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Food Security e uso della terra nell’era della globalizzazione: prezzi e speculazione

di - 15 Dicembre 2012
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La volatilità mette in difficoltà l’economia reale perché aumenta l’incertezza e il rischio di impresa; riduce gli incentivi agli investimenti in agricoltura e perciò la stessa produttività. Se dunque gli effetti della volatilità vanno ben al di là del discorso, scarsamente rilevante per le scelte dei paesi sviluppati se non a livello di dichiarazioni retorico/ populiste sui miliardi di persone che vivono con uno o due dollari al giorno, ed essa è la conseguenza della finanziarizzazione delle commodities agricole, ciò che va rivisto è la funzione di tale finanziarizzazione. Il fatto che nei mercati delle commodities agricole e del food siano entrati, e si stiano espandendo, i contratti futures e derivati, è evidentemente il frutto del professato liberismo economico consolidatosi a livello teorico (Friedman e scuola di Chicago) e politico/ pratico (Thatcher, Reagan) negli anni settanta e tuttora imperante. Il fondamento di tale liberismo è la sua capacità, vera o dichiarata o creduta tale, di migliorare l’efficienza del sistema economico globale. In effetti se ciò fosse vero esso andrebbe accettato proprio per pragmatismo e indipendemente da posizioni ideologiche ma così non è e dopo anni di esperienza pratica non è più possibile ritenere in buona fede le dichiarazioni di cieca fiducia nel liberismo sfrenato. Mentre un certo tipo di “speculazione” finanziaria ha dato il suo contributo positivo alla transizione dalle economie agricole arretrate o di sussistenza alle economie agricole capitaliste avanzate, per dirla alla Maddison[5], queste sue forme attuali risultano predatorie senza alcuna valenza positiva in termini di economia reale. Lo speculatore finanziario del passato (imprenditore finanziario), che acquistava grandi quantità di grano in corrispondenza del raccolto, lo conservava nei suoi magazzini e lo rivendeva durante l’anno, contribuiva a far lo smoothing del prezzo necessariamente basso al tempo del raccolto, data l’abbondanza della quantità e necessariamente altissimo con l’avvicinarsi del suo esaurimento. Questo imprenditore finanziario, pur agendo nel proprio interesse, rendeva il grano disponibile durante il ciclo annuale di produzione a prezzi non volatili ma rispondenti alla disponibilità quantitativa. In altri termini, l’acquisto e la conservazione del grano da parte di soggetti che non lo utilizzavano e cioè non lo trasformavano in farina o in pane e pasta e dunque esso non rappresentava la materia prima per la loro attività di produzione – contratti odierni di tipo B – contribuiva a rendere disponibile per tutto l’anno il grano e a prezzi senza picchi estremi legati all’abbondanza e alla scarsità del prodotto in corrispondenza del raccolto annuale e immediatamente prima di quello successivo. In queste circostanze l’efficienza del sistema economico migliora e dunque la “speculazione finanziaria” ha un effetto positivo. Ma la speculazione finanziaria nell’attuale veste di derivati nel mercato delle commodities non solo non migliora l’efficienza del sistema economico ma la “riduce”, impattando negativamente sugli investimenti in agricoltura, aumentando il rischio di impresa, inducendo alcuni paesi ad essere esportatori di cereali pur avendo una popolazione malnutrita (come accadde all’India nel 2000) e costringendo alcuni governi, in seguito a forti e non previste variazioni di prezzi (volatilità, appunto), a costosi interventi pubblici per un minimo di protezione dei consumatori. La speculazione finanziaria in queste circostanze non crea ricchezza ma semplicemente se ne appropria ed è in piena contraddizione con la dichiarazione di Roma del 1996: commercializzazione e monetizzazione in luogo di sicurezza alimentare.