Il Sistema Nazionale di Protezione Civile: criticità ed eccellenze

Per quanto gli uomini, riuniti a centinaia di migliaia in un piccolo spazio, cercassero di deturpare la terra in cui si accalcavano, per quanto la soffocassero di pietre, perché nulla vi crescesse, per quanto estirpassero qualsiasi filo d’erba che riusciva a spuntare, per quanto esalassero fumi di carbon fossile e petrolio, per quanto abbattessero gli alberi e scacciassero tutti gli animali e gli uccelli, la primavera era primavera anche in città.

Lev Tolstoj, La Resurrezione

 La sicurezza, in senso lato, è una delle questioni importanti che interessa la vita quotidiana di ogni cittadino e riguarda moltissimi aspetti sui quali vi è una precisa responsabilità di “governo”: la viabilità, il lavoro, il governo del territorio, la salvaguardia delle persone e dell’ambiente contro i rischi generati dalla natura o dall’uomo.
Tale responsabilità deve tradursi in efficaci provvedimenti legislativi che organizzino con chiarezza gli specifici compiti della complessa macchina di cui si compone l’Amministrazione Pubblica al fine di prevedere, prevenire e gestire le ipotetiche situazioni di emergenza.
In verità la storia recente indica come l’evoluzione normativa segue, cronologicamente, l’onda emotiva del “dopo catastrofe” e non è, invece, frutto di una strategia ragionata e chiara che consenta azioni di governo calibrate per prevenire ed affrontare al meglio le situazioni emergenziali. Di seguito si riportano gli aspetti salienti di questa organizzazione, evidenziando punti di criticità e punti di eccellenza della complessa macchina della Protezione Civile.

Il Sistema Nazionale di Protezione Civile

Il Servizio Nazionale italiano della protezione Civile è stato istituito dalla Legge 225 del 24 febbraio 1992.
Dopo il terremoto del Friuli del 1976 emerse la necessità di una normativa organica sulla protezione civile, all’epoca regolamentata da una legge del 1970 “Norme sul soccorso a popolazioni colpite da calamità  naturali o catastrofi”.
Tuttavia, le intenzioni di riorganizzazione e riforma per vari anni non si concretizzarono e la problematica fu riconsiderata solo dopo il terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980.
Fino alla legge 225/92 le emergenze erano state gestite tramite Commissari straordinari per l’emergenza, che operavano alle dipendenze della Presidenza del Consiglio.
La legge 225/92 aveva il compito di sostituire una legislazione episodica e scoordinata, che aveva pregiudicato, talvolta sin dal momento delle scelte operative, l’adeguatezza e la piena ed efficace rispondenza degli interventi.
La formula organizzativa scelta dalla legge 225/1992 è stata quella del “Servizio”, ossia di un sistema organico di funzioni e competenze rimesso a più Enti e strutture, ciascuno per le sue competenze, e coordinato da un’autorità centrale, il Dipartimento di Protezione Civile, incardinato nella Presidenza del Consiglio dei Ministri con la possibilità che il Presidente del Consiglio delegasse la direzione del servizio nazionale di protezione civile ad un Ministro senza portafoglio.
L’impianto organizzativo disegnato della Legge 225/1992 è strutturato, di massima, su due livelli.
Un livello di supporto all’attività di direzione e coordinamento, individuato appunto nel Dipartimento di Protezione Civile.
Un livello di operatività allargata, rappresentato da varie strutture centrali e periferiche della pubblica amministrazione: Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, Forze Armate, Forze di Polizia, Corpo Forestale dello Stato, Servizi tecnici nazionali (ora tutti incorporati in ISPRA; salvo il Servizio idrografico e mareografico che è stato trasferito alle Regioni), la Comunità scientifica, la Croce Rossa Italiana, il Servizio Sanitario Nazionale, Regioni, Province e Comuni, il Corpo nazionale del Soccorso Alpino, le organizzazioni di volontariato.
La legge 225/92 si pose il problema di conciliare l’esigenza di un sistema nazionale di protezione civile con il rispetto della autonomia e delle funzioni proprie delle regioni e degli enti locali, e riconobbe quindi Regioni, Province e Comuni quali referenti principali nella individuazione, programmazione ed esecuzione dell’attività di protezione civile. Tuttavia, la recente spinta verso una più forte autonomia degli Enti Locali non ha giovato al delicato equilibrio realizzato dalla legge. Purtroppo vi è stata una forte parcellizzazione  di competenze e di responsabilità fra diversi livelli di Pubbliche Amministrazioni che, se ammesso  in “tempo di pace”, produce forte confusione e sovrapposizione di ruoli in quanto le calamità non agiscono per “competenza” settoriale ma sono per loro natura potenzialmente e fortemente trasversali.
Inoltre alcune materie, quali ad esempio la pianificazione esterna delle aziende a Rischio di incidente Rilevante (c.d. Seveso) e la gestione dei rischi derivanti da attacchi NBCR, vengono trattati con legislazione diversa, di settore.
Di sicuro la legge 225/1992 ha correttamente individuato la necessità di pianificare gli interventi prima dell’emergenza, nonché di effettuare attività di previsione e prevenzione delle calamità. A distanza di venti anni, tuttavia, il livello di conoscenza scientifica non consente ancora, per alcuni eventi, di effettuare delle previsioni puntuali e attendibili ma ha consentito il delinearsi di un quadro, sufficientemente chiaro e preoccupante, di “scenari di rischio probabili” che suggerirebbero, in prima battuta,  monitoraggio,  sorveglianza e vigilanza dei rischi attesi. A fronte di questa analisi manca ancora una seria e completa strategia di prevenzione: non si attuano, se non in maniera episodica, misure di messa in sicurezza del territorio, che ove fossero sistematiche, razionali ed esenti da speculazioni, comporterebbero costi inferiori a quelli connessi alla gestione dell’emergenza e al ripristino. Al contrario, si continuano a considerare gli eventi prevedibili e previsti come “eccezionali” e “straordinari” delineando un quadro di continua emergenza per affrontare il quale si possono stimare costi di ripristino dei danni pari ad oltre il doppio dei costi degli investimenti necessari alla prevenzione.

