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Le sanzioni antitrust tra diritto amministrativo e diritto penale. Il Libro e la Spada: l’Autorità antitrust e il Leone di San Marco

di - 28 Maggio 2014
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Tutto ciò concreta una vera e propria “politica” della concorrenza e non invece lo svolgimento di mere funzioni amministrative di garanzia. Siamo in presenza di funzioni di indirizzo politico, peraltro strettamente legate all’andamento complessivo del sistema economico ed alle scelte complessive di politica economica[8]. Ciò è tanto vero che la “politica” della concorrenza è spesso descritta come composta di due ambiti di intervento: quello di promozione e quello di tutela. Il primo, consiste nella produzione di regole dirette alla conservazione, all’introduzione o all’incremento della concorrenza, esso è frutto di un potere discrezionale e costituisce un momento politico caratterizzato dalla valutazione della situazione economica e di mercato. Conseguenza di una simile analisi è la predisposizione di una serie d’interventi volti al raggiungimento di determinati obiettivi, ai quali si perviene mediante il miglioramento delle condizioni concorrenziali. Il secondo ambito è volto alla verifica del rispetto da parte degli operatori economici delle disposizioni dettate al riguardo dagli organi “politici”. Tale fase, consiste nel vigilare sulla conservazione delle condizioni concorrenziali ed in caso di comportamenti devianti, nell’applicazione di sanzioni[9].
Ebbene è in questo consistente nucleo di politicità delle scelte che risiede la giustificazione e la stessa legittimazione dell’attribuzione di un significativo potere discrezionale in capo all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ed in generale di ogni Autorità antitrust. Di ciò era ben consapevole già il legislatore statunitense che, per primo, introdusse una disciplina legislativa a tutela della concorrenza e del mercato[10]. Come fu sottolineato dal Senatore Sherman in un famoso intervento al Congresso, se i poteri economici vengono affidati ad un’unica persona essi danno luogo “a una prerogativa regale, incompatibile con la nostra forma di governo[11]. Come ben è stato posto in evidenza, del resto, “il primo ad avventurarsi su questa strada fu lo stesso Adam Smith il quale non mancò di sottolineare gli stretti legami esistenti tra forma di Stato liberale e forma di mercato concorrenziale[12].

3. (Segue): sul carattere non sempre univoco delle regole di mercato.
Del resto, quando si parla di regole di concorrenza, occorre essere consapevoli del fatto che non esiste una definizione univoca di tali regole, esse subiscono nel tempo profonde modificazioni in ragione del fatto che la loro individuazione è legata fortemente alla scienza economica e alle sue evoluzioni.
In sostanza, il precetto contenuto nell’art. 2, comma 2, della legge n. 287 del 1990, secondo cui “sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante” è un precetto che non consente di individuare il parametro legale alla cui stregua effettuare il controllo di conformità/difformità degli atti o condotte delle imprese. E lo stesso si dica dell’art. 3, comma 1, laddove esso dispone che “è vietato l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante”. Il parametro legale alla cui stregua deve essere effettuato il sindacato di conformità/difformità è solo indicato dalle norme appena richiamate che fanno impiego di veri e propri concetti giuridici indeterminati: “il gioco della concorrenza”, le “intese”, il “mercato rilevante”, “l’abuso di posizione dominante”.
In presenza di tale generico riferimento a concetti giuridici indeterminati è evidente che l’Autorità chiamata ad applicare il precetto avrà l’onere di “riempire” quel precetto o se si vuole di codificare caso per caso, ovvero in via generale ed astratta, la concreta portata della regula juris[13]. Tale attività, che taluno chiama di regolazione, ma che, dal punto di vista sostanziale, altro non è che attività amministrativa in senso proprio, non può essere in nessun modo ricondotta all’esercizio di poteri quasi-giudiziali o neutrali. L’individuazione e la codificazione del precetto normativo, sia pure limitata al caso singolo, comporta sempre una scelta fra diverse regole fra loro alternative e quindi una ponderazione degli interessi in gioco (talvolta confliggenti[14]) ed una conseguente scelta “politica” circa l’assetto di interessi ritenuto ottimale[15]. La fattispecie precettiva concreta[16] che deriva dalle decisioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato altro non è che il frutto di questa scelta “politica[17].
Come ben evidenziato in dottrina da tempo, le norme in questione non richiedono soltanto di accertare l’obiettiva esistenza di fatti corrispondenti ad un modulo astratto precisamente predeterminato, perché i termini adoperati dalla fattispecie normativa non possono trovare un automatico ed immediato riscontro nella realtà. Il potere esercitato dall’Autorità non esige “la mera conoscenza della sussistenza di un fatto, ma del grado, della quantità in cui esso si presenta in concreto. Le condizioni per l’esercizio del potere da parte dell’Autorità sono quindi suscettibili, oltre che di un accertamento, anche di un apprezzamento, di una valutazione della misura in cui sussistono[18].
Ma per effettuare questo apprezzamento l’Autorità non può che rifarsi alla scienza economica che, come è noto, non è una scienza esatta. Essa non concorda e non è univoca nell’individuare l’ordine naturale del mercato (per usare l’espressione della norma, il “gioco della concorrenza”), ed anzi non concorda neppure nella individuazione di quale sia il mercato rilevante. Ne segue che, sia l’individuazione del mercato rilevante ai fini dell’applicazione della norma, sia l’individuazione dell’ordine naturale di quel mercato (e delle sue eventuali ed abusive alterazioni), comporta e presuppone una valutazione di merito; rende necessaria cioè una valutazione che, sulla base delle opinabili conoscenze tecniche ed economiche, assuma la scelta tutta politica su quale sia il mercato rilevante ottimale e, all’interno di quel mercato, quale sia l’equilibrio ottimale tra domanda ed offerta[19].

