L’Unione europea: federazione o confederazione?

Sommario: I. Di cosa parliamo quando parliamo di Unione europea; II. Federalismo, federazione, stato federale; III. Le trasformazioni delle istituzioni comunitarie; IV. Le trasformazioni delle categorie dogmatiche del federalismo.

I. – DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI UNIONE EUROPEA

Cosa è l’Unione europea? È un ordinamento costituzionale o internazionale? Ha già una costituzione o dovrebbe darsene una? Queste domande continuano a risuonare nella sfera pubblico-giuridica con insistenza e talvolta monotonia. In questo contributo cerco di rispondere a un’altra domanda: la UE è una federazione o è una confederazione? Questo dilemma iniziale di qualificazione giuridica genera a sua volta una serie di questioni collegate: se è una confederazione, che tipo di assetto confederale è? A quale delle configurazioni del passato somiglia? E se invece è una federazione, che tipo di federalismo esprime? Duale o cooperativo? Liberale o sociale? Questa prima serie di domande drammatizza polarità concettuali al solo scopo di introdurre il problema; evidentemente la realtà istituzionale dell’Unione europea costituisce un ibrido in cui le differenze quantitative si rivelano essere più importanti di quelle qualitative, ed in cui il pensiero categorizzante, bandiera del formalismo giuridico, rivela tutte le sue insufficienze. Voler incasellare la complessa realtà istituzionale dell’Unione europea dentro le categorie concettuali che la dogmatica costituzionalistica aveva elaborato all’interno del paradigma statualistico ripropone lo spettro dell’ “entomologo afflitto da pedanteria”, già mirabilmente tratteggiato da Giovanni Bognetti.[1]
Riproporre a proposito della qualificazione giuridica della UE l’antica dicotomia federazione/confederazione significa rimanere all’interno del formalismo positivistico che privilegia le norme sui processi e che mira all’individuazione del ‘luogo’ della sovranità, non a caso proprio la prima categoria ad essere stata messa in discussione dalla europeizzazione e globalizzazione del diritto costituzionale. In effetti la distinzione tra federazione e confederazione è stata tradizionalmente costruita dalla dottrina elaborando le implicazioni del passaggio dagli Articoli della Confederazione del 1777 alla costituzione federale statunitense del 1787, e all’istituzione del Reich tedesco del 1871.[2] Di conseguenza la distinzione tra federazione e confederazione ha corrisposto alla distinzione tra costituzione e trattato e tra piano nazionale e livello internazionale. Secondo l’impostazione tradizionale (positivistica e dominante) la costituzione federale è un atto nazionale che riconosce alla sola federazione poteri sovrani, modificabile a maggioranza qualificata da parte degli stati membri, mentre la confederazione è un trattato di diritto internazionale che lascia alle unità costitutive prerogative sovrane, suscettibile di modifica solo rispettando il principio unanimistico. Trasportare le categorie concettuali di istituzioni statali del XVIII e XIX secolo nell’ambito di una confederazione di costituzioni nazionali del XXI secolo significa comparare assetti istituzionali diversissimi, dotati di poteri incommensurabili, in circostanze storiche e soprattutto economiche di difficile comparabilità.
Per affrontare il problema della qualificazione giuridica della forma federale della UE procederò allora in tre passi: dapprima ricapitolo le distinzioni concettuali tra federalismo, federazione e stato federale, nella seconda parte riassumo le trasformazioni istituzionali attraversate sin qui dall’Unione europea con alcuni relativi tentativi di sistemazione teorica, ed infine concludo discutendo l’asimmetria istituzionale che vede la UE dotata di un federalismo esecutivo postdemocratico ma non (ancora) di un federalismo politico capace di generare solidarietà civica.

