Brevi note sulla vicenda MPS e sul ruolo delle cd. fondazioni bancarie

Sommario: 1. Ipotesi ricostruttive per il superamento delle attuali «difficoltà» di MPS. – 2. Segue: .. valutazioni critiche in ordine al ‘commissariamento della banca’ ed al ‘conferimento di poteri straordinari’ agli organi aziendali. – 3. La tesi della ‘pubblicizzazione’ di MPS. – 4. Il rapporto tra la Fondazione MPS e la banca.- 5. La vicenda MPS nel riferimento al ruolo delle cd. fondazioni bancarie. – 6. Segue: opzioni normative e giuoco competitivo dell’economia globale.

1. La vicenda MPS si colloca al centro di un dibattito nel quale argomentazioni non fondate su validi presupposti tecnici e talora difformi dalle indicazioni della normativa speciale sono sovente strumentalizzate in chiave politico-elettorale. Si delinea, quindi, una realtà sulla quale è d’obbligo fare chiarezza, come recentemente ha sottolineato il Presidente della Repubblica italiana.
Al fine di evitare al «sistema Italia» danni peggiori di quelli rivenienti da una situazione di squilibrio economico-patrimoniale di un primario gruppo bancario, necessita tener distinta la valutazione delle condotte gestionali al vaglio della Magistratura (che si avvale di una stretta collaborazione della Banca d’Italia) dalla identificazione di perdite (cui, ovviamente, si ricollega l’esigenza di rinvenire adeguate soluzioni per il superamento dell’impasse nel quale attualmente versa tale banca). È appena il caso di far presente come il prolungarsi nel tempo di giudizi negativi sul terzo gruppo creditizio italiano potrebbe avere gravi ripercussioni critiche sull’intero settore finanziario italiano; ciò a causa del discredito reputazionale che a quest’ultimo deriva, recando difficoltà ulteriori rispetto a quelle indotte dalla recente crisi finanziaria e dei debiti sovrani.
Pertanto, tralasciando in questa sede ogni questione relativa ai profili penali della vicenda in parola, riteniamo opportuno soffermarci su talune indicazioni fornite (secondo la stampa specializzata) da studiosi e/o politici in merito ai possibili scenari nei quali dovrebbe articolarsi l’intervento pubblico in subiecta materia. Vengono, quindi, in considerazione il ricorso ad un eventuale «commissariamento» ovvero la possibilità di assegnare «poteri commissariali» agli attuali organi aziendali, cui si aggiunge l’ipotesi di una «pubblicizzazione» dell’intero assetto proprietario di tale ente bancario, in vista di una sua successiva riprivatizzazione. Fa da sfondo a dette tesi il riferimento a similari interventi registrabili in taluni Paesi europei (si pensi alla nazionalizzazione della Royal Bank of Scotland), nonché ad alcuni orientamenti comunitari che prevedono «resolution plans» diversi dalle tradizionali procedure di amministrazione straordinaria (v. Proposal for a directive, COM(2012) 280 final).

