Sulla valutazione del capitale di una banca centrale: il caso della Bank of England (1946)

I profili giuridici della recente legge 5/2014 sulla rivalutazione del capitale della Banca d’Italia sono stati dettagliatamente esaminati dal prof. Capriglione in un recente articolo su Aperta Contrada. La presente nota si sofferma sullo stesso tema sotto un aspetto storico-economico, esaminando un precedente significativo, quello della valutazione del capitale della Bank of England (BoE) in occasione della sua nazionalizzazione, nel 1946. Questa fu attuata dal governo laburista di Clement Attlee, in una fase che – sulla scia del diffuso interventismo pubblico nell’economia degli anni Trenta – segnò nel R.U. il culmine delle politiche socialiste, attraverso diffuse nazionalizzazioni, politiche esplicitamente dirette al full employment dopo la pubblicazione del Rapporto Beveridge (1943), l’introduzione del Servizio sanitario nazionale, e in genere la creazione di un welfare state.

1.       Situazione precedente il 1946.
La BoE fu nazionalizzata col Bank of England Act 1946 del 14 febbraio 1946 (An Act to bring the capital stock of the Bank of England into public ownership and bring the Bank under public control, to make provision with respect to the relations between the Treasury, the Bank of England and other banks for the purpose connected with the matters aforesaid).
In precedenza, la BoE era quotata in Borsa; al momento della nazionalizzazione gli azionisti erano circa 17.000. Sulla loro influenza J.M. Keynes osserva: “Ma più interessante ancora è la tendenza che dimostrano gli organismi a capitale azionario (quando abbiano raggiunto una certa dimensione e anzianità) ad avvicinarsi allo status di enti di carattere pubblico piuttosto che di imprese private di tipo individualistico […]. Forse il caso limite di questa tendenza si ha con la Bank of England. Degli azionisti della Banca si può quasi affermare che non esista nel regno categoria di persone delle quali il governatore si preoccupi meno quando decide la sua politica. I loro diritti, al di là del tradizionale dividendo, sono già precipitati in prossimità dello zero[1].

2.       Metodo di nazionalizzazione, entità del rimborso agli azionisti.
Nel dibattito precedente l’emanazione della legge, tre furono principalmente i metodi di nazionalizzazione oggetto di vaglio: 1) trasferimento del solo controllo della BoE al Governo e mantenimento di una semplice “rendita” a favore degli azionisti; 2) trasferimento della azioni della BoE al Governo; 3) liquidazione della banca e trasferimento delle sue attività ad una nuova banca (di diritto pubblico) appositamente costituita. La soluzione scelta nella legge di nazionalizzazione fu la 2).
In particolare, il Governo avrebbe acquisito la proprietà della BoE, corrispondendo ai precedenti azionisti titoli di Stato. Il pagamento degli interessi sui titoli emessi dal Tesoro sarebbe stato coperto da pagamenti dello stesso ammontare e con le stesse scadenze fatti dalla BoE al Tesoro, in sostituzione del dividendo da corrispondere sulle azioni espropriate dal Tesoro.
La Clause 1 del Bank of England Act 1946 disponeva che:
–      le azioni della BoE fossero trasferite al Tesoro a fronte della emissione di titoli di debito pubblico a favore dei vecchi azionisti al tasso del 3% ed opzione di estinzione a favore del Tesoro esercitabile non prima di 20 anni (dal 5 aprile 1966);
–      il rapporto di concambio tra azioni BoE e nuovi titoli del Tesoro fu fissato in modo da assicurare ai titolari delle azioni lo stesso reddito annuo riveniente dai dividendi lordi medi distribuiti della BoE nei 20 anni precedenti la data del 31 marzo 1945.
Il periodo di 20 anni fu scelto perché in tale arco temporale il dividendo distribuito dalla BoE era stato relativamente stabile; la data del 31 marzo 1945 fu scelta perché quello fu il giorno dell’ultima dichiarazione dei dividendi prima che il Governo pubblicasse il progetto di nazionalizzazione della BoE.
Il dividendo medio annuo lordo su 20 anni fu calcolato come pari a Lst. 1.746.360, pari al 12% del capitale nominale della BoE, Lst. 14.553.000 (importo immutato dal 1816).
La scelta di un tasso del 3% da parte del legislatore significò che l’importo di Lst. 1.746.360 dava un capitale di Lst. 58.212.000: tale fu il valore dell’emissione dei titoli pubblici consegnati ai vecchi azionisti, in un rapporto di 4:1 rispetto all’ammontare del capitale nominale della BoE. In pratica, 100 sterline di azioni BoE con dividendo del 12% divennero 400 sterline di titoli del debito pubblico con interesse del 3%.
Questo importo di Lst. 400 venne corrisposto in titoli di Stato, a fronte di un valore di mercato delle equivalenti azioni BoE fra 380 e 390 sterline (il più alto fino ad allora raggiunto). Ciò significò:
1) riconoscere agli azionisti una lieve plusvalenza rispetto al valore di mercato, parando così l’eventuale obiezione di una parziale confisca patrimoniale;
2) riconoscere un saggio d’interesse grosso modo in linea con quello di mercato per titoli a lungo (nel 1946 il rendimento medio del “consolidato” si collocò al 2,6%) (il discount rate era invariato dal 26 ottobre ‘39 al 2%).

