Imposta come home page     Aggiungi ai preferiti

 

Nuove frontiere per la responsabilità civile della pubblica amministrazione

di - 2 Maggio 2013
      Stampa Stampa      

Gli studi di sociologia delle grandi organizzazioni da decenni hanno messo in luce che, per poter funzionare, ogni organismo ha bisogno di regole di comportamento cui le persone che lavorano al suo interno si devono attenere. Sono le regole più varie, spesso non scritte. Ad esempio, parlavo tempo fa con un amico che lavora presso la filiale italiana di una grande multinazionale, il quale mi raccontava che certi contratti non possono neppure essere presi in considerazione senza l’autorizzazione della casa madre: c’è una regola interna che dice che contratti di valore superiore a X devono essere autorizzati all’interno dalla società madre senza che ci sia nessuna regola scritta, senza che nulla vieti il non farlo. Ma questo si deve fare, nonostante sia in pieno contrasto con l’autonomia di cui ex lege gode qualunque persona giuridica.

Se voi prendete la legge 241 che ha prima evocato il Presidente Giacchetti, voi non potete non osservare che questa legge detta una serie di criteri che devono guidare l’attività amministrativa. Ma questi criteri che guidano l’attività amministrativa sono puramente e semplicemente i criteri che devono guidare le persone che lavorano nelle pubbliche amministrazioni, per consentire loro di esistere e agire: soltanto i loro comportamenti, le loro decisioni, i loro tempi sono quelli che costruiscono l’azione concreta della pubblica amministrazione.

Io ritengo che ci sia molto lavoro da fare su questo terreno. Per chiarire bene di che cosa si tratta, è utile fermare per un momento l’attenzione sulla violazione di legge. Che cos’è la violazione di legge? Parrebbe essere una scialba figura. Può essere invece diverse cose. Sul piano puramente formale, Tizio ha preso una decisione interpretando la legge X in un modo che poi il giudice amministrativo, interpretando in modo diverso, non condivide. Ma c’è differenza se io mi trovo a dovermi misurare per la prima volta con una legge che devo interpretare, o se mi trovo davanti all’esistenza di conflitti di giurisprudenza, o se addirittura mi prendo la briga di dire “c’è un orientamento giurisprudenziale dominante, ma ritengo di dover procedere diversamente”. In tutti i tre casi il TAR accoglie il ricorso, dichiara illegittimo il provvedimento dell’amministrazione. Sono però tre situazioni assai diverse. Una è quella in cui siamo vicini all’eccesso di potere: se c’è giurisprudenza dominante, perché l’amministrazione la contraddice? Non sta né in cielo né in terra. Ma se c’è incertezza sull’interpretazione della legge, come si fa a dire che c’è illecito civile se si aderisce ad un’interpretazione piuttosto che a un’altra? Dico questo perché qui c’è una “linea di fede”, come si dice in mare, che indica la direzione in cui l’indagine si può svolgere: si può andare a cercare se l’amministrazione, attraverso le persone, ha seguito quelle regole di comportamento, quei criteri che la possono guidare meglio alla decisione che deve assumere. Questo vuol dire che bisogna studiare. È utile a tal fine fermare l’attenzione sull’art. 1, co. 44 della legge anticorruzione n. 190/2012, che sostituisce l’articolo 54 del D.lgs. n.165/2001:

Art. 54. Codice di comportamento. Il Governo definisce un codice di comportamento dei  dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei  fenomeni  di  corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e  servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico”.

Noi dunque già  abbiamo una legge, importante perché il problema della corruzione è gravissimo, che espressamente prevede che il Governo adotti un codice di comportamento per garantire il corretto funzionamento della pubblica amministrazione. A me pare che questa sia un’apertura fortissima per trovare un meccanismo di valutazione dell’attività delle amministrazioni e delle persone che lavorano in essa, in grado di condurre all’identificazione di parametri certi, non arbitrari, per identificare l’illecito civile in cui essa poi incorre. Devo qui dire una cosa che farà ridere il mio amico Giacchetti: mi dispiace, l’ eccesso di potere non è morto! L’eccesso di potere si ripresenta, perché ciò di cui stiamo parlando è l’eccesso di potere in forma viva, cioè non come modello astratto, ma come regola di comportamento violata. Ha quindi una sua oggettività che merita di essere valutata e sindacata come pienezza di giudizio e con la più assoluta serenità di valutazione.

Sento già suonare una critica da parte dell’uditorio. La critica è: ma tu ti sei imbarcato nel parlare di responsabilità da violazione di regole di comportamento nell’applicazione della legge, si noti bene, quando la Corte di Giustizia dice che, in caso di appalti, la semplice violazione della legge è sufficiente per generare responsabilità. La replica è: in primis, le norme in materia di aggiudicazione di appalti, se depurate di tutto quel mostruoso art. 38 del Codice, sono norme che in termini di scelta del contraente lasciano poca discrezionalità in capo alle amministrazioni (sono discrezionali solo le valutazioni dell’offerta tecnica, non di certo dell’offerta economica). Credo che parlare di responsabilità per la semplice violazione della legge abbia un senso perché la legge poteva non essere violata. Se viceversa, si volesse fare una costruzione generale in cui la violazione di legge implica di per sé responsabilità civile della pubblica amministrazione, io non ho nessuna esitazione a dire che la giurisprudenza della Corte di Giustizia è sbagliata. Così non può essere, perché la legge è lo strumento di azione della pubblica amministrazione e non è concepibile che una lettura diversa di una norma rispetto alla lettura datane da qualcun altro costituisca illecito.

Concludo dicendo che questa norma del codice del processo amministrativo è di un’importanza straordinaria, perché riconduce l’operare, l’agire, dell’amministrazione a parametri di partecipazione e condivisione all’interno della società. Ci vorranno anni e anni perché questo diventi costume generale; ma quando ciò sarà accaduto, significherà anche che la gente si sarà abituata ad agire e comportarsi in modo da non provocare danni ai terzi, e quindi a non abusare del potere che in qualche modo ha avuto.

Lì il sistema migliorerà molto, e quindi questo processo farà molto bene all’economia.

*Intervento del Prof. Filippo Satta al Convegno “Economia e diritto amministrativo – Il ruolo del processo e del giudice amministrativo” –  Bari 8-9 marzo 2013

Pagine: 1 2


RICERCA

RICERCA AVANZATA


ApertaContrada.it Via Arenula, 29 – 00186 Roma – Tel: + 39 06 6990561 - Fax: +39 06 699191011 – Direttore Responsabile Filippo Satta - informativa privacy