discernere, specie per determinate materie, all’interno di una stessa controversia le questioni aventi ad oggetto l’una o l’altra situazione soggettiva, per cui già il legislatore del 1923 (art. 8 del R. D. 30/12/1923 n. 2840) istituì, per determinate materie, la giurisdizione esclusiva, diretta a concentrare presso il giudice amministrativo tutte le controversie, senza distinguere tra diritti soggettivi ed interessi legittimi. È però da segnalare che, nonostante ciò, veniva comunque fatta salva (art. 9 del R.D. n. 2840 cit. e 30 T.U. Del 1924) la competenza del giudice ordinario per le questioni “attinenti a diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di legittimità dell’atto o del provvedimento contro cui si ricorre”: il che significava per tutte le controversie aventi carattere risarcitorio. Un doppio binario che portò con sé il seme della discordia.
Tutto il diritto amministrativo futuro ha subito questa pesante preclusione: quello di un interesse giuridico figlio di un Dio minore, di un giudice con una giurisdizione monca, perché limitata alla sola tutela demolitoria del provvedimento illegittimo e la pesante negazione di una sanzione patrimoniale significativa, come quella risarcitoria, per i danni cagionati dal provvedimento illegittimo.
Le ragioni ostative rappresentavano la conseguenza logica di una serie di principi ormai consolidati. In primis il sindacato debole del giudice amministrativo si fondava sulla natura del giudizio, che si assestava sulla semplice verifica esterna di legittimità del provvedimento (spesso prodotto scadente della azione amministrativa), in una giurisdizione di legittimità asfittica, perché storicamente deputata alla sola tutela degli interessi oppositivi, in cui l’eliminazione del provvedimento chiudeva la materia del contendere. In secundis, un sindacato sul rapporto nella giurisdizione esclusiva, tuttavia impoverito da una secolare interpretazione della norma sul risarcimento (art. 2043 c.c.) come forma ancillare di tutela dei diritti soggettivi altrove sanciti. Questa la situazione, tutta italiana, in cui si concepiva un rapporto con la P.A, diverso da quello successivo alla nascita ufficiale di un diritto comunitario prima ed “unionale” europeo poi, oggi ulteriormente arricchito da un “diritto sentinella”; ovvero l’ingresso prepotente della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che non tollera più una cartina dei diritti “a macchia di leopardo”.
La legislazione fiume si apre con la legge sul procedimento amministrativo (L. 241/1990), passando attraverso la L.205/2000, il codice dei contratti pubblici, per culminare nella tanto attesa introduzione di un codice del processo amministrativo licenziato con il D.lgs 104/2010 e successivi correttivi. Tutto questo a significare quanto forte sia stata l’attitudine del diritto comunitario a condizionare, ed in alcuni casi ad imporre, radicali ripensamenti di principi ed istituti del diritto amministrativo sostanziale e processuale.

Note

1.  F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Dike Giuridica Editrice, 2012,pag.8.

2.  F. Caringella, Architettura e tutela dell’interesse legittimo dopo il codice del processo amministrativo: verso il futuro! in www.giustiziaamministrativa.it

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