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Nozioni consolidate e ripensamenti. La proprietà dell’acqua e delle infrastrutture idriche.

di - 6 Luglio 2014
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Risulta allora problematico che la giurisprudenza più recente riproponga come strumento ermeneutico il criterio contenuto tra l’altro nel R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 1, affermando il principio secondo cui l’attitudine delle acque ad usi di pubblico generale interesse è elemento indefettibile a conferire la natura di acque pubbliche, anche al di là del dettato della Galli o del Codice dell’ambiente. Problematico perché corre il rischio di proporre una corsa alla dimostrazione dell’irrilevanza pubblica per impossessarsi di un bene che sarebbe di per sé pubblico.

3. Che significa la demanialità per l’acqua.
Detto che l’acqua rientra nella demanialità, non si è ancora chiarito perché quest’ultima si configuri e che cosa significhi: in questa sede, non in generale, per non ampliare eccessivamente il discorso, almeno va chiarito a che cosa il legislatore mirasse, nel corso degli anni, affermando la demanialità delle acque.
Se la demanialità è certamente riconducibile al pubblico interesse, fino alla prima metà del 900 l’acqua era un mezzo per la realizzazione delle varie finalità pubbliche (trasporto, irrigazione ecc.), e per tale motivo, quando le acque fossero ontologicamente al di fuori di queste finalità pubbliche, nulla ostava a che fossero di proprietà privata.
Successivamente agli anni sessanta, e all’imporsi della coscienza ambientalistica, l’acqua, in virtù dell’acquisita e non affatto scontata consapevolezza del suo ruolo fondamentale, ha costituito il precipitato delle aspettative a garantire alle generazioni future la fruizione di un bene essenziale e scarso, nonché di un patrimonio ambientale integro. La considerazione delle acque come risorsa da proteggere e risanare è chiaramente visibile nella legge 319/1976 e nel D.Lgs. 152/1999 sulla tutela delle acque dall’inquinamento. Ma è altrettanto evidente nella disciplina sulla gestione delle acque pubbliche, si pensi a come il primo articolo della Galli faccia riecheggiare il principio dello sviluppo sostenibile (salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà).
L’interesse alla tutela e alla gestione del bene fondamentale come fine dei poteri pubblici rende quindi comprensibile la scelta dell’adozione della categoria di demanialità. Il demanio quindi, in controtendenza rispetto al processo di privatizzazione dei beni pubblici, ha vissuto un fenomeno di estensione per quanto riguarda l’idrico. E questo in parallelo con il riconoscimento dell’importanza del bene anche sulla base del testo della Costituzione (anzitutto ex art. 2 Cost.)[6].
La demanialità poi, ex art. 823, significa nel dettaglio che i beni che vi rientrano sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano, e che spetta all’autorità amministrativa la tutela dei beni.
La stessa categoria, poi è oggetto in questi ultimi anni di ripensamento: da parte sia di chi, osservando il suo svuotamento, ritiene che ci sia bisogno di nuove nozioni, sia di chi cerca un cuore della categoria, da tutelare: si sottolinea in particolare come il demanio debba intendersi nel senso dell’appartenenza collettiva del bene, sottolineando come per “bene demaniale” dovesse intendersi uno strumento necessario per la sopravvivenza[7].
La demanialità investe sia il dominio sulla cosa che la sua gestione. In questo senso, lo Stato deve amministrare il bene, garantirne il libero uso, compiere scelte distributive, all’esito di una valutazione di compatibilità tra interessi pubblici e privati. Il profilo dominicale costituisce il sostrato del potere di effettuare scelte distributive, che sono fondamentali, e che sono facilitate nel loro operare dalla demanialità del bene[8]. Bisogna quindi guardare con distacco quelle interpretazioni che sostengono che il profilo dominicale sia irrilevante, perché ciò che è importante è la gestione del bene, perché l’amministrazione del bene (che non può essere stabilita a priori) deve essere guidata dall’affermazione della demanialità del bene, non essendo possibile l’inverso.

4. Altra questione poi è relativa a quali siano le acque oggetto di demanialità. Ci sono in realtà ancora delle discussioni in proposito. Si è osservato infatti che la demanialità non possa essere riferito al liquido, ma all’insieme della massa d’acqua e del corpo contenitore (alveo)[9]: le stesse acque piovane vengono dichiarate pubbliche dall’art. 1 del D.P.R. 238/1999 nei limiti in cui vengano convogliate e/o invasate. Quindi il demanio non riguarda, si sostiene, l’acqua risorsa, ma l’acqua bene immobile. Vi rientrerebbero così: le “acque superficiali” i fiumi e i torrenti, i laghi e gli stagni, le sorgenti, i ghiacciai e corsi minori (rivi, fossati, colatoi), corsi e bacini artificiali (per alcuni solo i naturali). Il tutto con due precisazioni: le “acque pluviali”, tradizionalmente beni non appropriabili, ex art. 1 del D.P.R. 238/1999 non sono demaniali se “non ancora convogliate in un corso d’acqua o raccolte in invasi o cisterne”, se poste al servizio di fondi agricoli o di singoli edifici; le acque sotterranee, che il proprietario del fondo ha diritto di cercare, estrarre e utilizzare per fini domestici, anche con mezzi meccanici (art. 911 c.c. 28, comma 5, L. 36/1994 e 167, comma 5, D.Lgs. 152/2006). Questa soluzione è stata anche di recente messa in discussione: si è affermato infatti che al demanio idrico appartengono anche gli immobili relativi solo nei casi in cui il bene precedentemente iscritto nell’elenco delle acque pubbliche, o quando di pubblico generale interesse, altrimenti vi rientra solo il liquido (…)[10]. Anche questa interpretazione però ne riduce l’ambito, per cui va trattata con grande cura. In proposito, va ricordato che i beni demaniali sono tutti beni immobili, o collettività di mobili. Di nuovo l’effetto è quello di ridurre l’ambito della demanialità.

Note

6.  Sugli articoli della Costituzione implicati, si v. T.E. Frosini, Dare un diritto agli assetati, Anal. Giur. Econ.,  2012, 29, in part. 31.

7.  C. Iannello, Il diritto all’acqua. Proprietà e Costituzione, Napoli, 2013, 122.

8.  Allorché la Corte afferma che Il disegno del legislatore di regolare in modo sistematico e programmato l’utilizzazione collettiva di un bene indispensabile e scarso, comporta la prevalenza delle regole amministrative di fruizione sul mero aspetto dominicale , essa non comporta una svalutazione del profilo dominicale, il quale costituisce il sostrato di scelte distributive, che sono fondamentali, e che sono facilitate nel loro operare dalla demanialità del bene (…) allo scopo di consentire un equilibrato consumo per finalità diverse da quelle domestiche. (…) l’acqua, costituisce bene di tutti e, in quanto tale, deve essere distribuita secondo criteri razionali ed imparziali stabiliti da apposite regole amministrative (Corte Costituzionale 273 del 2010).

9.  Il dibattito, che prende le mosse già da, è ricostruito in F. Cazzagon, Le acque pubbliche nel codice dell’ambiente, in Riv. giur. Amb., 2007, 435, in part. 444.

10.  F. Bruno, Tutela e gestione delle acque.  Pluralita’ di ordinamenti e governance multilivello del mare e delle risorse idriche, Milano, 2012, 29 ssg.

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