II. – FEDERALISMO, FEDERAZIONE, STATO FEDERALE
Il federalismo è un concetto normativo che invoca un’articolazione dei poteri pubblici in ambiti plurimi, con una combinazione di autoregolazione locale e regolazione condivisa.  L’elemento di valore cui tende il federalismo è una combinazione di unità e diversità, di promozione delle specificità culturali e identitarie all’interno di un’unione politica più ampia.  L’essenza del federalismo come principio normativo è la perpetuazione tanto dell’unione quanto della non centralizzazione.[3] Il federalismo è quindi un concetto di valore, cui gli assetti istituzionali possono più o meno tendere, senza però mai esaurirne la eccedenza di contenuto deontologico.[4]
Il termine federazione, invece, è un concetto descrittivo che si applica a forme particolari di organizzazioni politiche.  Esso si riferisce ad un’ampia categoria di sistemi politici in cui, in contrasto con un’unica sorgente di autorità che si incontra nei sistemi unitari, ci sono due o più livelli di governo che combinano la regolazione condivisa attraverso istituzioni comuni con l’autoregolazione locale attraverso i governi delle unità costitutive.  Questo ampio genere abbraccia un ampio spettro di forme non unitarie quali le unioni, le federazioni, le confederazioni, le federacies, le associazioni di stati, i condomini, le leghe e le autorità connesse funzionalmente. I caratteri strutturali comuni delle federazioni in quanto forme specifiche di sistemi politici federali sono: due livelli di governo che agiscono direttamente nei confronti dei cittadini; una distribuzione costituzionale formale di autorità legislativa ed esecutiva ed un’allocazione di risorse finanziarie tra i due livelli di governo che assicuri aree di rispettiva autonomia; previsione di rappresentazione delle diverse istanze regionali attraverso camere di rappresentanza territoriale o sistema di raccordi intergovernativi quali conferenze; una costituzione scritta modificabile non unilateralmente ma solo con il consenso di una porzione significativa delle unità costitutive; un arbitro che risolva le controversie tra i governi (corti costituzionali o referendum popolari); processi ed istituzioni che facilitano la collaborazione intergovernativa in quelle aree in cui le responsabilità di governo sono condivise o sovrapposte.

Anche quello di ‘stato federale’ è un concetto descrittivo, che connota il connubio tra principio federale e forma statuale.  Tuttavia, essendo le varianti organizzative e funzionali degli esistenti stati federali tali e tante da impedire la costruzione di una teoria unitaria dello stato federale capace di adattarsi a tutte le diversità fenomeniche, l’approccio comparativo si è spesso accontentato di operare una ricognizione-classificazione dei sistemi politici federali.  Se è possibile rintracciare nel mondo antico molte tracce di istituzioni federali e di comunità politiche che si sono date ordinamenti giuridici ispirati a principi federali, è solo con la rivoluzione americana e con l’adozione e la ratifica della costituzione federale statunitense che si ha il big bang della modernità federale.
Alla luce di queste categorizzazioni si deve negare alla UE la qualifica di Stato federale. Ma pur riconoscendo che il federalismo abbraccia uno spettro assai più ampio di quello della statualità, esso è pervenuto in Europa ad un assetto federale o confederale? Al riguardo Habermas ha acutamente osservato che “l’Unione europea potrà stabilizzarsi a lungo termine soltanto se sotto la coazione degli imperativi economici farà i passi ormai indispensabili per coordinare le politiche essenziali, non nello stile burocratico-gabinettistico sinora consueto, ma percorrendo la via di una sufficiente ratificazione giuridica democratica. Invero noi saremo ingarbugliati nei prossimi passi politico-costituzionali, sinché ci muoveremo nello spettro concettuale oscillante fra confederazione di Stati e Stato federale o ci accontenteremo di respingere in maniera vaga questa alternativa”.[5]
L’Unione europea potrebbe allora essere qualificata come un esempio di federalismo senza federazione. Le sue origini, trasformazioni ed assetti istituzionali sono stati ispirati da idee e strategie federali senza tuttavia mai pervenire allo stato formale di federazione. La UE è quindi un puzzle intellettuale, un esperimento istituzionale che funziona, ma che resiste precise concettualizzazioni. La grande maggioranza degli osservatori ha finito per notare che la UE è un’istituzione sui generis, oppure che si tratta di un nuovo fenomeno all’interno della galassia federale. Molte teorie federali sono state costruite intorno a fenomeni storici di formazione di entità statali e la UE non è uno stato; si è preferito allora parlare più genericamente di processo di community-building, di un processo politico teso ad integrare comunità politiche ed ordinamenti giuridici. La combinazione dell’espandersi dell’arena di formazione di policies che è sottoposta alle procedure di voto a maggioranza qualificata e la persistenza del trattato internazionale come base giuridica hanno corrisposto alla trasformazione della Comunità in Unione, in cui elementi sovranazionali e federali coesistono con tratti confederali e intergovernativi. Ad uno sguardo generale l’assetto istituzionale vigente appare come un’unione federale decentralizzata di stati e cittadini. Pur non essendo uno stato, l’Unione europea è un’unione politica con elementi federali e confederali, un nuovo mix istituzionale che resiste alla classificazione in categorie forgiate su esperienze del passato e che spesso viene qualificato come una nuova forma di confederazione, o come un nuovo modello federale.
Prima di discutere le implicazioni politico-ideologiche della scelta tra federazione e confederazione per qualificare l’assetto corrente delle istituzioni della UE, nonché l’insufficienza della sola critica a questa dicotomia, passo a ricapitolare le principali trasformazioni avvenute all’ambizioso progetto di integrazione economico-funzionale giunte alle soglie della possibile costituzionalizzazione del diritto internazionale nello spazio giuridico europeo.