2. Ciò posto, va ricordato che, a norma del testo unico bancario, la valutazione dei «presupposti» per il commissariamento di una banca è rimessa alla discrezionalità tecnica dell’autorità di vigilanza, che ne accerta l’eventuale sussistenza. Al riguardo, rilevano le indicazioni contenute in una recente precisazione che la Banca d’Italia ha formulato con riferimento all’argomento in parola; da esse è dato desumere che l’Organo di supervisione ha escluso la configurabilità di detti presupposti, laddove appare adeguato e sufficiente nella fattispecie procedere ad «una serrata interazione con il nuovo management aziendale, impegnato nell’attuazione di un ampio piano di ristrutturazione volto a innalzare il grado di efficienza e a ripristinare adeguati livelli redditività» (v. Banca d’Italia, Nota di approfondimento trasmessa al Ministro dell’Economia e delle Finanze, in relazione all’audizione parlamentare del 29 gennaio 2013).
Del resto, detta opzione operativa è ravvisabile fin dal novembre 2011, momento in cui la nominata autorità ha chiesto a MPS una «rapida, netta discontinuità nella conduzione aziendale» e, dunque, la sostituzione dei vertici dell’istituto. Ulteriore conferma della volontà di non avviare la procedura di amministrazione straordinaria è data, poi, dal provvedimento col quale la banca in parola è stata autorizzata ad emettere i cd. Monti bond; operazione che in re ipsa appare destinata a supportare, sul piano tecnico, l’operatività della banca e, dunque, a consentire agli attuali amministratori di superare le difficoltà in cui oggi essa versa. Analogamente appare verosimile che l’autorità di supervisione – proseguendo in una logica di risanamento di tale ente creditizio diversa dal commissariamento -, in linea con prassi già sperimentate nel passato, potrebbe sollecitare, mediante interventi di moral suasion, operazioni di concentrazione tra MPS ed altre istituzioni finanziarie adeguatamente patrimonializzate; verrebbe in tal modo promossa (attraverso l’integrazione con appartenenti al settore) la realizzazione di una entità soggettiva in grado di risolvere definitivamente i problemi che in questo momento affliggono la banca senese.
Sotto altro profilo, si osserva che la rappresentata possibilità di conferire «poteri commissariali» agli attuali organi aziendali di MPS non trova riscontro nella vigente disciplina speciale (donde l’esigenza di un apposito intervento legislativo al riguardo, da considerare tuttavia asistematico). È evidente come tale tesi – finalizzata, negli intenti dei suoi autori, a potenziare il ruolo degli esponenti della banca per aumentare l’incisività della loro azione – appaia inaccettabile allo stato della normativa, risolvendosi in un aggravio del nocivo «rumore» che al presente connota la vicenda MPS. Sfugge a coloro che propongono un intervento siffatto di travisare il ruolo e la funzione propria degli organi commissariali (notoriamente preordinati ad una gestione temporanea volta al recupero dei valori aziendali); è evidente, altresì, l’erroneo convincimento (alla base di detta costruzione) secondo cui l’esercizio dei poteri di questi ultimi possa essere più pervasivo rispetto a quello ordinariamente riconosciuto agli amministratori ed ai sindaci di una banca (laddove, com’è noto, le due tipologie di organi non divergono sul piano delle rispettive possibilità d’azione).

