Prevenire la corruzione

1. Il tema della corruzione è notoriamente difficile, forse difficilissimo. Tutti condividono l’idea che sia inaccettabile una specie di commercio della funzione amministrativa, in forza del quale Tizio ottiene benefici, vantaggi, favori da un’amministrazione, solo perché ha “remunerato” qualcuno per fargli svolgere il suo ruolo in un modo piuttosto che in un altro. Per lungo tempo è parso però che tra questa sana, comune convinzione ed il ritorno alla normalità, cioè alla legalità e alla correttezza dei comportamenti, ci fosse, più che un oceano, una palude. Sembrava cioè che, nei fatti, legalità e corruzione non fossero perentoriamente alternative, ma potessero in qualche modo, in qualche misura coesistere. Pareva insomma che si dovesse quasi contenere la corruzione entro termini ragionevoli – e quindi combatterla con armi convenzionali, si vorrebbe dire –, senza pretendere di stroncarla e quindi senza cercare tutti i modi per raggiungere questo risultato.

Questo animus incerto in ordine alla lotta contro la corruzione emerge chiaramente dalla lettura di gran parte della recente legge 6 novembre 2012, n. 190, adottata in attuazione di due convenzioni internazionali [1], che detta l’impianto giuridico ed organizzativo di questa lotta. Questa legge consta due articoli. Il primo si sviluppa in 83 commi, che toccano un ampio spettro di temi. Il secondo, in due soltanto, ma con unico significato: non si deve spendere un euro in più; si deve utilizzare il personale esistente. Pretesa forte, è il caso di dire [2].

Sui temi oggetto dell’art. 1 si deve fermare brevemente l’attenzione. In gran parte essi hanno natura e struttura convenzionale. Ad es. viene istituita l’Autorità nazionale anticorruzione, attribuendone il ruolo e le competenze alla preesistente Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità della pubbliche amministrazioni; la legge le affida poi una serie di compiti specifici, da svolgere di conserva con il Dipartimento della funzione pubblica: il quale, tra l’altro, coordina l’attuazione delle strategie di prevenzione e contrasto della corruzione e predispone il piano nazionale anticorruzione (co. 4). Gli enti locali si devono dotare di un piano triennale anticorruzione (co. 8, 9, 10), con un responsabile della prevenzione che può incorrere in pesanti responsabilità nel caso di condanna di un suo dipendente. Sono previsti: corsi di formazione dei dipendenti su temi dell’etica e della legalità a cura della Scuola superiore della pubblica amministrazione (co. 11); corsi speciali di formazione per il personale più esposto a tentazioni corruttive; divieti di incarichi arbitrali per magistrati ed avvocati dello Stato (co. 18) e limitazioni nel loro conferimento (co. 19-24); controlli particolari sui dirigenti non assunti per concorso (co. 39).

Fin qui, l’assetto dato alla lotta contro la corruzione è quasi inquietante. Si può ben dire che, con le norme fin qui viste, la legge 6 novembre 2012, n. 190, ha quasi rovesciato il rapporto tra funzionari (e cittadini) onesti rispetto ai funzionari (e cittadini) corrotti e corruttori. Essa ha infatti assunto la premessa che la corruzione sia un fenomeno sociale patologico, di carattere endemico, per il quale non esistono terapie specifiche. Si può solo cercare di intervenire indirettamente, con rimedi terapeutici per un verso repressivi e sanzionatori, e, per l’altro, lato sensu preventivi, quali ad es. la rapida rotazione dei dipendenti negli incarichi più esposti alla corruzione o la scuola di etica civile: i pubblici amministratori dovrebbero frequentarla per essere spinti verso una condotta virtuosa. Sia consentito dire che si sente qui un’eco della lotta all’HIV e all’AIDS. Non si sono ancora trovati farmaci dotati di piena efficacia diretta; i pressanti inviti alla prudenza e alla prevenzione hanno certamente ridotto la diffusione del virus HIV e quindi dell’AIDS, salvando vite umane; l’epidemia può però riesplodere in qualunque momento. Così la corruzione, temporaneamente contenuta da corsi di formazione e analoghe terapie aspecifiche.