III. LE TRASFORMAZIONI DELLE ISTITUZIONI COMUNITARIE
Dove va  l’Europa?  Ancora una volta il processo di integrazione europea affronta una crisi costituzionale, che è anche una crisi d’identità. Mentre l’economia globale affronta nuove fasi recessive e le democrazie nazionali vengono insidiate da nuove forme di populismi autoritari, il più avanzato esperimento di cosmopolitismo istituzionalizzato[6] – l’Unione europea – si trova di fronte ad una semiparalisi organizzativa e ad uno spaesamento progettuale probabilmente senza precedenti.
È noto che la spinta principale all’avvio del processo di integrazione europea fu rappresentata dal secondo conflitto mondiale.  Tuttavia, come recita un celebre adagio hegeliano, ciò che è noto, non per questo è anche conosciuto.  Quello che gli scienziati della politica chiamano path-dependency, vale a dire il fatto che la realtà delle istituzioni è determinata dal processo che le ha generate, rivela una sorta di simbiosi tra equilibrio bipolare post-bellico e la capacità dei vecchi stati nazionali europei di negoziare soluzioni sovranazionali capaci di abbattere antiche barriere e di ridisegnare i confini delle comunità politiche.
Le visioni che si contesero il campo della progettualità europea furono notoriamente quella funzionalista e quella federalista.  La prima dispiegava una strategia per l’addomesticamento dei nazionalismi e dei protezionismi dei singoli ordinamenti statali erodendo le sovranità nazionali.  I padri fondatori del funzionalismo europeo (Schuman e Monet) condividevano la visione atlantica di Rostow[7], secondo cui la modernizzazione di Francia e Germania avrebbe creato una dinamica di spill over capace di portare all’allargamento dei mercati nazionali e, di conseguenza, alla stabilizzazione politica di stati che avevano sconvolto il pianeta con le loro politiche di potenza.  Il lucido programma funzionalista – politico sin dalle origini – prevedeva adattamenti graduali e periodici capaci di istituire prima una zona di libero scambio, quindi un’unione doganale, e di poi un mercato comune.  A questa prima fase di integrazione negativa – in cui il diritto comunitario si occupava principalmente di rimuovere le disposizioni nazionali che ostacolavano il commercio interstatale – si sarebbe poi giunti ad una fase di integrazione positiva in cui il diritto e le istituzioni comunitarie si occupano di coordinare le politiche nazionali mediante istituzioni comuni, per realizzare dapprima un’unione economica, quindi un’unione monetaria, per giungere infine ad una piena unione politico-costituzionale.  Pur promettendo un happy ending federalizzante, la narrazione funzionalista si è presentata sin dall’inizio come una sobria  ragione civilizzatrice rispetto agli eccessi delle passioni nazionalistiche[8].

