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Le sanzioni antitrust tra diritto amministrativo e diritto penale. Il Libro e la Spada: l’Autorità antitrust e il Leone di San Marco

di - 28 Maggio 2014
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A tale prospettazione si potrebbe replicare (come in effetti si è replicato) che tale attività null’altro è che interpretazione della norma e che anche il giudice è abilitato a svolgere questo compito di “riempimento” del precetto in presenza di concetti giuridici indeterminati[20] (ad esempio nel caso delle norme penali in bianco). Ma tale replica appare, a chi scrive, non convincente. Nel caso che ci occupa, infatti, ciò che risulta indeterminato non è solo un termine o un concetto impiegato dal legislatore per delineare la fattispecie illecita e di converso il precetto, ma è il precetto nel suo complesso a risultare indefinito: manca, addirittura, una precisa individuazione dell’interesse pubblico (il bene giuridico, direbbero i penalisti) che la norma intende tutelare con il suo divieto.
Se l’indeterminatezza si riferisse ad un concetto impiegato dal legislatore per delineare la fattispecie illecita, l’obiezione sarebbe fondata e sarebbe ben giusto ricondurre l’interpretazione del concetto indeterminato all’attività interpretativa propria di ogni organo con funzioni giurisdizionali (la cd. discrezionalità del giudice[21]). Laddove invece la indeterminatezza riguarda – come nel caso in esame – la stessa individuazione di quale sia l’interesse pubblico da perseguire (e cioè la individuazione di quale sia l’equilibrio concorrenziale da tutelare ed in quale mercato rilevante tale equilibrio debba essere tutelato) e di quale sia il precetto da rispettare per assicurare la cura di quell’interesse, è evidente che si va molto al di là di una mera attività ermeneutica e si richiede l’assunzione di una deliberazione, una scelta, sull’equilibrato assetto degli interessi in gioco[22].
Nel far ciò è evidente che l’Autorità compie prevalentemente scelte di merito (sia pur di merito tecnico); mentre il giudice, nel confrontare il fatto con la fattispecie astratta, percorre un processo logico-valutativo, in cui prevalgono elementi di giudizio su quelli di volizione. Tale diversità nel modo di procedere rimanda ad una diversità di valori in gioco: dinanzi al giudice si verte in materia di situazioni giuridiche di singoli. Dinanzi all’Autorità antitrust il thema decidendum è dato dalla compromissione di un valore riferibile all’intera collettività[23]. La destinazione pubblica della funzione di sindacato conferisce all’Autorità il ruolo di “parte” – pur imparziale, e si perdoni l’apparente ossimoro – che agisce interessatamente a difesa del bene pubblico (rectius degli interessi pubblici) di sua pertinenza.
È questa, del resto, quella che in sede comunitaria si definisce appunto “politica” della concorrenza o se si vuole “democrazia” nel mercato[24]. Come testimonia, peraltro, l’attribuzione per legge all’Autorità di poteri consultivi e di raccomandazione, che si configurano come veri e propri strumenti per il conseguimento della “missione” istituzionale, concorrendo a collocare l’Autorità alla guida dell’elaborazione delle politiche della concorrenza e della riscoperta di un’etica della libertà attraverso il mercato[25].

4. L’esigenza della pubblicazione di Guidelines come presupposto di un efficace Public Enforcement.
Quello che sin qui si è illustrato rende ineludibile l’esigenza di tracciare un binario ben definito per l’esercizio di una funzione punitiva così fortemente afflittiva come è quella assegnata alle Autorità di concorrenza. È per questo che paiono assolutamente condivisibili i rilievi di Luciano Di Via, e che mi pare veda convinti la gran parte dei relatori, circa l’esigenza di regole, guidelines, atti generali di predeterminazione[26], se volete criteri che indirizzino gli operatori nel mercato.
Perché la legge del mercato, a differenza di quanto accadeva ai tempi della Serenissima Repubblica di Venezia, è una legge complessa, è una legge mutevole, perché come si è detto essa è fondata su teorie economiche oggetto di continua evoluzione.
Quindi l’individuazione di criteri, di regole, di principi orientativi ovviamente non necessariamente rigidi e comunque non immutabili, si rende assolutamente necessaria ed anzi è proprio questa esigenza che giustifica l’attribuzione di questo potere sanzionatorio in capo ad un’Autorità amministrativa e non ad un Giudice, alla sfera del diritto amministrativo e non del diritto penale: lo ha ricordato Paola Severino, la norma penale “ingessa” la regola di condotta.
La funzione della regola amministrativa attribuita ad una direttiva è per sua natura molto più flessibile e suscettibile dell’adattamento necessario nel tempo breve delle vicende economiche, ebbene questa esigenza di predeterminazione di criteri della funzione punitiva è esattamente quella cui assolve il libro che regge il leone di San Marco nella sua nobile zampa, perché la funzione punitiva non si può esercitare solo con la spada.

