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Il “processo alla scienza” nella sentenza sul terremoto dell’Aquila

di - 12 Luglio 2013
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Il giudice dell’Aquila arriva a tali conclusioni dopo quasi 1000 pagine di motivazione. La sentenza può idealmente suddividersi nei seguenti capitoli: la descrizione del terremoto; la struttura e i compiti della Commissione; le “rassicurazioni” fornite nella riunione dalla Commissione; il concetto di valutazione di rischio; l’analisi caso per caso della situazione delle vittime, le conclusioni.
Nell’ottica dell’amministrativista, e nella prospettiva dell’analisi dei rapporti tra scienza e amministrazione in ordine al rischio ambientale, le parti più interessanti sono quelle relative alle funzioni della Commissione e all’attività di valutazione del rischio ma tali parti non si potrebbero affrontare compiutamente senza aver richiamato l’iter motivazionale della sentenza stessa e, particolarmente, gli elementi di fatto su cui esso si fonda.

  1. La “non eccezionalità” dell’evento lesivo

Avendo la sentenza ad oggetto, sotto il profilo penalistico, l’attività di valutazione del rischio ambientale (nella fattispecie quello sismico) è logico che essa si apra con una serie di dati che portano a concludere non tanto che la scossa del 6 aprile si poteva prevedere quanto piuttosto che non poteva essere considerata un evento del tutto inaspettato.
Il paragrafo secondo della sentenza riporta, infatti, una serie di dati di fatto che portano inequivocabilmente a concludere che la scossa del 6 aprile 2009 (ormai quasi quattro anni fa) di magnitudo 6.3 (IX grado della scala Mercalli) avvenuta alle ore 3.32 nella città dell’Aquila e nelle zone limitrofe (a seguito della quale perdevano la vita 309 persone, si registravano circa 1600 feriti e quasi 10.000 sfollati e veniva evacuato l’intero centro storico oltre a numerosi quartieri periferici[1]), non era e non poteva essere considerata un fatto totalmente imprevedibile.
I dati essenziali sono: la sequenza di scosse preliminari; i terremoti avvenuti in passato; la forte sismicità accertata della zona dell’Aquila; la presenza minima di edifici in cemento armato.
Innanzitutto la sentenza riporta dettagliatamente[2] la sequenza di scosse preliminari iniziate circa un anno prima (il 1 giugno 2008) che avevano preceduto la scossa principale: si era trattato di circa 600 scosse preliminari (con una media di quasi due al giorno) di intensità assai minore di quella principale (la magnitudo di tali scosse preliminari era normalmente oscillante tra 1 e 2 e con rari picchi tra 2 e 3 a fronte dei 6.3 della scossa principale).
Anche l’analisi storica dimostrava che la città dell’Aquila era stata colpita da terremoti di uguale o pari intensità a quello del 6 aprile 2009 in varie occasioni (particolarmente violenti furono i terremoti degli anni 1349, 1461 e 1703[3]).
Vi era poi la qualificazione del territorio dell’Aquila come ad elevato rischio sismico (Comuni di classe II) avvenuta alla luce dei quattro provvedimenti fondamentali che costituiscono la normativa antisismica in vigore nel nostro paese[4].
Peraltro per quei territori le normative antisismiche avevano previsto che potesse, in caso di terremoto, sviluppare un’accelerazione massima del terreno di 0,25g ed effettivamente così risulterebbe essere avvenuto per la scossa del 6 aprile.
Sulla base di questi dati la sentenza conclude quindi “la scossa delle ore 03.32 del 6.4.09 non ha rappresentato un evento anomalo, atipico o eccezionale né alla luce della storia sismica di L’Aquila, né in base alle caratteristiche sismogenetiche dell’area di riferimento, né in relazione al cd. periodo medio di ritorno, né sulla base dei dati evincibili dalle registrazioni accelerometriche, né in termini assoluti, ossia in relazione al panorama mondiale annuale di eventi di uguale intensità”[5].
E che non si trattasse di una scossa anomala o di un evento fuori scala o eccentrico lo prova il fatto che a L’Aquila si è avuto il collasso di una percentuale di edifici in cemento armato inferiore all’1% del patrimonio edilizio complessivo[6].
Peraltro la scossa del 6 aprile di magnitudo 6.3 può essere considerata di intensità media: la sentenza riporta la classificazione dell’istituto sui terremoti americano (Nationale Earthquake Information Center, U.S. Geological Survey) per cui una scossa di magnitudo 6 viene considerata “strong” ma è comunque nella scala a livello mediano (ed infatti i terremoti light sono tra i 4 e i 4.9 e ce ne sono circa 6200 l’anno, i moderate sono tra i 5 e i 5.9 e sono 800, gli strong (come appunto quello dell’Aquila) sono tra i 6 e i 6.9 e sono 120 all’anno; i major sono tra i 7 e i 7.9 e sono 18 all’anno e i great sono 8 o di più e sono 1 all’anno[7]).
La scossa del 6 aprile non può quindi essere considerata in nessun modo atipica o eccezionale.

  1. Dalla “protezione dal danno” alla “protezione dalla minaccia di danno”: l’ingresso della scienza nell’attività amministrativa

Il paragrafo terzo della sentenza si occupa, invece, specificamente della Commissione Nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi.
Si descrive, innanzitutto, quella che si è anticipata come l’evoluzione dall’amministrazione di soccorso all’amministrazione di precauzione, quest’ultima fondata principalmente sulla previsione e sulla prevenzione del rischio.

Note

1.  Cfr. p. 26.

2.  Cfr. pp.28-39.

3.  Cfr. p.43.

4.  Ci si riferisce a: 1) il r.d. 2105/1937 in cui i Comuni italiani vengono distinti in Comuni tranquilli (prima categoria) e Comuni pericolosi (seconda categoria e tra essi L’Aquila); 2) la l. 1684/1962 che prevede particolari prescrizioni costruttive differenziate ovviamente a seconda della sismicità delle zone e del tipo di destinazione degli edifici (edilizia ordinaria o speciale come viadotti e ponti); 3) la l. 64/1974 con ulteriori prescrizioni (particolarmente importanti quelle del Ministero dei Lavori Pubblici del 1996); 4) alcune OPCM (3274/2003 e 3441/2005) e le norme tecniche per le costruzioni del 2008 (p. 51).

5.  Cfr. p.57.

6.  Cfr. p. 58.

7.  Cfr. p.48.

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