Con tono paternalistico i tecnocrati funzionalisti hanno insistito nel ritenere che l’integrazione è fatta per l’Europa e non dall’Europa, auto legittimando un ceto burocratico sovranazionale ed insulandolo dalle critiche delle opinioni pubbliche nazionali.  In particolare l’idea di una divergenza funzionale tra livello sovranazionale – tecnocratico e liberale – e livello nazionale – democratico e sociale – serviva a mettere al riparo le élites dirigenti dai pericoli derivanti dai processi di legittimazione democratica.  Così, mentre le democrazie post-autoritarie (Italia, Germania) si ricostituzionalizzavano mediante l’adozione di nuove leggi fondamentali, l’organizzazione internazionale di cui sceglievano di far parte andava sviluppando soluzioni condivise mediante collegamenti intergovernativi, quindi nelle mani dei funzionari dei poteri esecutivi, lontani dal controllo e dall’interesse delle opinioni pubbliche nazionali.
A contendere il terreno alla visione funzionalista vi fu una concezione federalistica del processo di integrazione europea.  Come articolata da Altiero Spinelli essa proponeva  una strategia per creare una nuova forma di Stato europea, eliminando d’un colpo le sovranità statali[9].  Credendo possibile la traduzione dell’esperienza statunitense di fine settecento sul territorio europeo della metà del ventesimo secolo, l’invocazione degli Stati Uniti d’Europa auspicava una democratizzazione del Parlamento europeo, visto come il luogo di condensazione del potere costituente, un riconoscimento del principio di sussidiarietà ed un’estensione del principio della divisione dei poteri dal livello funzionale a quello territoriale, giungendo quindi ad un vero e proprio assetto federale.
Se i Federalist Papers sono il liber sapientiae dello stato federale, il Manifesto di Ventotene è uno dei testi classici del federalismo europeo: lì Spinelli articolava la sua critica al sistema westfalico degli stati nazionali europei, alla pretesa di sovranità assoluta che essi hanno avanzato ed ai disastrosi esiti delle politiche di potenza indotte dal sistema del balance of power: «il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani».[10] Proprio il nazionalismo metodologico mostra tutte le sue insufficienze – descrittive e normative – nel costruire una credibile narrativa del futuro dell’Unione europea.  Il superamento della prospettiva nazionalistica ed il ritorno della visione mondiale del movimento federativo hanno fatto parlare dell’Unione europea come di un esperimento nel cosmopolitismo istituzionalizzato.[11]
La chiave per comprendere la relazione tra federalismo, federazione ed integrazione europea risiede nella credenza funzionalistica secondo la quale attraverso la costruzione di nessi funzionali tra stati che non cedono tutta la loro sovranità nazionale formale, la porta per la federazione si sarebbe gradualmente aperta. Mentre nella visione di Spinelli il federalismo e il costituzionalismo costituivano una coppia inscindibile, tanto da auspicare l’avvento di un’assemblea costituente capace di forgiare una costituzione federale per gli Stati Uniti d’Europa, nella concezione di Monnet il costituzionalismo e il federalismo apparivano disgiunti. Per Monnet, infatti, l’integrazione sarebbe dovuta procedere secondo modalità graduali, cumulative, settoriali, tali da raggiungere un punto di accumulazione quantitativa che avrebbe a un certo punto provocato una trasformazione qualitativa. Ma questo ultimo salto nel federalismo sarebbe potuto avvenire, nella visione di Monnet, solo quando “le forze della necessità” lo avrebbero reso naturale agli occhi degli europei. La concezione di Monnet della federazione rendeva il costituzionalismo – vale a dire la costruzione dell’Europa politica – contingente rispetto all’effetto cumulativo delle acquisizioni funzionali.
Battuta all’epoca della fondazione, la visione federale tornò alla ribalta nel 2000, con un famoso discorso dell’allora ministro degli esteri tedesco alla Università Humboldt di Berlino[12], cioè alla vigilia dell’introduzione della moneta unica ed alla vigilia dell’ondata di allargamenti che avrebbero profondamente trasformato il quadro politico dell’Unione europea.  Avvertita l’esigenza di dotarsi di una propria Carta dei diritti fondamentali – solo proclamata al vertice di Nizza – e stabilita l’esigenza di riordinare l’assetto istituzionale ed il quadro normativo sovranazionale, con la dichiarazione di Laeken si gettavano le basi per una convenzione incaricata di redigere un progetto di trattato costituzionale.  Tuttavia, scegliendo di ignorare la lezione dei federalisti americani – che abbandonarono il criterio di unanimità per la ratifica della costituzione federale, scrivendo nell’articolo VII una regola di maggioranza volta ad evitare gli effetti paralizzanti dei veti di singoli stati, nonché ad incentivare alla ratifica mediante la creazione di un effetto carovana – i «convenzionali» europei lasciarono impregiudicata la regola internazionalistica dell’unanimità della ratifica, forse sicuri dell’automaticità dell’accoglimento di un progetto pur sempre redatto da specialisti e deliberato da rappresentanti delle culture nazionali.  L’aspirazione costituzionalistica veniva però frustrata dalle opinioni pubbliche francesi ed olandesi.  E così, dopo un periodo di cosiddetta riflessione, gli esecutivi nazionali tornavano sui binari del funzionalismo tecnocratico e, dopo avere solennemente proclamato che «il progetto costituzionale, che consisteva nell’abrogazione di tutti i trattati esistenti e nella loro sostituzione con un unico testo denominato “Costituzione” è abbandonato»[13], ripiegavano sul progetto di un minitrattato – secondo l’efficace qualificazione del presidente francese, che mirava ad evitare un nuovo referendum -, capace di consentire il funzionamento di un’organizzazione internazionale fondata da sei paesi ed allora allargatasi a ventisette membri.
Rispetto al Trattato costituzionale di Roma, il Trattato di Lisbona abbandonava proprio quelle disposizioni che avevano un constitutional flavour (così il Presidente Napolitano nel suo discorso all’università Humboldt del 27 novembre 2007[14]).
Il fallimento del progetto costituente è stato seguito dalla crisi finanziaria globale, dall’intensificarsi del consolidamento di movimenti populistici e dal ritorno di pulsioni nazionalistiche nelle società europee. Di fronte al dilagare di un senso di impotenza decisionale la rabbia politica europea è tornata a volgersi contro la tecnocrazia europea, accusata di perseguire politiche di austerità che strangolano le economie nazionali.