3.       Importo corrisposto e valore patrimoniale della BoE
Ci si può chiedere se l’importo di circa 58 milioni di sterline – anche se “adeguato” ai valori di mercato – rappresentasse il valore patrimoniale netto della BoE. BoE e Tesoro respinsero questa domanda, osservando che, siccome la BoE non veniva liquidata (come poteva accadere se si fosse scelta l’alternativa 3) sopra descritta), ma continuava a essere una continuing concern, gli azionisti dovevano aspettarsi un compenso basato su un perpetual fixed dividend, e non sull’asset value. Infatti, per quanto riguarda le critiche che per effetto del trasferimento forzoso dei titoli gli ex azionisti della BoE sarebbero stati spogliati dei loro diritti sul patrimonio (riserve incluse) della BoE, il Governatore Catto rilevò che questi non avevano alcuna ragionevole aspettativa di distribuzione di alcuno degli assets della banca, oltre al dividendo che percepivano.
Come evidenziato dal Governatore in sede di audizione parlamentare, anche se in teoria il dividendo sulle azioni BoE avrebbe potuto variare come quello di un’altra società, in realtà non era così, in quanto gli azionisti della BoE erano più interessati ai “servizi” della BoE piuttosto che ad ampi dividendi, tanto che le azioni della BoE erano nella realtà assimilabili a titoli a reddito fisso. Inoltre la possibilità della distribuzione del valore degli assets della BoE in esito a una sua liquidazione era più che remota: la BoE non era una società di diritto comune, e avrebbe potuto essere liquidata solo con legge del Parlamento, e non per mera decisione dei soci.
Ciò era confermato dal “mercato”; infatti le azioni della BoE erano negoziate a un prezzo che dava in pratica un rendimento leggermente superiore a un titolo di debito pubblico a lungo termine. In altre parole le azioni della Banca venivano di fatto negoziate come se fossero una rendita perpetua e non come un vero e proprio titolo azionario incorporante l’attesa della distribuzione di bonus/assets o maggiori/minori dividendi.
Nel sostenere l’equità delle condizioni di concambio per gli azionisti della BoE il Governatore citò il fatto che all’annuncio della nazionalizzazione il prezzo delle azioni della BoE era precipitato, per poi iniziare a incrementarsi fino al valore massimo mai raggiunto, una volta che fu diffusa al mercato la prima bozza del disegno di legge di nazionalizzazione.

4.       Stima del valore patrimoniale della BoE
Il net asset value della BoE fu comunque oggetto di polemica nel corso dell’iter parlamentare. Fu insistentemente richiesto alla BoE di rendere noto l’ammontare della proprie riserve per una efficace valutazione del suo patrimonio netto. Ciò trovò la ferma opposizione del Governatore in quanto tali hidden reserves erano ritenute essenziali alla forza e al prestigio della BoE, e la loro disclosure avrebbe potuto ledere seriamente l’interesse nazionale. Anche il Cancelliere Dalton si rifiutò di rendere pubblico l’ammontare delle riserve. Tuttavia, in occasione della terza lettura del testo di legge Dalton affermò che l’operazione era un “buon affare per lo Stato” limitandosi a comunicare che “a fronte di un esborso di circa 58.000.000 sterline [in titoli del debito pubblico] riceviamo un valore ben più alto di 58.000.000 sterline [in azioni della BoE]”, con ciò implicitamente riconoscendo uno spread non indifferente tra valore rimborsato agli azionisti e valore netto della BoE. Quest’ultimo fu, in effetti, stimato in 70 milioni.

