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Il “processo alla scienza” nella sentenza sul terremoto dell’Aquila

di - 12 Luglio 2013
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E, dunque, sempre con parole della sentenza “la valutazione della condotta posta in essere dagli imputati nel corso della riunione del 31.3.09 non deve, infatti, essere svolta attraverso il ricorso a regole scientifiche o attraverso la verifica della fondatezza di argomenti di carattere scientifico e del grado di condivisione che tali argomenti riscuotono nell’ambito della comunità scientifica. Ai fini del giudizio di responsabilità nel presente processo, non occorre valutare la conformità tra quanto affermato dagli imputati e quanto assunto dalla scienza ufficiale”[20].
E, quindi, più direttamente “non si tratta di “processo alla scienza” ma di processo a sette funzionari pubblici, dotati di particolari competenze e conoscenze scientifiche, chiamati per tali ragioni a comporre una commissione statale, che effettuavano una valutazione del rischio sismico in violazione delle regole di analisi, previsione e prevenzione disciplinate dalla legge”[21].
Infine “il parametro del giudizio sulla condotta degli imputati non è scientifico ma è di tipo normativo. Il giudizio di prevedibilità/evitabilità tipico della colpa, che si basa sulla cristallizzazione di giudizi ripetuti nel tempo, non ha ad oggetto il terremoto quale evento naturalistico non deterministicamente prevedibile e non evitabile; ma ha ad oggetto una attività di valutazione in termini di previsione e prevenzione del rischio, finalizzata alla tutela della vita e dell’integrità fisica, che il legislatore disciplina e demanda alla Commissione Grandi Rischi”[22].
Il punto di arrivo è che se la scienza non può prevedere il terremoto però può valutare il rischio sismico e può fornire gli elementi per una comunicazione corretta.

  1. La possibilità di analizzare il rischio

Cosa intende il giudice penale per valutazione del rischio? Cosa avrebbe dovuto fare la Commissione? Seguendo il ragionamento del Tribunale dell’Aquila essa avrebbe dovuto prevedere che in presenza di date condizioni (ad es. di mancato rispetto della normativa antisismica nella gran parte degli edifici) la probabilità di perdita di vite umane e di lesioni all’integrità fisica sarebbe stata molto alta.
Testualmente la sentenza afferma che “l’evitabilità del danno (intesa come diminuita esposizione alle conseguenze dannose per la salute collettiva e individuale) non va dunque intesa in relazione al mancato allarme (che né gli imputati né nessun altro avrebbe potuto dare poiché la scienza non dispone attualmente di conoscenze e strumenti per la previsione deterministica dei terremoti), ma in relazione alla inidonea valutazione del rischio”[23].
La sentenza chiarisce bene che “il terremoto è un evento naturale non prevedibile, il rischio è una situazione potenziale analizzabile”[24].
Il giudizio che avrebbe dovuto essere compiuto non era tanto in ordine alla probabilità o meno che si realizzasse l’evento terremoto, ma in ordine alle conseguenze che si sarebbero potute verificare in una città come L’Aquila nell’ipotesi in cui il terremoto si fosse verificato.
Come dire che posso non sapere se il Vesuvio erutterà o meno, ma posso ipotizzare che tipo di conseguenze si produrrebbero se il Vesuvio eruttasse.
Ovviamente gli imputati hanno sostenuto esattamente il contrario ossia che “non potendosi prevedere deterministicamente la localizzazione, l’esatta data e la magnitudo di una singola scossa futura, non è conseguentemente possibile analizzare il rischio, con particolare riferimento alle analisi a breve termine”[25].
Per confutare tale tesi la sentenza richiama il precedente della Cassazione riguardante Sarno per la quale “con l’ingresso delle attività di previsione delle varie ipotesi di rischio nelle attività di protezione civile, l’obbligo di prevedere i rischi è entrato a pieno titolo tra i compiti delle pubbliche amministrazioni alle quali sono attribuiti compiti in materia di protezione civile. Ne sono espressione i compiti di previsioni attribuiti agli organi centrali della Protezione Civile previsti dagli articoli 4, 8 e 9 della Legge n. 225/1992…”[26].
Il rischio viene inteso, quindi, come “probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di esposizione ad un determinato fattore o agente pericoloso”[27].
Sempre secondo i giudici dell’Aquila: “il parametro di riferimento nell’analisi del rischio, dunque, non è individuabile in un determinato evento futuro, ma deve essere assunto in relazione alla probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di esposizione ad un determinato fattore o agente pericoloso, dovendosi avere riguardo al livello potenziale di danno raggiungibile ed alle probabilità di raggiungimento di tale livello”[28].
Per spiegare il ragionamento si richiamano, poi, tre esempi indicativi: l’incendio, l’attentato terroristico e l’infarto.
A proposito del rischio di incendio la sentenza afferma che “la previsione del rischio di incendio riguarda invece l’analisi, in senso prognostico, delle possibili circostanze idonee a cagionare un incendio (le attività dell’uomo, la densità abitativa, la stagione, la conformazione orografica e morfologica del territorio, altre situazioni locali che possono aumentarne le proporzioni e la diffusività)  allo scopo di individuare quelle precauzioni che possano evitarne la verificazione in concreto o che possano diminuirne le possibilità di verificazione o diminuirne la propagazione o le conseguenze dannose”.

Note

20.  Cfr. p. 216.

21.  Cfr. p. 217.

22.  Cfr. p. 218.

23.  Cfr. p. 293.

24.  Cfr. p. 294.

25.  Cfr. p. 305.

26.  Corte Cass., n. 16761/2010.

27.  Cfr. p. 306.

28.  Cfr. p. 308.

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