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Il Sistema Nazionale di Protezione Civile: criticità ed eccellenze

di e - 7 Marzo 2013
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Per quanto gli uomini, riuniti a centinaia di migliaia in un piccolo spazio, cercassero di deturpare la terra in cui si accalcavano, per quanto la soffocassero di pietre, perché nulla vi crescesse, per quanto estirpassero qualsiasi filo d’erba che riusciva a spuntare, per quanto esalassero fumi di carbon fossile e petrolio, per quanto abbattessero gli alberi e scacciassero tutti gli animali e gli uccelli, la primavera era primavera anche in città.

Lev Tolstoj, La Resurrezione

 La sicurezza, in senso lato, è una delle questioni importanti che interessa la vita quotidiana di ogni cittadino e riguarda moltissimi aspetti sui quali vi è una precisa responsabilità di “governo”: la viabilità, il lavoro, il governo del territorio, la salvaguardia delle persone e dell’ambiente contro i rischi generati dalla natura o dall’uomo.
Tale responsabilità deve tradursi in efficaci provvedimenti legislativi che organizzino con chiarezza gli specifici compiti della complessa macchina di cui si compone l’Amministrazione Pubblica al fine di prevedere, prevenire e gestire le ipotetiche situazioni di emergenza.
In verità la storia recente indica come l’evoluzione normativa segue, cronologicamente, l’onda emotiva del “dopo catastrofe” e non è, invece, frutto di una strategia ragionata e chiara che consenta azioni di governo calibrate per prevenire ed affrontare al meglio le situazioni emergenziali. Di seguito si riportano gli aspetti salienti di questa organizzazione, evidenziando punti di criticità e punti di eccellenza della complessa macchina della Protezione Civile.

Il Sistema Nazionale di Protezione Civile

Il Servizio Nazionale italiano della protezione Civile è stato istituito dalla Legge 225 del 24 febbraio 1992.
Dopo il terremoto del Friuli del 1976 emerse la necessità di una normativa organica sulla protezione civile, all’epoca regolamentata da una legge del 1970 “Norme sul soccorso a popolazioni colpite da calamità  naturali o catastrofi”.
Tuttavia, le intenzioni di riorganizzazione e riforma per vari anni non si concretizzarono e la problematica fu riconsiderata solo dopo il terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980.
Fino alla legge 225/92 le emergenze erano state gestite tramite Commissari straordinari per l’emergenza, che operavano alle dipendenze della Presidenza del Consiglio.
La legge 225/92 aveva il compito di sostituire una legislazione episodica e scoordinata, che aveva pregiudicato, talvolta sin dal momento delle scelte operative, l’adeguatezza e la piena ed efficace rispondenza degli interventi.
La formula organizzativa scelta dalla legge 225/1992 è stata quella del “Servizio”, ossia di un sistema organico di funzioni e competenze rimesso a più Enti e strutture, ciascuno per le sue competenze, e coordinato da un’autorità centrale, il Dipartimento di Protezione Civile, incardinato nella Presidenza del Consiglio dei Ministri con la possibilità che il Presidente del Consiglio delegasse la direzione del servizio nazionale di protezione civile ad un Ministro senza portafoglio.
L’impianto organizzativo disegnato della Legge 225/1992 è strutturato, di massima, su due livelli.
Un livello di supporto all’attività di direzione e coordinamento, individuato appunto nel Dipartimento di Protezione Civile.
Un livello di operatività allargata, rappresentato da varie strutture centrali e periferiche della pubblica amministrazione: Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, Forze Armate, Forze di Polizia, Corpo Forestale dello Stato, Servizi tecnici nazionali (ora tutti incorporati in ISPRA; salvo il Servizio idrografico e mareografico che è stato trasferito alle Regioni), la Comunità scientifica, la Croce Rossa Italiana, il Servizio Sanitario Nazionale, Regioni, Province e Comuni, il Corpo nazionale del Soccorso Alpino, le organizzazioni di volontariato.
La legge 225/92 si pose il problema di conciliare l’esigenza di un sistema nazionale di protezione civile con il rispetto della autonomia e delle funzioni proprie delle regioni e degli enti locali, e riconobbe quindi Regioni, Province e Comuni quali referenti principali nella individuazione, programmazione ed esecuzione dell’attività di protezione civile. Tuttavia, la recente spinta verso una più forte autonomia degli Enti Locali non ha giovato al delicato equilibrio realizzato dalla legge. Purtroppo vi è stata una forte parcellizzazione  di competenze e di responsabilità fra diversi livelli di Pubbliche Amministrazioni che, se ammesso  in “tempo di pace”, produce forte confusione e sovrapposizione di ruoli in quanto le calamità non agiscono per “competenza” settoriale ma sono per loro natura potenzialmente e fortemente trasversali.
Inoltre alcune materie, quali ad esempio la pianificazione esterna delle aziende a Rischio di incidente Rilevante (c.d. Seveso) e la gestione dei rischi derivanti da attacchi NBCR, vengono trattati con legislazione diversa, di settore.
Di sicuro la legge 225/1992 ha correttamente individuato la necessità di pianificare gli interventi prima dell’emergenza, nonché di effettuare attività di previsione e prevenzione delle calamità. A distanza di venti anni, tuttavia, il livello di conoscenza scientifica non consente ancora, per alcuni eventi, di effettuare delle previsioni puntuali e attendibili ma ha consentito il delinearsi di un quadro, sufficientemente chiaro e preoccupante, di “scenari di rischio probabili” che suggerirebbero, in prima battuta,  monitoraggio,  sorveglianza e vigilanza dei rischi attesi. A fronte di questa analisi manca ancora una seria e completa strategia di prevenzione: non si attuano, se non in maniera episodica, misure di messa in sicurezza del territorio, che ove fossero sistematiche, razionali ed esenti da speculazioni, comporterebbero costi inferiori a quelli connessi alla gestione dell’emergenza e al ripristino. Al contrario, si continuano a considerare gli eventi prevedibili e previsti come “eccezionali” e “straordinari” delineando un quadro di continua emergenza per affrontare il quale si possono stimare costi di ripristino dei danni pari ad oltre il doppio dei costi degli investimenti necessari alla prevenzione.

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