Imposta come home page     Aggiungi ai preferiti

 

Governo del territorio: riscriviamo le regole

di - 21 Dicembre 2012
      Stampa Stampa      

La «violenza» dello strumento (e poi quasi l’impotenza) dell’esproprio, si manifesta molto tempo dopo, con gli anni ’70 e ‘80, per poi lasciare il posto, di fatto, a strumenti altri. Ed anche prima delle censure della giurisprudenza europea e della Corte dei diritti dell’uomo alla nostra legislazione sugli espropri.
E’ indubbio che è al contenuto indistinto della forma urbana disegnata dal piano regolatore che si deve la perdita del senso della ricerca morfologica sulla città. L’uso poco critico della tecnica dell’azzonamento di derivazione protofunzionalista (specializzazione dell’uso del suolo, separatezza delle funzioni, etc.) farà il resto: tanto che oggi della condizione di «mixité» sociale, funzionale e morfologica della città ne facciamo uno degli obiettivi fondamentali della pianificazione della città, che deve essere anche sostenibile, equa e «giusta».
In questo modo si è perduta la cultura della città, che tanto aveva segnato la storia nazionale. Si è diseducato alla città, se ne è legittimato il dispregio e lo stesso oltraggio. Ci si è dimenticati della città, bene pubblico, perché sociale.
Oggi la stessa cosa si dice, con molta enfasi e poca concretezza, con l’espressione «bene comune».

2.   Non è azzardato quindi sostenere che, nel mentre la legge del 1942 codifica la pianificazione del territorio e della città, di fatto venga sancita la morte della politica della città, che il fascismo praticò, anche se nella versione «antiurbana». Con l’eccezione delle città di fondazione.
La Repubblica non farà mai politica della città. Si è ritenuto che la pianificazione – meglio la produzione di piani – potesse supplire l’assenza di specifiche politiche del territorio e della città!
Così non è stato. Ogni piano locale si è trovato a combattere una battaglia persa in partenza. Nella solitudine. Cercando di supplire all’assenza di obiettivi di politica della città. La “politica della casa” in luogo di quella della città. Da ciò sono derivati equivoci che hanno portato ad evidenti errori; ad esempio, la confusione tra il «quartiere» e la città: siamo riusciti a costruire quartieri di 60.000 abitanti ed oltre (anche di 100.00 e più abitanti)! Quindi realtà urbane senza base economica propria, semplicemente «aggiungendo», nella speranza che fosse sufficiente il solo aumento della popolazione a sviluppare la città.

3.   Tra le altre confusioni vi è quella della funzione della legge nella politica fondiaria. Si è «raccontato» – e qualcuno lo racconta ancora così – che una sua «buona» applicazione avrebbe taumargicamente contenuto (se non addirittura combattuto con successo) la rendita immobiliare e con essa contrastato la cosiddetta speculazione!
E’ mia profonda convinzione che la validità a-temporale del piano urbanistico e la modalità autoritativa dell’allocazione dei diritti di costruzione, abbiano rafforzato la proprietà e con essa le conseguenze negative che non solo si riteneva di poter contenere, ma addirittura di poter impedire.
Sia che la proprietà fosse privata che pubblica: questa considerazione è oggi facile farla. L’esigenza di valorizzare i demani ed i patrimoni pubblici, seppure maturata abbastanza di recente, mostra come, di fatto, non vi è quasi differenza.
A-temporalità e assenza di vera competizione nell’assegnazione dei diritti edificatori hanno fatto sì che i mali che si vorrebbero prevenire con il piano urbanistico è proprio da questo che sono determinati.
E’ quel piano che ha creato la «lotteria fondiaria» che per molto tempo è stata la pianificazione urbanistica. Con vincitori sicuri di poter sfruttare quando lo ritenevano più opportuno i diritti edificatori conquistati nella lotteria.
Diritti, per di più a lungo confusi nelle previsioni edificatorie, che creavano valore neanche soggetto a tassazione. Se non all’atto di un passaggio di proprietà.
Questo modo di considerare gli interessi – espressi solo in quanto potere fondiario – non ha consentito l’emergere della domanda di città dei soggetti / attori finali della città: le famiglie, i «ménage», i singoli, gli operatori economici diversi da quelli immobiliari. Ha fatto divenire marginale la pianificazione della gestione della città, previo il piano urbanistico. O, per lo meno, ha impedito di includere nel piano urbanistico anche il «management» urbano.
Ha favorito che non si determinasse la diversificazione anche solo funzionale tra le figure degli operatori urbani – il promotore ed il realizzatore -, di fatto  schiacciando il ruolo del promoter / developer. Soprattutto per quanto riguarda la relazione «virtuosa» tra l’ideazione della trasformazione – ritrasformazione e la disponibilità del suolo, che ha finito con il giocare il ruolo di presupposto / pre-condizione per l’operazione di trasformazione.
Da ciò anche la scarsa dinamicità ed innovatività della città italiana (soprattutto nel sistema delle attività / funzioni). E, di conseguenza, la scarsa diversificazione dei «prodotti urbani». Dalla città alle sue componenti.
Malgrado l’obiettivo dichiarato del contrasto dell’inurbamento, quindi della espansione della città, le cose – come è evidente – sono andate ben diversamente.
La stessa cosa è accaduta con la legge 10/1978. Ritenuta la legge concepita per la grande proprietà ed i grandi operatori, di fatto ha segnato l’affermarsi della diffusione insediativa e dell’investimento di taglia ridotta. Quasi del modulo a disposizione della singola famiglia media. Altro che i «sistemi urbani» tanto paventati dagli allarmati ortodossi della «religione della pianificazione». Astratta, ovviamente!
E’ prevalsa la essenza di legge di procedura, sul solco della tradizione pre-colbertiana. Ricordo che per via della esigenza di tassare le “cose” – cioè la proprietà immobiliare -, con Colbert l’urbanistica diventa urbanistica delle “cose”. Antecedentemente, l’urbanistica era disciplina dei comportamenti. Sociali, ma soprattutto di quelli della pubblica amministrazione nei confronti della proprietà.
Nell’essere legge quasi esclusivamente di procedura, in essa si ritrovano principi profondamente liberali. Del resto già presenti nella legislazione urbanistica dello Stato unitario.

Pagine: 1 2 3 4


RICERCA

RICERCA AVANZATA


ApertaContrada.it Via Arenula, 29 – 00186 Roma – Tel: + 39 06 6990561 - Fax: +39 06 699191011 – Direttore Responsabile Filippo Satta - informativa privacy