3. Più complessa appare la valutazione relativa ad una ristrutturazione in chiave pubblicistica del capitale dell’ente bancario in osservazione, vuoi che questa sia realizzata tout court previo intervento finanziario dello Stato, vuoi che ad essa si addivenga a seguito della conversione in azioni dei c.d. Monti bond destinati dal legislatore al suo finanziamento.
Al riguardo va preliminarmente considerato che eventuali interventi volti a ripristinare il controllo pubblico di una banca risultano contrari alle opzioni normative della riforma bancaria recata dalla cd. legge Amato (l. 218/90), prima, e dal decreto lgs. n. 153/1999 (cd. legge Ciampi), poi. A tale evento disciplinare si deve la realizzazione di spedite tecniche di patrimonializzazione delle banche e, più in generale, la cessazione di deprecabili forme di burocratizzazione operativa (causa, per lungo tempo, di un inefficiente meccanismo di selezione ed erogazione del credito e, dunque, della mancanza di imprenditorialità nell’agere bancario).
Conseguentemente, l’ipotesi di una partecipazione maggioritaria dello Stato nel capitale di MPS appare anacronistica in quanto negatoria del processo evolutivo del nostro sistema finanziario. Ciò, anche se, nella vicenda MPS, verosimilmente si individua un’inadeguata applicazione dei risultati della riforma legislativa sopramenzionata: a ben considerare, infatti, la privatizzazione della banca non ha dato luogo alla configurazione di assetti organizzativi e di controllo integralmente sottratti all’influenza della politica. A ciò si aggiungano le implicazioni negative di tale realtà a livello di scarsa propensione del mercato nel sostenere eventuali ricapitalizzazioni necessarie per conseguire un riequilibrio tra l’entità del patrimonio e la dimensione operativa della banca.
Passando all’esame degli interventi in corso per il rifinanziamento di tale ente creditizio, viene in considerazione il d. l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni. Il disposto degli artt. da 23 sexies a 23 duodecies di tale decreto prevede la sottoscrizione, da parte del Ministero dell’economia, di «strumenti finanziari… computabili nel patrimonio di vigilanza (Core Tier 1)» in misura tale da conseguire gli obiettivi previsti dall’European Banking Authority (v. Raccomandazione dell’8 dicembre 2011).
A monte di ogni riflessione vanno fugati i dubbi in ordine alla configurabilità, nella fattispecie, di un livello di tassi usurari; eventuali perplessità al riguardo vengono meno in ragione della peculiare struttura dell’operazione (la quale, atteso il suo sostanziale carattere di prestito subordinato, coinvolge il rischio d’impresa), oltreché per la mancata identificazione dei presupposti di applicabilità della legge anti-usura (al presente ancorata ad un livello di tassi più elevato rispetto a quello previsto per i cd. Monti bond, come indicato nel d.m. MEF del 21.12.2012). Sotto altro profilo, va tenuto presente che la convertibilità dei titoli in parola – e, dunque, la conseguente possibilità per lo Stato di diventare azionista di MPS – segna l’apertura verso una eventuale (e differita) nazionalizzazione della banca (peraltro coerente con i criteri ordinatori del «mercato interno» dell’UE); resta ferma, a nostro avviso, l’esigenza di attivare politiche gestionali (della partecipazione) – in linea con un presumibile impegno in tal senso degli amministratori volte ad evitare un controllo (di diritto) da parte dello Stato.