Di fronte a tale pericolosissimo baratro vale la pena di riconsiderare la domanda rivolta dall’egemonia funzionalista alla prospettiva di riforma delle istituzioni europee: “if it ain’t broken, why fix it?” Di fronte al collasso di interi settori della società europea, della profonda crisi dei suoi sistemi democratici, della recessione globale, del crescere della disoccupazione giovanile, dell’impotenza in politica estera, forse è giunto il momento di ammettere che per la maggioranza dei cittadini europei la EU is broken e le società europee necessitano di un sussulto politico che permetta di ricostituire il progetto di integrazione.

IV. LE TRASFORMAZIONI DELLE CATEGORIE DOGMATICHE DEL FEDERALISMO
Dal punto di vista del diritto positivo, la disputa dottrinale degli ultimi anni si è incentrata sull’esistenza o meno di una costituzione sovranazionale. La visione funzionalista ha individuato nella  giurisprudenza della Corte di giustizia delle comunità europee e nella sua ricezione da parte delle corti costituzionali nazionali elementi di un processo di costituzionalizzazione: l’emersione dei principi di efficacia diretta e di supremazia del diritto comunitario sul diritto nazionale sono stati visti come i tratti caratterizzanti di una costituzione costruita attraverso l’interpretazione giudiziaria[15].La visione federalista, per contro, ha insistito sulla necessità di addivenire ad un passaggio politico mediante la redazione di una costituzione europea di stampo autenticamente federale: “la sfida non è tanto quella di inventare qualcosa di nuovo, ma quella di conservare le conquiste democratiche degli Stati nazionali europei superando i limiti di questo modello istituzionale”[16].  Le due visioni, oggi ibridate e confluite in una realtà istituzionale ispirata da entrambe, confermano la vetustà dell’equiparazione tra federalismo e stato federale.  Sia che si parli di costituzionalizzazione dei trattati istitutivi, sia che si parli di internazionalizzazione delle costituzioni nazionali, sia che si cerchi una via di mezzo nella nuova figura del trattato costituzionale, lo ius publicum europeum rileva l’impraticabilità della tradizionale distinzione nazionale/internazionale su cui la dottrina tradizionale aveva costruito la distinzione costituzione/trattato[17].
Le soluzioni offerte dalla scienza giuridica per catalogare la realtà istituzionale della UE non sono state elaborate in un vuoto politico: giustamente si è sottolineato che dietro la visione apparentemente pacificatrice della costituzione senza costituzionalismo, o del federalismo senza costituzionalismo, si nasconde un’ideologia irenico-egemonica volta a rimuovere la sostanza dei conflitti sociali, la profonda ingiustizia del neocapitalismo transnazionale, nonché la selezione tecnocratica delle élites amministrative e giudiziarie che diffondono la narrazione dell’ordine giuridico composito al fine di insularsi dalle sollecitazioni telluriche di opinioni pubbliche e movimenti sociali che contestano radicalmente l’ordine esistente.[18]