5.   Un tentativo di raffronto…
È storicamente valido un raffronto tra quella legge e la recente legge italiana 5/2014?
Il periodo di riferimento è – sotto l’aspetto della temperie politica prevalente – molto diverso da quello attuale. Come detto in premessa, assai più avanzata era allora la presenza dello Stato nella conduzione dell’economia. In Inghilterra, il governo Attlee segnò la prima affermazione maggioritaria del socialismo e la sua impronta fu larga e visibile per parecchi anni. Circa la BoE, nonostante Keynes già osservasse nel ’26 che gli azionisti non contavano quasi nulla, i laburisti ne vollero l’esproprio. In Italia la banca centrale, mai statalizzata, già aveva dal ‘36 azionisti di matrice solo pubblicistica. Tale condizione venne meno dal 1990, con la privatizzazione di diversi azionisti. Si ritenne – si ritiene – che la separazione tra proprietà e gestione, normativamente sancita, sia condizione necessaria e sufficiente a mantenerne l’indipendenza, prescindendo dalla natura giuridica del suo azionariato. Una legge del 2005, ricordata dal prof. Capriglione, volta a riportare la proprietà della BI nell’orbita pubblica, non ebbe seguito.
Coerentemente con la diversa impostazione in senso lato “politica”, la valutazione delle due banche centrali ha risposto a diversi intenti: nel ’46, si trattava di espropriare, con indennizzo, i proprietari; adesso, si è trattato di dare a ogni “quota” un più realistico valore. In entrambi i casi, comunque, il capitale nominale era – è stato – di importo palesemente irrealistico, essendo immutato da lunghissimo tempo (da circa 130 anni e 80 anni, rispettivamente), e tuttavia più elevato nel caso inglese; in entrambi i casi, esso è stato rivalutato.
L’idea inglese di assimilare gli azionisti a obbligazionisti, oltre a risentire con evidenza del momento politico, di forte critica della proprietà privata di istituzioni di interesse pubblico, era anche fondata sulla stabilità del dividendo, facilmente assimilabile a un interesse, e sull’assenza di interferenza nella conduzione delle funzioni pubbliche dell’istituto. Nel caso italiano, sono assenti le prime due condizioni (quanto alla seconda, alla relativa stabilità dei “dividendi” nel caso inglese, si contrappone un importo stabile in percentuale, ma variabile e crescente in assoluto, dei “dividendi” italiani[2]), è presente solo la terza. Inoltre, come noto, le quote della BI non sono mai state quotate in borsa, sono state anzi oggetto di valutazione diversa da parte degli “azionisti”.
È significativo notare un punto controverso, nell’iter parlamentare di discussione della legge inglese: come detto sopra, fu chiesto di rendere nota l’entità delle riserve della BoE. La richiesta rimase inevasa, come se quel valore non dovesse interessare gli azionisti: valore che è stato essenziale nel recente caso italiano.

6.   …e un tentativo di calcolo
In un esercizio contro-fattuale, come si sarebbe potuto rivalutare il capitale della banca centrale italiana, se alla legge del 2005 fossero seguite iniziative dirette a ricondurre l’istituto alla proprietà pubblica, e se fosse stata capitalizzata la “rendita” più recente ?
Il dividendo 2012, incluso il “fruttato” della riserva, è stato pari a 70 m di euro. Il recente rendimento dei titoli del Tesoro è circa il 3% sui decennali e circa il 4% sui trentennali. Capitalizzando una “rendita” di 70 m al 3% si hanno 2.243,6 m, al 4% si hanno 1.678,6 m.
Rispetto al capitale originale, la legge inglese comportò una rivalutazione di 4:1; l’esercizio contro-fattuale italiano porta a una rivalutazione di circa 32 o 24 volte, a seconda della durata dei titoli di Stato da attribuire agli azionisti.
Ciò si spiega sia col più elevato valore del capitale nominale originale inglese, sia col mancato computo, sempre nel caso inglese, del valore delle riserve. Ma la spiegazione più pertinente sembra essere che assai diverso è il contesto economico-politico in cui le due operazioni sono avvenute. E la conclusione più appropriata è che la valutazione patrimoniale di una banca centrale, considerate la sua natura e le sue funzioni, è un esercizio tutt’altro che contabile, e assai soggettivo.

Note

1.  J.M. Keynes, The End of Laissez-Faire, The Hogarth Press, 1926, pp 42-44. Di parere diverso la pubblicistica dell’Italia fascista: Mario Alberti osservò che il consiglio della BoE era dominato “dalla ghilda dei banchieri inglesi […] Sacro era il mistero circa la essenza mortale degli azionisti della Banca […] Casa Rothschild non figurava apertamente nel Consiglio d’amministrazione della Banca d’Inghilterra. Vi dominava attraverso terze persone sue dipendenti”. Cfr. La guerra delle monete, Como, vol. 2, p 147.

2.  Il dividendo agli azionisti negli ultimi nove anni è salito in Italia del 56% circa.