Note

8.  Così A. Frignani e M. Waelbroeck, Disciplina della concorrenza nella CEE, Giappichelli, Torino, 1996, p.7 s.

9.  Così F. Gobbo, Il mercato e la tutela della concorrenza, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 16 s.

10.  Il riferimento è, come ovvio, allo Sherman Act del 1890. Per maggiori riferimenti V. Mangini, La vicenda dell’antitrust: dallo Sherman Act alla legge italiana n. 287/90, in Riv. dir. ind., 1995, p. 176 ss.Negli Stati Uniti fra gli studiosi che hanno sostenuto la tesi della “politicità” dell’antitrust statunitense, pur con assai diverse sfumature, H. Thorelli, The Federal Antitrust Policy: Origination of an American Tradizion, John Hopkins, Baltimore, 1954; E. Fox, The Modernization of Antitrust: a New Equilibrium, in Cornell Law Review, 1980, n. 66, p. 1140 ss.; D. Millon, The Sherman Act and the Bilance of Power, in The Political Economy of the Sherman Act. The First One Hundred Years (a cura di E. Th. Sullivan), Oxford University Press, Oxford, New York, 1991, p. 111 ss. Contra R. Bork, The Antitrust Paradox: a Policy at War with Itself, Basic Books, New York, 1978, passim.

11.  La citazione è tratta da M. Giampieretti, Il principio costituzionale della libera concorrenza: fondamenti, interpretazioni, applicazioni, in Dir. soc., 2003, p. 472.

12.  Il pertinente rilievo è di M. Giampieretti, op. ult. cit., p. 468 ss., il quale ricollega le posizioni di Smith al concetto di “potere limitato” proprio del pensiero liberale di J. Locke, Two Treatises of Government (1690), trad. it. Due trattati sul governo, Utet, Torino, 1992.

13.  Come rileva da tempo anche il Consiglio di Stato (Sez. VI, 24 maggio 2002, n. 2199, RCAuto; Id., 2 marzo 2004, n. 926, Pellegrini/Consip), l’Autorità procede ad un accertamento dei fatti cui segue una fase di “contestualizzazione” delle norme poste a tutela della concorrenza norme che, avvalendosi di “concetti giuridici indeterminati” devono essere adeguatamente interpretate al fine di individuare gli elementi costitutivi dell’illecito contestato.Non è questa la sede per soffermarsi sui concetti giuridici indeterminati. Ma occorre ricordare come è proprio partendo da essi che la scuola tedesca del diritto amministrativo ha avviato la costruzione della nozione di discrezionalità amministrativa. Il riferimento è all’opera di E. Bernatzik e F. Tezner (per più ampi riferimenti sul punto, si vedano D. De Pretis, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Cedam, Padova, 1995, passim e P. Lazzara, Autorità indipendenti e discrezionalità, Cedam, Padova, 2001, spec. p. 118 ss.). Laddove l’attività amministrativa discrezionale veniva appunto intesa come operazione interpretativa dei concetti giuridici indeterminati (ed in questo senso attività esecutiva). Per una rivisitazione attuale di questo pensiero si veda lo studio di L. Benvenuti, La discrezionalità amministrativa, Cedam, Padova, 1986 che lo ha attualizzato proprio con riferimento all’attività dell’Autorità Garante, Id., Interpretazione e dogmatica nel diritto amministrativo, Giuffré, Milano, 2002, p. 148 ss. Da ultimo, F. Cintioli, Giudice amministrativo, tecnica e mercato, Giuffré, Milano, 2005, p. 97 ss.

14.  Sul punto G(uido) Rossi, Il conflitto di obiettivi nell’esperienza decisionale delle Autorità, in Regolazione e garanzia del pluralismo. Le Autorità amministrative indipendenti, Giuffrè, Milano, 1997, e già in Riv. soc., 1997, p. 273 ss.

15.  Il riferimento è alla ricostruzione della discrezionalità di M.S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Giuffré, Milano, 1939, passim. Posizione da ultimo ripresa da F.G. Scoca, La discrezionalità nel pensiero di Giannini e della dottrina successiva, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, p. 1045 ss.

16.  Per un approfondimento sul tema della fattispecie precettiva è d’obbligo il rinvio al volume di F.G. Scoca, Contributo al tema della fattispecie precettiva, Università degli studi di Perugia, Città di Castello, 1979.

17.  E ne è convinta anche la migliore giurisprudenza amministrativa. Il Consiglio di Stato (sempre nella decisione della Sez. VI, 24 maggio 2002, n. 2199, al punto 1.3.1) è ben consapevole che l’Autorità pone in essere almeno in parte un’attività discrezionale di carattere tecnico, riservando l’esercizio di una discrezionalità in senso proprio all’adozione di provvedimenti di dispensa o di deroga di cui agli artt. 4 e 25 della legge n. 287 del 1990.

18.  Così M. Ramajoli, Attività amministrativa e disciplina antitrust, Giuffré, Milano, 1998, p. 337.

19.  Sul punto si veda G. De Minico, Antitrust e Consob – Obiettivi e funzioni, Cedam, Padova, 1997, p. 268. Più di recente F. Cintioli, Giudice amministrativo, cit., p. 107.Sull’arbitrarietà di tali concetti, v. N. Irti, La polemica sui concetti giuridici, in Riv. trim dir. proc. civ., 2004, p. 13 ss., ora anche in Nichilismo giuridico¸Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 51 ss.

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