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Suum unicuique tribuere? Alle origini della giustizia distributiva

di - 28 Giugno 2014
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Achille infine cede ed subisce lo spossessamento della schiava Briseide. Il mancato rispetto del patto di spartizione autorizza però Achille ad astenersi dalla guerra e a ritirarsi nel suo accampamento rifiutando di prendere parte agli scontri con i Troiani.
Il suum cuique tribuere è stato dunque infranto.
Ed in effetti nessuno osa contestare ad Achille la legittimità del suo comportamento. Nessuna traccia nel poema di accuse di fellonia o di tradimento.
Non sono state rispettate le regole di ingaggio – verrebbe da dire con formula attuale – ed Achille ha incontestabilmente diritto, per eccezione di inadempimento, a recedere dall’impegno bellico.
L’Iliade, con questo episodio, ci dice già molto sulla struttura arcaica del suum unicuique tribuere. Dal racconto emerge un criterio bipolare. La ponderazione tra potere di comando e merito guerriero. Il punto di equilibrio è delicato.
La corretta spartizione è essenziale per la conservazione della coesione bellica.
Con l’esibizione dei singoli pezzi all’assemblea, ha inizio la procedura per la distribuzione del bottino. Ogni guerriero di fronte a tutti gli altri, può reclamare, secondo quello che ritiene essere il grado e/o merito che comparativamente gli spetta, l’oggetto che vuole avere donato.
Nel corso della procedura si commisurano dunque i rispettivi ruoli dei guerrieri e si ristabilisce o si altera la gerarchia dignitaria.
In presenza di più rivendicazioni sulla stessa cosa, si incrociano e si misurano rapporti di potere e di status. Il suum cuique tribuere, in qualche modo, si tira dietro il riconoscimento e la conferma del ruolo dignitario.
In questo senso la parola dono in greco (ghiera) significa in senso traslato anche “prerogativa, dignità”. La cosa donata definisce di riflesso il rango e il grado dignitario di chi la riceve.
L’ordine di assegnazione dei doni afferma o conferma dunque lo status sociale di chi lo riceve.
Il suum cui tribuere mette in luce così, sin dal suo apparire, il dilemma fondativo della giustizia distributiva in quanto politica.
La disputa giuridica dell’Iliade lascia chiaramente trasparire un sotteso conflitto di potere (bipolare) tra l’importanza dell’apporto individuale alla vittoria e la gerarchia militare, e la conseguente necessità di trovare un punto di equilibrio.
Il giusto peso – il bilanciamento verrebbe da dire – tra questi due elementi costitutivi della gerarchia della società micenea – definisce pertanto l’iniziale perimetro problematico del suum unicuique tribuere.
Nell’Iliade Achille rappresenta le ragioni del merito guerriero. Agamennone rivendica quelle del potere militare.
L’equilibrio sembrerebbe essere necessariamente il risultato di un atto meramente ricognitivo che prende atto degli effettivi rapporti di forza tra quei valori in un contesto mutevole di rapporti di forza. Al dunque, bisogna riconoscere il punto di equilibrio sotteso alla spartizione senza forzarlo o cercare di alterarlo. Agamennone dunque ha torto.
Bisogna allora evitare, per il bene di tutti, forzature che facciano esplodere il conflitto intestino.
Ma come ?
Da qui l’importanza del rito della spartizione. La proto procedura della messa in comune, della ostentazione e della rivendicazione delle cose che fanno parte del bottino serve a stemperare l’insorgere dei conflitti, a consentire a tutti di prendere meglio le misure di sé e degli altri e ad oggettivare la competizione reciproca  rendendola un volta assegnata la preda non più contestabile.
L’adunanza avanti alla quale si susseguono le singole rivendicazioni dei guerrieri non decide sull’assegnazione. Essa è comune testimone, ma non arbitro della spartizione. Tuttavia in quanto testimone collettivo svolge il ruolo decisivo ed in qualche modo effettivamente pondera le contrapposte pretese.
La comunità dei guerrieri conosce la gerarchia militare e ha cognizione del valore individuale espressosi in battaglia. Il suo giudizio, è evidente ed immediatamente avvertibile. Tutti sanno tutto. Non ci sono difetti di comunicazione e il tacito giudizio dei combattenti non può essere disatteso dai capi,
È pericoloso umiliare l’eroismo individuale manifestatosi in battaglia. Si rischia di deprimere la coesione del gruppo e di provocare un imprudente perdita di legittimazione dei capi militari.
La giusta misura nella distribuzione delle cose conquistate con la forza al nemico è essenziale per assicurare la compattezza dei combattenti, ne rinsalda l’unione. Si evita soprattutto che, nella fase finale della battaglia, i saccheggi individuali possano disperdere la compattezza dell’assalto di modo che la vittoria sfugga di mano all’ultimo momento.
Il capo non può esporsi ponendosi sullo stesso piano degli altri guerrieri nella contestazione delle cose da spartire. Deve accettare il verdetto inespresso dell’assemblea e non provocarlo come Agamennone.
La conferma della importanza, della equa distribuzione del bottino nelle società guerriere è dato – ancora, nell’alto medioevo – dalla famosa (in Francia) vicenda del vaso di Soissons. Il re dei franchi Clodoveo, di fronte all’assemblea dei suoi guerrieri vittoriosi, non si oppone alla pretesa di un valoroso combattente di vedersi assegnato il vaso che egli stesso aveva richiesto, salvo a punirlo in seguito per la sua sfrontatezza. Allorché il malcapitato beneficiario gli capita di nuovo a tiro Clodoveo lo uccide, dichiarando di vendicarsi in questo modo dell’affronto che aveva dovuto subire a Soissons.
Foucault riferisce l’episodio esplicitando il sottostante dilemma del suum cuique tribuere.“Allorché venivano divise le ricchezze quali erano i diritti del re, rispetto ai diritti dei suoi guerrieri?”[1].

Note

1.  M. Foucault, Bisogna difendere la società civile, Milano, 1998, p. 70.

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