A prescindere dal non banale problema che tutto ciò dovrebbe avvenire senza ulteriori oneri per la finanza pubblica, questo approccio non può essere condiviso. È certo infatti che il numero dei corrotti non sia definibile. Ma proprio questo, come non permette di ignorare il fenomeno corruzione, e viceversa impone di combatterlo, così non consente che, data la presenza di un numero non definito né definibile di “mele marce”, tutto il pubblico impiego debba essere sospetto e quindi soggetto ad una sorta di rieducazione.

È dunque impossibile prevedere il successo delle misure di prevenzione e repressione della corruzione, introdotte dalla l. n. 190/2012, che si sono viste qui sopra. Potrebbero essere efficaci per un certo periodo di tempo, e con il tempo cadere in disuso; potrebbero non decollare mai, perché la corruzione è una malattia ambientale, non di singoli individui, i quali possono celarsi perfettamente, senza lasciare tracce. Non è un caso che scoprire e punire un corrotto è molto, molto difficile. Si sentono solo voci, e non sempre.

2. La questione vera è che l’impianto della legge qui sopra brevemente ricordato è stato tracciato senza preoccuparsi di capire da dove nasca e dove si annidi la corruzione. Solo questa consapevolezza consente di pensare a come prevenirla e come scegliere gli strumenti più acconci. La repressione è un altro discorso. La corruzione si è consumata ed ha provocato i danni cui mirava. La gogna, debitamente adeguata ai tempi di oggi, potrebbe meritare qualche riflessione.

Ora sembra indubbio che con la corruzione Caio, corruttore, miri ad ottenere da Tizio, pubblico funzionario, una decisione a proprio favore che non potrebbe ottenere, in cambio di denaro o altri beni. Forse il terreno più vistoso e discusso, nel quale sembra che sia particolarmente presente la corruzione, è quello delle gare e dei concorsi, manipolati a favore del corruttore, e in danno di n concorrenti o aspiranti. Il discorso è chiarissimo. Il punteggio complessivo, il quale determina la posizione in classifica, deriva dalla somma dei punteggi attribuiti ad un gran numero di voci. Basta che un certo numero di esse diventi oggetto di valutazioni alterate, un po’ a favore dell’offerta di A, un po’ in danno dell’offerta B, perché l’esito della gara cambi. Tutti lo sanno; nessuno lo può dire, perché si tratta sempre di apprezzamenti “discrezionali”, come spesso si dice (in realtà impropriamente). Ci sono però anche materie in cui il concorrente o il co-aspirante prima facie non c’è: basti pensare all’edilizia. Caio corrompe per costruire dove non si potrebbe o più di quanto potrebbe. Il quadro non muta: si aspira a qualche cosa cui si teme di non avere diritto (o che si sa perfettamente di non avere né poter avere); per “convincere” il funzionario di turno, lo si “paga”. Ma se si parla di una qualsiasi forma di autorizzazione, concessione, permesso, assetto legale di un tipo o di un altro, il principio è sempre lo stesso [3].

Il nocciolo essenziale della questione sembra dunque essere che, in un assetto di interessi regolato [4], qualcuno vuole avere qualche cosa, che non potrebbe ottenere. Ciò che con la corruzione si persegue è dunque una alterazione non apparente delle regole. Deve sembrare che tutto sia perfettamente corretto, e quindi sia legittimamente consentita la soddisfazione dell’interesse personale di qualcuno, senza che abbia il minimo rilievo se ciò accade secundum o contra ius. Si può ben dire che la corruzione reca in sé un fine intrinsecamente anticoncorrenziale, perché riesce ad alterare non le regole della competizione, ma la loro applicazione. Per questo deve essere invisibile.

3. Si può dunque porre un primo punto fermo. La corruzione opera in maniera occulta. Per definizione fa nascostamente emergere o celare qualche cosa, per instradare così il percorso decisionale in una direzione piuttosto che in un’altra. Questa è la sua forza ed al tempo stesso la sua fragilità, il suo ventre molle. La corruzione opera solo al buio, in stanze chiuse. Da questo presupposto si deve partire per costruire un sistema forte di prevenzione. Si deve fare sempre il contrario di ciò che la corruzione richiede. Tutto deve essere portato alla luce, messo a disposizione di tutti. L’adulterazione della realtà diventa impossibile perché il processo che la produce può essere identificato. E questo è inaccettabile per corruttore e corrotto.