Proprio a causa di questo modo di intendere il tutto come “straordinario” sono mancate anche alcune attività, definite non strutturali, quali l’allertamento, la pianificazione dell’emergenza, la formazione, la diffusione della conoscenza della protezione civile, l’informazione alla popolazione, l’applicazione della normativa tecnica e le esercitazioni.
Seguendo questa deriva, ed interpretando come emergenza l’organizzazione di grandi eventi che avrebbero potuto trovare ostacoli anche nell’esistenza di competenze sovrapposte a livello nazionale, regionale e comunale, nel corso degli anni sono stati attribuiti al Dipartimento della Protezione Civile la gestione di regate veliche, mondiali di nuoto, ed altre manifestazioni che, essendo state  programmate anni prima, non erano certo qualificabili come “emergenze”.
Analogamente, al Capo Dipartimento della Protezione Civile, sono state attribuite competenze per “emergenze” ( ma non di protezione civile) quali l’emergenza  rifiuti in Campania, l’emergenza beni culturali (scavi di Pompei). In altre parole si è teso a gestire con modalità tipiche dell’emergenza (incontingibilità ed urgenza) anche problematiche ordinarie.
A seguito di note vicende, anche giudiziarie, relative alla gestione del G8 2009 e di altri grandi eventi, e anche a causa delle minori disponibilità finanziarie dello Stato, è emersa la necessità di ridimensionare i compiti del Dipartimento di Protezione Civile.
Anche in questo caso, il legislatore, rispetto ad un passato recente, ha ribadito questi concetti con la legge 100/2012.
Le attività della Protezione Civile vengono, in virtù di tale legge, ricondotte al nucleo originario di competenze definito dalla legge 225/1992; inoltre, vengono ridefinite la classificazione degli eventi calamitosi, le attività di protezione civile, la dichiarazione dello stato di emergenza e il potere d’ordinanza. In questo senso, la legge ridefinisce la prima fase dell’emergenza, ponendo l’accento sul “fattore tempo”.
Gli eventi di tipo “c”, precedentemente definiti come “calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari”, sono ora “calamità naturali o connesse con l’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo (90 giorni con una proroga di 60 giorni).
Lo stato di emergenza può essere dichiarato anche “nell’imminenza” e non solo “al verificarsi” dell’evento calamitoso e prevede, da subito, l’individuazione dell’amministrazione competente in via ordinaria che prosegue le attività, una volta scaduto lo stato di emergenza.
Le ordinanze di protezione civile necessarie alla realizzazione degli interventi per contrastare e superare l’emergenza sono di norma emanate dal Capo Dipartimento della Protezione Civile e non più dal Presidente del Consiglio dei Ministri e i loro “ambiti di interesse”, per la prima volta, sono definiti dalla legge. Le ordinanze emanate entro trenta giorni dalla dichiarazione dello stato di emergenza sono immediatamente efficaci, mentre quelle successive richiedono il concerto del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Viene così annullata la norma della legge n. 10 del 26 febbraio 2011, che introduceva il controllo preventivo del Ministero dell’Economia per quelle ordinanze che prevedevano lo stanziamento o l’impiego di denaro, rallentando di fatto l’entrata in vigore di provvedimenti considerati urgenti e rendendo macchinoso il coordinamento degli interventi, con il rischio di svuotare così “l’operatività” di tutto il sistema di protezione civile.
La legge 10/2011 introduceva altre importanti modifiche alla legge 225/1992 relative al reperimento delle risorse per fronteggiare l’emergenza. Tra queste, quella che è stata definita dai media la “tassa sulle disgrazie”. Si stabiliva infatti che fossero le Regioni a individuare nei propri bilanci i fondi necessari, facendo ricorso anche a tassazioni aggiuntive, fino all’aumento dell’imposta regionale sulla benzina. Una successiva sentenza della Corte Costituzionale (la n. 22 del 16 febbraio 2012) aveva già dichiarato illegittimo questo passaggio della legge 10/2011. La legge 100/2012 ha infine chiarito che lo stato di emergenza viene finanziato con il Fondo nazionale di protezione civile, la cui dotazione è determinata annualmente dalla legge di stabilità. Il Fondo può essere reintegrato anche con entrate derivanti dall’aumento delle accise sulla benzina.
Altri passaggi significativi della legge 100/2012 riguardano le attività di protezione civile. Accanto alle attività di “previsione e prevenzione dei rischi” e di “soccorso delle popolazioni” viene meglio specificato il concetto di “superamento dell’emergenza”, cui si associa ogni altra attività necessaria e indifferibile diretta al “contrasto dell’emergenza” e alla “mitigazione del rischio” connessa con gli eventi calamitosi. Le attività di prevenzione vengono esplicitate e per la prima volta si parla chiaramente di allertamento, pianificazione d’emergenza, formazione, diffusione della conoscenza di protezione civile, informazione alla popolazione, applicazione della normativa tecnica e di esercitazioni. Il sistema di allerta nazionale per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico viene inquadrato in maniera organica, riprendendo così i vari provvedimenti che negli anni hanno disciplinato le attività di allertamento ai fini di protezione civile.
La legge 100/2012 ribadisce poi il ruolo del Sindaco come autorità comunale di protezione civile, precisandone i compiti nelle attività di soccorso e assistenza alla popolazione. Una novità importante riguarda i piani comunali di emergenza, che devono essere redatti entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, e periodicamente aggiornati.
I piani e i programmi di gestione, tutela e risanamento del territorio devono essere coordinati con i piani di emergenza di protezione civile, con particolare riferimento a quelli comunali e ai piani regionali di protezione civile. La legge 100/2012 ribalta la precedente impostazione della legge 225/92, che prevedeva che fossero le attività di protezione civile a doversi armonizzare con i programmi territoriali.

