Il “processo alla scienza” nella sentenza sul terremoto dell’Aquila
Con riferimento al rischio di minaccia terroristica si dice che un’eventuale organo preposto alla prevenzione potrebbe essere chiamato a rispondere non tanto per non aver previsto il concreto attentato ma semmai per non aver analizzato il rischio in modo adeguato e “in base a tutti i dati disponibili (gravità della minaccia, fonte di provenienza della stessa, pregressa conoscenza del gruppo che aveva preannunciato l’attentato, informazioni dei servizi di intelligence, luoghi di svolgimento della competizione teatro dell’annunciata minaccia, numero di spettatori e di persone coinvolte, individuazione dei possibili punti deboli nei sistemi di sicurezza approntati) allo scopo di predisporre tutte le possibili precauzioni tese a evitare il compimento della minaccia o a ridurne le possibilità di realizzazione o le possibili conseguenze dannose; informando degli esiti dell’analisi svolta, in modo corretto e completo, i responsabili istituzionali della sicurezza pubblica e i destinatari delle minacce per intraprendere le necessarie azioni preventive e determinare il livello di allarme”
Si cita, ancora, l’esempio dell’infarto “nell’elaborare la “carta del rischio”, infatti, il medico non è in grado di prevedere al paziente l’insorgenza di un infarto con riferimento al se, al quando ed al come, così come anche non è in grado di escludere con certezza tale insorgenza, ma si limita ad “analizzare il rischio”, a chiarire l’incidenza e la rilevanza dei singoli indicatori di rischio in relazione a quello specifico paziente ed a individuare cure, modifiche allo stile di vita pregresso o altre misure di precauzione per ridurre il rischio individuato o mitigare gli effetti”[29].
In conclusione, per i giudici aquilani, il rischio si può analizzare e su tale analisi ci si deve basare per predisporre tutte le precauzioni possibili.
- Le illegittimità compiute nella valutazione del rischio
La sentenza procede, quindi, a “verificare se gli imputati, nel corso della riunione, hanno considerato con la dovuta attenzione tutti i dati (di carattere storico, scientifico, statistico e ambientale) dei quali erano a conoscenza; se hanno valutato con il necessario approfondimento tutti gli indicatori di rischio; se, dunque, hanno condotto l’attività di previsione, prevenzione ed analisi dello specifico rischio sismico, loro normativamente imposta, in maniera seria, corretta, approfondita e secondo criteri di diligenza, prudenza e perizia”[30].
E l’analisi si sofferma in primis sulla superficialità con cui viene liquidato il problema delle sequenze sismiche precedenti o delle mappe di pericolosità sismica.
Assai singolarmente, gli stessi membri della Commissione (ma questo prova senz’altro la loro buona fede) avevano pubblicato nel dicembre 2009 un articolo in cui si riportavano i dati secondo i quali il terremoto dell’Aquila era stato ampiamente previsto (si pensi solo che nel 1999 per lo stesso INGV “l’Aquilano viene identificato come una delle quattro aree italiane che hanno la maggior probabilità di essere colpite da un terremoto distruttivo, con una potenziale magnitudo di 6.5 e superiore”[31]).
Un secondo fattore che avrebbe dovuto essere preso in considerazione è quella della vulnerabilità degli edifici: “il patrimonio edilizio della città di L’Aquila è caratterizzato da un centro storico esteso, di origine medioevale ed è costellato di edifici in muratura ed in cemento armato, costruiti prima che entrasse in vigore la legge antisismica n. 64/74 e pertanto non rispondenti ad adeguati criteri antisismici”[32].
Molti dei Commissari avevano personalmente provveduto alla redazione del cd. Rapporto Barberi, ossia il “Censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici, strategici e speciali nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia”, promosso dal Dipartimento Nazionale della Protezione Civile, dal Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, dal Gruppo Nazionale per la Difesa dei Terremoti – Consiglio Nazionale delle Ricerche dal quale emergeva che nella città di L’Aquila, su n. 752 edifici in muratura sottoposti a verifica, n. 555 rientravano nella fascia di vulnerabilità medio – alta, in quanto presentavano “muratura di cattiva qualità con orizzontamenti deformabili o con orizzantamenti rigidi”[33].
Molto interessante è il discorso sul SIGE Sistema Informativo per la Gestione dell’Emergenza, in uso alla Protezione Civile: “il S.I.G.E. è un software realizzato nel 1997 che consente alla Sala Operativa della Protezione Civile, una volta che l’I.N.G.V. ha comunicato i dati di una singola scossa di terremoto (le coordinate dell’ipocentro e la magnitudo), di effettuare una “stima dei danni attesi” in tempo reale”.
Il software di funzionamento del S.I.G.E. opera su “un database di vulnerabilità degli edifici presente per tutti gli 8.000 Comuni italiani … basato sui dati essenzialmente ricavati dal censimento ISTAT”[34].
Orbene “il S.I.G.E. era stato “fatto girare” qualche minuto dopo le ore 03.32 (non appena l’I.N.G.V. aveva comunicato i parametri necessari) e, sulla base dei dati concernenti l’analisi delle caratteristiche di sismicità del territorio, la qualità del patrimonio edilizio, la vulnerabilità delle costruzioni e la densità abitativa,aveva fornito, già “mezz’ora dopo il terremoto”, un’indicazione del “danno atteso” che si è poi rivelata coincidente con i danni effettivamente verificatisi”[35].
In sintesi gli imputati affermano che: a) lo sciame sismico che interessava L’Aquila da circa tre mesi era un fenomeno geologico normale, non pericoloso, non preoccupante; b) la situazione era favorevole perché il progressivo scarico di energia, dovuto al protrarsi dello sciame, allontanava il pericolo di una forte scossa; c) l’unica forma possibile di prevenzione dei terremoti era l’adeguamento sismico degli edifici; d) lo scenario d’evento, in relazione ai danni che c’erano da attendersi, prefigurava danni limitati alle parti fragili e non strutturali degli edifici; e) lo sciame sismico in corso non preannunciava niente e non costituiva affatto fenomeno precursore di un forte terremoto; f) aumenti di magnitudo all’interno dello sciame erano estremamente improbabili; g) i forti terremoti in Abruzzo hanno periodi di ritorno molto lunghi, pari a 2 –3.000 anni, ed era quindi improbabile il rischio a breve di una forte scossa come quella del 1703 pur se non si poteva escludere in maniera assoluta, secondo i giudici aquilani “procedevano ad un’analisi del rischio assolutamente approssimativa, generica ed inefficace”[36].
Note