5. Conclusioni sull’uso della spada nella funzione giustiziale.
La spada della giustizia e quindi della funzione tipicamente giustiziale dell’Autorità garante, inevitabilmente presuppone una guida, una regola.
Senza voler evocare la dottrina penalistica in tema di norme penali in bianco[27], occorre sottolineare che in questo ambito, così come nel diritto penale, nell’esercizio di una funzione amministrativa di tipo afflittivo o punitivo o fortemente afflittivo, come ci è stato rappresentato in virtù del peso economico, dello straordinario peso economico di queste sanzioni, si richiede l’esistenza di qualche indicazione puntuale sulla regola del mercato in un dato momento storico, in modo che ci sia da un lato la possibilità dell’affidamento dell’impresa rispetto al contesto delle regole, e dall’altro quindi, la serenità dell’operatore a fronte di regole certe, la possibilità di porre in essere presidi, rimedi privatistici che l’imprenditore può porre in essere se conosce in anticipo le regole del gioco[28].

Note

20.  Sul punto si veda M. Clarich, Per uno studio sui poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in Dir. amm., 1993, ora aggiornato nel volume a cura del medesimo Autore, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 85 ss. Si veda in particolare p. 96, secondo cui appunto “l’esercizio di un siffatto potere di accertamento presuppone da parte dell’Autorità una serie di valutazioni anche complesse, nessuna delle quali però postula un apprezzamento ed una ponderazione di interessi diversi ed ulteriori rispetto a quello generale dell’osservanza della norma applicata”. Se ne fa seguire che “l’attività così posta in essere non è affatto diversa da quella che viene svolta dal giudice civile o penale chiamato a qualificare e sussumere una fattispecie concreta in una fattispecie normativa in vista della comminazione di una sanzione”.

21.  Il riferimento è ai noti studi di A. Raselli, Il potere discrezionale del giudice civile, Cedam, Padova, vol. I e II, rispettivamente 1927 e 1935; il primo volume è poi stato ripubblicato in Studi sul potere discrezionale del giudice civile, Giuffré, Milano, 1975. Sulla discrezionalità del giudice, in chiave comparata, A. Barak, Judicial Discretion (1989), trad. it., Giuffré, Milano, 1995.

22.  Sul punto si vedano le considerazioni di A. Pera, Autorità di garanzia, Autorità di regolazione e tutela della concorrenza, in Econ. pubbl., 1997, p. 138 ss.

23.  Come ben mette in evidenza G. De Minico, Antitrust e Consob – Obiettivi e funzioni, cit., p. 267, non “si può aderire alla tesi avanzata dai neutralisti, secondo cui la legge tutelerebbe gli interessi diffusi, quali quelli dei consumatori o dei concorrenti, perché, invece, la legge 287/90 ha subordinato l’intervento di costoro nel procedimento a condizioni più gravose di quelle contemplate in termini generali nella L. 241/90, il che sarebbe contraddittorio se l’obiettivo della legge fosse stato proprio quello di difendere le posizioni di tali soggetti”.

24.  Simile è la posizione di G. Tesauro e M. Todino, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in Enc. dir., Aggiornamento, vol. VI, Giuffré, Milano, 2002, p. 114, laddove affermano che “la disciplina di tutela della concorrenza costituisce anche uno strumento di democrazia, nel senso che è finalizzata a tutelare gli interessi generali della collettività e ad impedire l’affermarsi del potere privato nelle sue forme deteriori, ossia il monopolio”.L’Autorità antitrust persegue obiettivi che sono tipicamente di policy, dettati in via generale dal Parlamento, cui essa direttamente risponde, e che è chiamata ad elaborare discrezionalmente sulla base della loro expertise, che qualifica e consegna autorevolezza alle politiche istituzionali. Sul punto si veda G. Majone, The development of social regulation in the European Community: policy externalities, trancaction costs, motivational factors, in Aussenwirtschaft, 1996, p. 26. E la tesi è in qualche modo sottesa anche al bel volume di G. Amato, Il potere e l’antitrust. Il dilemma della democrazia liberale nella storia del mercato, Il Mulino, Bologna, 1998.

25.  Così M. De Benedetto, L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 376 che, nel riferimento alle libertà, si ispira al pensiero di G. Amato, Il gusto della libertà. L’Italia e l’Antitrust, Laterza, Roma-Bari, 1998.

26.  Su cui si consenta di rinviare al mio lavoro monografico La predeterminazione delle decisioni amministrative. Gradualità e trasparenza nell’esercizio del potere discrezionale, Esi, Napoli, 1997.

27.  E qui attingo agli insegnamenti di Paola Severino, che è stata il mio professore di Diritto Penale all’Università (mi si consenta questa citazione autobiografica). Si vedano comunque le trattazioni di parte generale più autorevoli, da F. Antolisei, Diritto penale, 11^ ed., Milano, 1989, p. 45 a G. Fiandaca ed E. Musco, Diritto penale, Zanichelli, Roma-Bologna, 3^ ed. 1995, p. 57.

28.  Il tema della certezza delle regole è oggetto di numerosi studi, per tutti si cita il saggio di F. Merusi, La certezza dell’azione amministrativa fra tempo e spazio, relazione al 48° Convegno di studi amministrativi (Varenna, settembre 2002), ora nel volume a sua cura Sentieri interrotti della legalità, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 39 ss.

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