Il problema non è sfuggito all’attenzione del legislatore. Ad un sistema di prevenzione fondato sull’idea di portare alla luce la vita amministrativa si è pensato da vari anni – almeno dal 2009, con la l. n. 15/2009 ed il d. l.vo. n. 150/ 2009. La l. n. 15/2009 aveva delegato il governo ad adottare decreti legislativi in materia di lavoro presso le pubbliche amministrazioni, con l’obiettivo di garantire la trasparenza dell’organizzazione del lavoro nella p.a. e dei relativi sistemi retributivi (art. 2, co. 1, lett. d) [5]. Il Governo esercitò la delega con il d. l.vo n. 150/2009; esso recava un art. 11 (poi abrogato dal d. l.vo n. 33/2013), il quale cominciava con una definizione: la trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso la pubblicazione sui siti internet istituzionali, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse etc., allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione.

La successiva legge n. 190/2012, contro la corruzione, ha dedicato alla trasparenza un blocco di 21 commi dell’art. 1, dal 15 al 36. La trasparenza, dice il co. 15 (riprendendo quanto già statuito nelle norme precedenti) attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ex art. 117, 2° co, lett. m) della Costituzione; essa “è assicurata mediante la pubblicazione, nei siti web delle amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi in modi facilmente consultabili, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d’ufficio e di protezione dei dati personali”. Sono pubblicati i costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini. A norma del co. 16, i procedimenti, ai quali vengono riferiti i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili di cui sopra, sono quelli di autorizzazione e concessione; di scelta del contraente; di concessione di contributi, sovvenzioni e simili; i procedimenti concorsuali e le prove selettive del personale.

Il d. l.vo n. 33/2013 dà attuazione alla l. n. 190/2012, riordinando la disciplina degli obblighi di pubblicità e trasparenza. All’art. 1, co. 1, riprende il co. 15 dell’art. 1 l. 190/ 2012 (“la trasparenza è intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni …”); all’art. 2 definisce il proprio oggetto: “Le disposizioni del presente decreto individuano gli obblighi di trasparenza concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni e le modalità per la sua realizzazione”. Infine, per quanto qui rileva, all’art. 5 introduce un nuovo istituto,  l’ “accesso civico”. Questo è un punto cruciale, forse il punto cruciale.

4. Come si è più volte osservato, il blocco normativo di cui si va discutendo ha, quale punto ideale di riferimento, il lavoro presso le pubbliche amministrazioni: che, per usare un linguaggio banale, deve essere di alta qualità. “La trasparenza è intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”: così recita l’art. 1, 1°co, del d. l.vo n. 33/2013.

Gli strumenti per raggiungere questo risultato, con cui si concreta l’accessibilità, sono due: da un lato la pubblicazione delle informazioni e dei dati concernenti l’organizzazione e le attività delle pubbliche amministrazioni nei loro siti istituzionali; dall’altro l’accesso civico. Tra pubblicazione e accesso civico vi è una correlazione biunivoca: chiunque può accedere ai dati che devono essere pubblicati.

Che questo sia un grande passo in avanti verso l’apertura delle amministrazioni ai cittadini sembra palese.

È però sufficiente? In altri termini, il sistema pubblicazione-accesso civico è sufficiente a costituire una barriera efficace contro la corruzione?

La risposta non può essere positiva. La pubblicità astratta, vuoi di atti generali, vuoi relativa ad incarichi e retribuzioni del personale, non la tocca. Sarebbe una contraddizione in termini se una forza occulta, che, grazie ai doni ricevuti, è pronta a orientare l’amministrazione in un senso piuttosto che in altro, potesse essere disturbata dalla comunicazione A, B, o C.

