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Il caso ILVA tra crisi economica ed emergenza ambientale

di - 29 Agosto 2013
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Nel frattempo, il paradigma culturale del ruolo dello Stato è cambiato senza che quasi ce ne avvedessimo, soprattutto nei paesi anglosassoni con l’avvento di Reagan negli Stati Uniti e del primo ministro Thatcher in Inghilterra. Queste due personalità politiche diffondono una visione del mercato che ha dominato negli ultimi decenni, che può essere così sintetizzata: mito della autoregolazione del mercato.
Tale visione ha dei padri accademici ben precisi nell’area anglosassone e in particolare nella Scuola di Chicago tra cui Milton Friedman, premio Nobel dell’economia. Vi sono, inoltre, letture più risalenti, ad esempio quella del teorema di Coase e della sua analisi del ruolo del mercato e dei costi transattivi della regolazione pubblica. Tali questioni sono studiate, nell’ambito dell’analisi economica del diritto, sia da giuspubblicisti che da giusprivatisti.
Il paradigma cui si ritiene debbano rispondere tutte le politiche pubbliche è che il mercato sia lo strumento ottimale per l’allocazione delle risorse e che lo Stato debba intervenire solo in casi di fallimento del mercato.
Frattanto, viene abbandonato il sistema della convertibilità del dollaro in oro, le monete iniziano a fluttuare e il dollaro diventa moneta di riferimento per tutto il sistema monetario internazionale. All’abbandono del sistema della convertibilità del dollaro in oro si accompagna l’idea, prima impensata, della libera circolazione dei capitali. Tale contesto, naturalmente, porta ad un rafforzamento delle imprese e della loro dimensione sovranazionale. Poiché le imprese eccedono i confini degli Stati, si indebolisce l’azione che gli Stati hanno effettuato a sostegno dell’economia nella fase definita età dell’oro.
Le imprese sovranazionali hanno due nature: vi sono imprese che si occupano di economia reale ed imprese finanziarie. Se nella prima fase recessiva – quella dello shock petrolifero – la grande partita riguardava il controllo delle risorse naturali e delle imprese energetiche, la seconda fase è invece dominata dalle imprese finanziarie.
D’altra parte, utilizzando una terminologia marxiana, tornata in auge in questo periodo, per descrivere quanto è avvenuto nei momenti di cambiamento del paradigma dallo Stato sociale allo Stato basato sulla liberta di mercato deregolata, si può parlare di un ciclo di sviluppo del capitalismo noto come DMD (denaro-merce-denaro).
Nella prima fase, il denaro si converte in merce, ovvero il sistema produttivo investe denaro per produrre merci che vengono vendute sul mercato. Nella seconda fase, la merce si trasforma in denaro. Nella prima fase vi è dominio dell’economia reale, nella seconda dominio dell’economia finanziaria.
A ogni modo, la deregolazione finanziaria non costituisce necessariamente un male, perché la finanza svolge una funzione essenziale nel capitalismo, contribuendo a far incontrare le buone idee di chi non ha denaro con il denaro di chi non ha buone idee.
Se, però, la finanza serve solo a se stessa, come è avvenuto negli ultimi anni, con uno sviluppo dell’economia finanziaria non legato allo sviluppo dell’economia reale, essa diventa solo uno strumento di un’economia puramente cartolare fatta di contratti finanziari privi di causa giuridica ed economica che non sono altro che scommesse.
Infatti, il contratto che oggi ha più successo non è la compravendita ma il giuoco o la scommessa, ovvero il contratto derivato.
L’economia finanziaria diviene così un’occasione di arricchimento per una serie di soggetti, alcuni dei quali esercitano funzioni private di rilevanza pubblica, come le agenzie di rating, su cui ha scritto il prof. Pinelli.
I valutatori che sono interni al sistema finanziario non sono dei pubblici ufficiali. Anche quando nasce una start-up, oggi viene affiancata da un soggetto che la legge definisce incubatore, che in realtà è un valutatore privato. Solo nel settore degli appalti pubblici i valutatori – le SOA – esercitano pubbliche funzioni in senso proprio (ma anche questo è mal sopportato).
Gli imprenditori finanziari, che percepiscono commissioni in base ai contratti finanziari che concludono, si sono pertanto arricchiti mostruosamente, come rilevato dall’indice Gini, che misura il divario fra i redditi. Nei Paesi avanzati, la diseguaglianza cresce, in Italia con buona pace dell’art. 3, comma 2 della Costituzione.
L’intero assetto del sistema economico – incentrato sull’economia finanziaria autoreferenziale, che non svolge più la sua funzione propria a favore del sistema capitalistico – contrasta con il programma dello Stato sociale di cui all’art. 3, co. 2, Cost.
Attualmente il sistema bancario in assenza di vincoli conclude – nel mercato dei derivati – scommesse con i soldi dei risparmiatori, che è già di per sé discutibile dal punto di vista della sana e prudente gestione delle imprese bancarie (t.u. bancario).
Talvolta si insinua la mala gestio dolosa e, in alcuni casi, a seguito di indagini penali, inizia ad essere contestato il reato di truffa ai danni dei soci e dei depositanti (art. 640 c.p.).
Per quanto riguarda lo scoppio della crisi economica nel 2007-2008, crollano alcune banche d’affari, che sono anch’esse dei mostri giuridici creati dalla regolamentazione.
I nostri nonni avevano vissuto crisi economiche anche spaventose, come la Grande Depressione, che però era di segno completamente diverso dalla crisi attuale.
Infatti, la crisi del ‘29 nacque per un problema di sovrapproduzione, dovuto all’incapacità del mercato di assorbire i beni prodotti da un sistema capitalistico che si stava sviluppando in maniera troppo veloce negli Stati Uniti, che ebbe poi un riflesso finanziario nella caduta dei titoli di borsa. Tale crisi fu superata con la Seconda Guerra Mondiale, con le politiche del New Deal, ma soprattutto con i grandi sforzi bellici sia in Germania che negli Stati Uniti.

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