Altre questioni toccate dalla legge 100/2012 che non modificano direttamente la legge 225/1992 riguardano la proprietà della flotta aerea antincendio dello Stato – che passa dal Dipartimento della Protezione Civile (Presidenza del Consiglio) al Dipartimento dei Vigili del Fuoco, Soccorso Pubblico e Difesa Civile (Ministero dell’Interno) – e i grandi eventi, per i quali vengono definiti alcuni dettagli relativi alle ultime gestioni commissariali (tra cui l’Expo di Milano 2015), dopo che la legge n. 27 del 24 marzo 2012 aveva già stabilito che non competessero più alla protezione civile.
In sintesi, la norma di riforma della protezione civile ha determinato:
a) l’esclusione del risarcimento dei danni e della ricostruzione dal novero degli interventi di protezione civile;
b) una compressione della durata dello stato di emergenza e la possibilità di dichiararlo anche in previsione dell’evento;
c) il rafforzamento del ruolo di coordinamento del Dipartimento di Protezione Civile e il trasferimento dei compiti operativi al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed al Ministero dell’Interno;
d) lo snellimento del bilancio del Dipartimento della protezione civile.

Conclusioni

Fra le attività di protezione civile, che sono quelle volte alla:

–          previsione
–          prevenzione delle varie ipotesi di rischio
–          soccorso delle popolazioni sinistrate
–          ogni altra attività necessaria e indifferibile diretta a superare l’emergenza,
si ritiene che solo la previsione ed il soccorso abbiano raggiunto un buon livello di attuazione, mentre più complesso è il percorso per l’attuazione della prevenzione e della ricostruzione-ripristino delle condizioni pre-emergenza.
Quanto sopra asserito appare ovviamente giustificabile, ma solo in parte, con la motivazione che soprattutto l’attività di prevenzione comporta un notevole investimento nel campo delle costruzioni, degli impianti, delle infrastrutture e più in generale della tutela del territorio.
Possiamo affermare che esistono dei settori di rischio che il nostro Paese ha tenuto sotto controllo (tra questi il rischio incendio e il rischio industriale), tramite un’azione capillare di prevenzione svolta in tempo di pace.  Infatti, statisticamente, il numero di vittime e l’importo dei danni economici rapportati al PIL, conseguenti agli incendi, sono inferiori rispetto agli altri paesi europei.
La prevenzione incendi è stata attuata individuando ottanta tipologie di attività soggette al controllo dei Vigili del Fuoco, in cui sono detenute sostanze pericolose (infiammabili o esplosive) o in cui è presente un numero elevato di persone (alberghi, ospedali, impianti sportivi, locali di pubblico spettacolo). Per alcune di queste attività sono state emanate regole tecniche di prevenzione incendi.
Con riferimento invece al soccorso, la localizzazione delle caserme dei Vigili del Fuoco è stata stabilita in modo da raggiungere ogni area del territorio nazionale in un tempo ridotto (20 minuti).
Le competenze acquisite dagli operatori dei Vigili del Fuoco nelle attività di prevenzione e di soccorso si integrano.
Questo esempio virtuoso potrebbe essere utilmente trasposto ad altri settori.