4. Va da sé che alla problematica dianzi prospettata è strettamente connessa la necessità di ridisegnare il rapporto tra la Fondazione MPS e la banca conferitaria da essa derivata.
Rilevano, in proposito, le carenze del sistema di vigilanza sulle fondazioni bancarie, dovute ai limiti del complesso dispositivo vigente in materia (il quale è orientato, in via prevalente, alla verifica delle modalità con cui le fondazioni perseguono gli scopi statutari). Sarà compito del legislatore intervenire, in tempi brevi, al fine di evitare equivoci interpretativi in ordine alle modalità in cui deve dispiegarsi il rapporto tra le c.d. Fondazioni bancarie e le relative società conferitarie. La vicenda MPS sollecita una più compiuta definizione di tale rapporto, si da impedire inaccettabili distonie del processo di riforma in parola – avviato oltre venti anni or sono – che aveva avuto di mira una netta ‘separazione’ tra politica e finanza, quale ineludibile condizione per lo sviluppo economico ed il progresso civile del nostro Paese.

5. Ciò che va poi rimesso al centro dell’attenzione è il ruolo delle fondazioni bancarie e la congruità dell’assetto attuale della loro natura e governance, che – come è evidente – sono rimessi da più parti in questione dopo lo scandalo MPS. Si alternano, al riguardo, letture volte a chiedere il completamento della riforma Ciampi – Visco con la dismissione delle partecipazioni detenute dalle cd. fondazioni bancarie (Boeri, ma anche Alesina e Giavazzi), che si ritiene possa separare al meglio politica e mondo finanziario, con altre letture nelle quali si prospetta l’eventualità di ripubblicizzazione (probabilmente parziale) di tali enti, visti come eccessivamente autoreferenziali e da riportarsi con più decisione ad una logica pubblicistica trasparente perché soggetta a direttive politiche democraticamente discusse (in tal senso v’è un cenno nel recente parere del Consiglio di Stato reso sulla conversione delle azioni privilegiate detenute dalle fondazioni bancarie in CDP, conversione poi disciplinata con disposizioni speciali nel decreto legge c.d. sviluppo bis n. 179 del 2012, convertito in legge 17 dicembre 2012, n. 221).
L’attenzione alla natura giuridica delle fondazioni, in questa chiave, non sembra possa tranquillamente limitarsi ai precedenti formatisi nella risalente e ben nota giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale.
Le casse di risparmio e i monti di pietà nacquero tutti – come è noto – dalla società civile, per iniziativa di gruppi o associazioni di privati, di comunità locali, di istituzioni o associazioni religiose; e mantennero a lungo la natura di istituzioni assistenziali o solidaristiche di natura privata e con un forte rapporto col territorio, tanto da essere per lo più ricomprese, fino quasi alla fine dell’ottocento, nel genus delle opere pie. Non a caso, la loro «sprivatizzazione» coincide per l’appunto con la separazione della loro disciplina da quella delle opere pie (1888) ed è seguita a pochissima distanza dalla trasformazione delle stesse opere pie in istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (1890): riforme che si iscrivono entrambe in una «logica di statalizzazione», «ispirata all’esigenza, avvertita dai governi dopo l’unità d’Italia, di esercitare un controllo centralizzato sulle attività private riconducibili in qualche modo all’esercizio di una funzione pubblica» (Bassanini e Clarich-Pisaneschi).
Se così è – se è vero che la storia delle fondazioni di origine bancarie non si può separare dalla storia delle ex opere pie – si deve allora osservare che mentre per le IPAB, dopo la sentenza della Corte Costituzionale che annullò la legge Crispi del 1890, si procedette dopo il 1988 alla privatizzazione previa analisi caso per caso della natura privatistica o pubblicistica dell’ente, le fondazioni di origine bancaria sono state indistintamente (e forse troppo frettolosamente) tutte privatizzate.
Il punto è che se è vero che nelle casse delle fondazioni bancarie vi è senz’altro – sia pure in parte – pecunia publica, se è vero che le fondazioni sono state a volte qualificate organismi di diritto pubblico a fini dell’evidenza pubblica comunitaria, se è vero che esse sono viste come investitori istituzionali essenziali per la stabilizzazione di un ente a controllo pubblico necessario come la CDP; se esse sono tuttora sottoposte alla vigilanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, allora in qualche modo deve essere sempre considerata tale funzione o ruolo pubblicistico nel completamento del processo di riforma avviato dalla legge Ciampi – Visco e non si deve ignorare che esse hanno origine dal processo di privatizzazione di enti pubblici bancari.
Ne consegue che se si deve tagliare il nodo gordiano dell’attuale assetto delle fondazioni – che prevede una loro presenza, non più ritenuta ulteriormente sostenibile, nel mondo bancario -, ciò andrà fatto dando corso ora (diversamente da quanto avvenne in passato) al procedimento di puntuale ricognizione della loro originaria natura; ciò affinché le risorse recuperate dalla vendita delle partecipazioni delle ex banche pubbliche – ove di origine pubblicistica – siano devolute (almeno in parte) ai futuri processi di riduzione del debito pubblico.
E’ evidente come, in tempi di crisi del Welfare State, il completamento del processo di riforma, realizzato con le cautele tecniche sopra ricordate, potrà rilanciare il c.d. terzo settore, quello delle imprese non profit, che, in assenza di charities di tipo anglosassone, in Italia si è voluto agganciare alla vicenda della privatizzazione delle banche pubbliche.

6. Quanto poi all’eventuale ritorno delle banche pubbliche, esso non può escludersi abbia qualche senso, tant’è che non se ne ha paura in ambito anglosassone; ma naturalmente ogni scelta andrà effettuata non certo al fine di scaricare sui contribuenti i costi del salvataggio di enti decotti (peraltro dovendo ritenersi improprio ogni collegamento tra l’imposizione IMU ed i cd. Monti bond), ma solo dopo aver verificato che nel giuoco competitivo dell’economia globale ha senso dotarsi di alcuni «play­ers» di sistema.
In tal modo nessuno strumento del Krisis management è trascurato o ignorato, si ricorre alla moral suasion quando è necessario ed alla pubblicizzazione degli enti come extrema ratio, ma sempre mantenendo la vista lunga pregiudicata dall’operatività della finanza spregiudicata e da una incontrollata commistione pubblico-privato che finisce nello stesso tempo con l’asservire l’interesse pubblico e negare la logica di mercato.

 

(*) I paragrafi 1, 2, 3 e 4 sono di Francesco Capriglione, i paragrafi 5 e 6 di Giancarlo Montedoro.