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Suum unicuique tribuere? Alle origini della giustizia distributiva

di - 28 Giugno 2014
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Questi ripetuti passaggi scandiscono il cursus honorum. Un circolo politico virtuoso. Un nesso ascensionale, dunque, dalla famiglia alla comunità dei cittadini, dalla gens alla gestione della cosa pubblica, piega l’ambizione personale al servizio delle istituzioni repubblicane incentrando con la valutazione pubblica alla com-misurazione del suum cuique tribuere al contributo dato da ognuno alla res-pubblica.

5. Suum cuique tribuere, una vuota formula?
Il consolidarsi di un potere legittimamente sovrastante, come quello dell’imperatore cambia radicalmente la prospettiva. Dall’alto verso il basso.
Si commisura il suum di ognuno, nel dare e nel ricevere, non più ad un riconoscimento di quanto dovuto nel “tribuere”, ma lo si fa discendere da un atto di superiore degnazione che si manifesta nel “distribuere” nel recedere all’interno della agostiniana civitas terrena[19]. In Tommaso, poi, il tribuere è sostituito dal “reddere”. Un altro cambiamento di prospettiva. “Proprius actus iustitiae nihil est aliud quam reddere unicuique quod suum est”. Siamo nella logica aristotelica (correttiva e commutativa) rinchiusa però essenzialmente nel diritto civile. La dimensione politica pubblica del quesito si è nel frattempo dissolta.
Villey in particolare rimprovera ai romanisti, anche moderni, di essersi allineati a quest’ultima lettura riduttiva e di avere falsificato (consapevolmente?) la formula originaria facendola retrocedere ad un atto giudiziale di mero accertamento di un debito[20].
Il Sintagma suum unicuique tribuere decontestualizzato dalla comunità dei cittadini ed estromesso dalla città terrena, appare perciò destinato alla banalizzazione. Divenire appunto una vuota formula.
Il senso progressivamente riduttivo della applicazione del sintagma, a partire dal basso medioevo, è nel saggio di Leo Peppe. Questi osserva, in conclusione, con un occhio rivolto all’oggi come “altri studiosi, […] hanno ribadito la convinzione già kelseniana … circa il sintagma cuique suum che esso, così come jedem das Seine, di per se stesso non esprima in realtà un contenuto, ma sarebbe una formula vuota che di volta in volta lo riceve dai concreti ordinamenti […]”[21]. È di questo avviso anche Gustavo Zagrebelsky, “formule come queste possono essere accolte da chiunque […]. I campi di sterminio, per esempio, sono in regola con questa massima della giustizia. Il motto di benvenuto al campo di Buchenwald […] era, per l’appunto, jedem das Seine, a ciascuno il suo, […]”[22].
Con la sostituzione del legislatore all’imperatore nella decisione sulla giustizia distributiva, il sintagma degenera perdendosi il senso di ogni collegamento con il rapporto originario di cittadinanza nella polis. Non è un caso che sia stato Kelsen, teorico del positivismo giuridico come scienza pura del diritto, a liquidare la formula come priva di senso.
La rivisitazione effettuata invece fa tornare alla mente il monito, poco positivista, di Orestano sulla storicità del metodo giuridico: “Nessuna soluzione del problema metodologico si potrà arrivare se non si acquisti piena consapevolezza del proprio condizionamento storico[23].
L’espulsione dal campo di rilevazione del diritto di principi giuridici contestualizzati e fondati sull’etica pubblica della cittadinanza, ha spazzato via, insieme alle impurità concettuali, vere o presunte, anche il fondamento etico della giustizia politica.
È il caso, perciò, di ricordare come per Aristotele anche la giustizia particolare non sia esentata dal dovere relazionale tra i cittadini di ricerca della giustizia, come rispetto del bene degli altri[24]. Nella sua originaria integrale formulazione anche in Gaio il suum cuique tribuere” si lega immediatamente con precetti etico-giuridici: “honeste vivere, alterum non laedere […].
Con il positivismo giuridico, l’etica ed il diritto hanno definitivamente preso strade diverse. Il quantum del suum è stabilito dal potere sovrastante del legislatore che si è sostituito al principe. Il rischio di abusi insito in questa operazione, in cui il riparto politico delle cose non più è giustiziabile, era già stato denunciato nell’Etica Nicomachea, in quanto “anche chi commette l’attribuzione può commettere ingiustizia[25].
Imperante il positivismo giuridico la volontà del legislatore toglie e attribuisce parti che al contempo, sempre per Aristotele, possono essere legali (esercizio del potere legale) ma ingiuste. Il punto di arrivo di questo percorso patologico è sotto gli occhi di tutti. Gli abusi autoreferenziali nella auto-attribuzione delle risorse pubbliche da parte del legislatore e del governo politico.
Il lascito del sum unicuique tribuere, come vana formula, ripropone irrisolto perciò. Oggi, il sotteso interrogativo. Come è possibile una definizione dei rapporti (diritti e doveri) di cittadinanza fondata su di una base giuridica eticamente condivisa?
In questo senso, dal punto di vista dell’etica del “reciproco rispetto” di Rawls, i limiti dello  svuotamento del contenuto etico del diritto nella concezione  Kelseniana “del tutto indipendente dal significato morale di una norma” sono stati messi di recente in evidenza nel pensiero sociologico tedesco da Morgenthau e Habermas da S. Maffettone[26] che avanza anche dubbi sulla praticabilità di una teoria procedurale come correttivo democratico nell’elaborazione della norma giuridica[27].
Se si evade dal filtro positivista e si sposta il discorso sul diritto come rapporto è possibile constatare come questa relazione dei doveri e dei diritti tra cittadini sembra tutt’altro che assente nella nostra Costituzione. Anzi, l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale appare il nesso relazione della cittadinanza nell’art. 2, così come al contempo si configura come l’elemento fondativo del lavoro quale diritto/dovere dei cittadini, declinato poi in termini di rapporti economici nel titolo III [28].
C’è da chiedersi piuttosto, in conclusione, come ulteriore ambito di indagine, se l’interrogativo del suum cuique tribuere, liquidato come irrilevante dalla teorica kelseniana, sia suscettibile di essere, invece, contestualizzato nel testo della nostra Costituzione nella logica della giustizia politica, secondo l’articolazione del principio solidaristico seguendo la “gerarchia etica” dei doveri di solidarietà nella articolazione dei rapporti giuridici costituzionalmente rilevanti nel titolo II e III della Costituzione della repubblica.

Note

19.  Augustini, De civitate dei, 19. 21. 1: Iustitia porro ea virus est quae sua cuique distribuit.

20.  M. Villey, Le droit e les droits de l’homme, cit., p. 62.

21.  L. Peppe, Riflessioni sulla nozione di giustizia nella tradizione giuridica europea, in Jus Antiquum, 2007, p. 116.

22.  G. Zagrebelsky, Il difficile compito di fare giustizia, Repubblica, 16 novembre 2004.

23.  R. Orestano, Introduzione allo studio storico del diritto romano, Torino, 1963, p. 339.

24.  Aristotele, cit. p. 191.

25.  Aristotele, cit. p. 219.

26.  S.   Maffettone, Un mondo migliore, giustizia globale tra Leviatano e Cosmopoli, LUISS University Press, 2013, p. 54 ss.

27.   Ibidem, p. 142 ss.

28.  G. Di Gaspare, Il lavoro quale fondamento della Repubblica, Diritto pubblico, n. 3, 2008.

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