Il Sonderweg europeo, il peculiare assetto normativo in cui alla supremazia del diritto dell’Unione europea sui diritti nazionali non corrisponde una supremazia dei poteri delle istituzioni europee rispetto alle istituzioni nazionali, non è da celebrare, ma piuttosto da descrivere come un esempio di federalismo esecutivo post-democratico che rischia di minare lo stesso sostrato di legittimazione politica chiamato a sorreggerlo. Gli esempi statali di federalismo esecutivo, quale quello tedesco, riposano pur sempre su una base di federalismo costituzionale che riserva alla Federazione la competenza di procedere alla revisione costituzionale. Anche in Germania il diritto federale prevale su quello statale, ed il diritto federale viene eseguito in via di principio dalle amministrazioni dei Länder, tuttavia gli organi della Federazione hanno la possibilità di emendare la costituzione. Nella UE, invece, alla supremazia del diritto comunitario su quello nazionale, ed al principio in base al quale le regole del diritto comunitario vengono eseguite dalle amministrazioni nazionali, non si accompagna il potere degli organi dell’Unione europea di modificare i trattati, di modo che gli Stati rimangono ampiamente “Signori dei Trattati”, per di più con il vincolo unanimistico in caso di modifica dei Trattati stessi.
Questa asimmetria, federalismo giudiziario e amministrativo ma non politico-costituzionale, illustra il guado in mezzo a cui si trova l’assetto istituzionale della UE oggi[19].  Se, come ci ricorda Friedrich[20], federalismo e costituzionalismo sono inscindibilmente intrecciati, in quanto processi di trasformazione delle società, la crisi costituzionale europea è anche una crisi delle sue aspirazioni federali, ed è solo ravvivando le seconde che si può rimediare alla prima.
Il Trattato di Lisbona, e lo stallo politico costituzionale che ne è seguito, costituiscono il risultato della visione tecnocratica dell’immagine dell’Europa[21].  Il pianeta del funzionalismo sembra avere oscurato il sole del federalismo, tuttavia non assistiamo né alla fine del sogno europeo, né all’inizio del processo di disintegrazione sovranazionale. Oggi il compito di tutti coloro che hanno a cuore il mantenimento e l’estensione della società aperta è di rivitalizzare una visione federale per l’Unione europea. Solo riportando i processi costituenti europei all’interno dei movimenti politici sarà possibile rivitalizzare il tessuto connettivo della solidarietà tra estranei che costituisce il tratto più profondo della comune cultura costituzionale europea.[22]
Di fronte alla paralisi progettuale e all’impotenza politica delle classi dirigenti europee e di fronte al crescere dell’ondata populistica e neonazionalistica di ampi settori delle società europee, il realismo politico ha buon gioco nel sogghignare e nel tacciare di utopismo e velleitarismo la prospettiva di una costituzionalizzazione cosmopolitica del diritto europeo, o di una spinta europeizzatrice delle politiche nazionali.  Tuttavia giova ricordare che già nel 1949, a Berlino, José Ortega y Gasset aveva la sensazione di trovarsi in un’ora crepuscolare e che “per una naturale illusione ottica molti europei poco perspicaci credono che questo crepuscolo sia vespertino”. Ascrivendosi per converso tra i mattinisti, Ortega ammoniva che “questa sensazione di naufragio è il grande stimolante per l’uomo. Nel sentire che viene sommerso dai dubbi reagisce con le sue più profonde energie, le sua braccia si agitano per risalire alla superficie. Il naufrago si trasforma in nuotatore. La situazione negativa si trasforma in positiva. Ogni civiltà è nata o è rinata come un movimento natatorio di salvezza. Questo combattimento segreto di ogni uomo con i suoi intimi dubbi, là nel recinto solitario della sua anima, dà un precipitato. Questo precipitato è la nuova fede di cui vivrà la nuova epoca”[23].