In effetti, sembra che il punto di partenza debba essere proprio questo, l’operare occulto della corruzione. Se questa è la sua forza, è anche il suo limite perché alla luce del sole la corruzione semplicemente non ha senso. Per contrastare la corruzione bisogna dunque mettere a fuoco qualche cosa che sia l’opposto dell’occulto e del segreto: in termini un poco immaginifici, la luce del sole. Con un linguaggio più preciso si può dire che alla segretezza si deve opporre e sovrapporre un regime generale di totale pubblicità, accessibilità, conoscenza che riguardi anzitutto i procedimenti in itinere. Se tutte le sedute della commissione aggiudicatrice fossero sempre pubbliche, diverrebbe, se non impossibile, difficilissimo sostenere di fronte alla gente prese di posizione o mutamenti di opinione; se tutti gli atti fossero sempre non semplicemente accessibili a procedimento concluso – come è quasi sempre oggi –, ma sempre aperti, disponibili in ogni momento, si instaurerebbe il vero sistema di controllo civico, grazie al quale diventerebbe estremamente difficile giustificare comportamenti ed atti scorretti.

Difficile, certo. Ma sembra anche l’unica strada per portare alla luce ciò che alla luce muore.

***

L’autore di queste note deve chiedere venia al paziente lettore, giunto fin qui. Vorrebbe infatti chiudere il discorso con le ultime parole della voce Imparzialità della pubblica amministrazione, che nel 1988 aveva scritto nel vol. XV dell’Enciclopedia Giuridica dell’Istituto per l’Enciclopedia Italiana.

Eccole:

veramente necessario è un mutamento del costume. La riservatezza, il segreto d’ufficio, e più in generale l’atteggiamento di chiusura nei confronti dei cittadini debbono cessare, per la ragione tanto banale, quanto perentoria, che non hanno ragion d’essere. L’amministrazione può tacere verso i terroristi, ma non deve temere gli amministrati e tacere con essi; la trasparenza, attraverso l’enunciazione dei fini, dei metodi, dei parametri di valutazione costituisce il primo e fondamentale passo verso l’imparzialità.

Un primo passo è stato fatto. Per combattere la corruzione bisogna continuare.

 

 

 


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Note

1.  Basta leggere il preambolo della l. 12 novembre 2012, n. 190, che adotta una serie di misure per prevenire e reprimere la corruzione: il 1° comma del primo (ed in realtà unico) articolo di questa legge ricorda che nel 1999 era stata firmata a Strasburgo una Convenzione penale sulla corruzione, ratificata con la legge n. 110 del 2012; che nel 2003 l’Assemblea generale dell’ONU aveva adottato un convenzione contro la corruzione, ratificata dall’Italia con la l. n. 116 del 2009.

2.  Non si può non segnalare una ricorrente manifestazione di impotenza della l. n. 190 del 2012. Il suo art. 2 dispone che “dall’attuazione di questa legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”; la stessa frase è ripetuta un gran numero di volte nel corso dell’art. 1, con le sue decine di commi. Non è dato capire come un progetto così impegnativo possa essere realizzato a costo zero.

3.  Ricorre anche il fenomeno inverso: il funzionario corrotto rappresentata falsamente difficoltà ad ottenere un permesso, un’autorizzazione, una concessione ed offre i suoi “servizi” per risolverle. Questo fenomeno è piuttosto concussione.  Ma la famiglia di comportamenti è la stessa.

4. ] Per questa ragione – la presenza di un assetto regolato di interessi e quindi la necessità di rispettarlo – la corruzione può presentarsi anche nei rapporti tra privati.

5.  Il successivo art. 4, co. 2, lett. h) prevedeva la delega al governo per assicurare la totale accessibilità dei dati relativi ai servizi resi dalle p.a. tramite la pubblicità e la trasparenza degli indicatori, attraverso la disponibilità dei dati tramite la rete internet, il confronto periodico tra valutazioni fatte all’interno della p.a. e da associazioni dei consumatori o altri osservatori qualificati. Erano previste azioni in giudizio, di fronte al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva e di merito per i danni provocati dall’omissione di vigilanza. Ancora, si prevedeva un piano triennale per la trasparenza.