Note

1.  G. BOGNETTI, Federalismo, Torino, 2001, 114.

2.  cfr. A. DI MARTINO, Il territorio: dallo stato-nazione alla globalizzazione, Milano, 2010, 458.

3.  R. WATTS, Comparing Federal Systems, Montreal, 1999, 6

4.  A. VESPAZIANI, Federalismo, http://www.treccani.it/enciclopedia/federalismo_%28Diritto-on-line%29/#

5.  J. HABERMAS, Questa Europa è in crisi, Bari, 2012, 51.

6.  così U. BECK, E. GRANDE, LEuropa cosmopolita, Roma 2006, p. 34.

7.  Su cui v. N. GILMAN, Mandarins of the Future. Modernization Theory in Cold War America, Baltimore & London, 2003, p. 50.

8.  J.H.H. WEILER, To Be A European Citizen: Eros and Civilization, in The Constitution of Europe, Cambridge 1999, pp. 324 ss.; tr. it. La Costituzione dellEuropa, Bologna 2003.

9.  A. SPINELLI, Una strategia per gli Stati uniti d’Europa, a cura di Sergio Pistone, Bologna, 1989.

10.  A. SPINELLI, Il manifesto di Ventotene, Bologna, 1991, 48

11.  U. BECK, La crisi dellEuropa, Bologna, 2012 e Europa tedesca, Bari, 2012.

12.  J. FISCHER, Vom Staatenverbund zur Föderation Gedanken über die Finalität der europäischen Integration („Humboldt-Rede“, 12.05.2000) in http://www.europa.clio-online.de/site/lang__en/ItemID__17/mid__11373/40208215/default.aspx

13.  Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007.

14.  «Sciogliere l’antico nodo di contrastanti visioni del progetto europeo. Far emergere una nuova volontà politica comune», in http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=1124

15.  J. WEILER, La costituzione dellEuropa, Bologna, 2003

16.  J. HABERMAS, Perché lEuropa ha bisogno di una costituzione?, in Bonacchi, G. (a cura di), Una costituzione senza Stato, Bologna, 2001, 163.

17.  I. PERNICE, The Treaty of Lisbon: Multilevel Constitutionalism in Action, Columbia Journal of European Law, Vol. 15, No. 3/2009

18.  il riferimento obbligato è a M. LUCIANI, Costituzionalismo irenico vs. costituzionalismo polemico (http://archivio.rivistaaic.it/materiali/anticipazioni/costituzionalismo_irenico/index.html)

19.  v. R. SCHÜTZE, From Rome to Lisbon: “Executive Federalism” in the (New) European Union, Common Market Law Review 47, 1385-1427, 2010; From Dual to Cooperative Federalism, Oxford, 2010, 69; European Constitutional Law, Cambridge, 2012, 47.

20.  C. FRIEDRICH, Luomo, la comunità, lordine politico, Bologna 2002, p. 309.

21.  Cfr. J. HABERMAS, Europapolitik in der Sackgasse. Plädoyer für eine Politik der abgestuften Integration, in Ach, Europa, Frankfurt am Main 2008, p. 97.

22.  G. ALLEGRI, Oltre lEuropa convenzionale: i mille piani dei movimenti sociali nellEuropa politica, in G.BRONZINI, H.FRIESE, A.NEGRI e P.WAGNER (a cura di), Europa, costituzione e movimenti sociali, Roma, 2003, 175.

23.  J. ORTEGA Y GASSET, Meditazione sullEuropa, Roma, 2000, 57.