[6] Che la volatilità dei prezzi su questi mercati, coincidente con l’ingresso sempre più ampio dei derivati, sia un dato di fatto appare anche dalle ultime rilevazioni e studi del FMI del maggio 2012. Da questi studi emerge come, a guardar dentro il volatile indice dei prezzi delle commodities, si osservino ancor più ampie variazioni nei prezzi dei singoli prodotti. Che tali variazioni scompaiano nell’indice composito neutralizzandosi a vicenda è naturale ma la loro esistenza testimonia come i singoli beni, zucchero e olio per esempio, abbiano subito grandi variazioni da un mese all’altro difficilmente spiegabili con mutamenti nell’economia reale ovvero nelle condizioni dell’offerta e della domanda globali del bene fisico. Per questi organismi internazionali, e soprattutto per la FAO, nei cui obiettivi istituzionali rientra l’analisi dei mercati delle commodities, la speculazione e conseguente volatilità dei prezzi registrate negli ultimi cinque anni, sono destinate a restare.
Su questi incontestabili fatti è impossibile sostenere la ragione dello spinto liberismo economico del quale sembrano ormai affetti tutti i paesi. La difesa di tale liberismo non ha alcuna giustificazione economica se non quella degli interessi delle potenti lobby finanziarie che prosperano sui movimenti dei prezzi. Per il momento le reazioni dei governi sono limitate e del tutto inadeguate ad arginare il fenomeno. La FAO cerca di adottare contromisure per aiutare i paesi meno sviluppati attraverso gli High Food Price Contingengy Plans (HFPCP) del marzo 2011 muovendosi su due livelli. Nel breve periodo con aiuti ai consumatori e alle famiglie degli agricoltori mentre nel medio periodo con aiuti/incentivi agli aumenti di efficienza nella produzione agricola. Ma un Rapporto congiunto da parte dei più importanti organismi internazionali, FAO inclusa, chiede espressamente interventi pubblici regolamentari in assenza dei quali la stabilità socio-politica è minacciata[7]. Di positivo possiamo solo menzionare la notizia di recente acquisizione[8] secondo la quale alcune organizzazioni non governative sarebbero riuscite ad ottenere la rinuncia ai derivati sulle materie prime agroalimentari da parte delle quattro maggiori banche tedesche: Deutsche Bank, Commerzbank, Dekabank, banca regionale del Baden-Wuettenberg. Tutte avrebbero deciso di chiudere o ridimensionare i propri fondi di investimento che usano titoli derivati legati ai prezzi delle materie prime alimentari. Ben vengano azioni volontarie di questo tipo ma i governi non rinuncino al loro ruolo di garanti del benessere sociale.
Torniamo adesso alla prima componente della dichiarazione FAO per la food security e cioè alla disponibilità quantitativa di food. Quando consideriamo questo aspetto di economia reale, la popolazione globale e il suo tasso di crescita sono elementi importanti. Prendiamo atto di una popolazione odierna di 7 mld e 300 milioni destinata a raggiungere i 9/10 miliardi nel 2050 a seconda delle ipotesi sui tassi di fertilità[9].

Note

5.  Angus Maddison, Phases of Capitalism Development, Oxford University Press, 1982.

6.  In fatto di incoerenza con il contenuto della dichiarazione per la sicurezza alimentare va sottolineato ciò che accade nei paesi avanzati, inclusi quelli europei. In questi, la disponibilità e accessibilità al cibo non sta affatto  assicurando una vita attiva e in salute ma procura obesità tra i giovani, oltre ad  accresce molte malattie nella popolazione adulta, tanto da aver portato l’Unione Europea a destinare fondi per la educazione alimentare nelle scuole.  Come dicevamo i nuovi contorni della sicurezza alimentare sono più preoccupanti di 16 anni fa.

7.  Policy Report, “Price Volatility in Food and Agricultural Markets: Policy Responses”, FAO,IFAD, IMF, OECD,UNCTAD, WFP, WTO, WB, IFRI, UNHLTF, giugno 2011.

8.  Federico Rampini, La Repubblica, 20 agosto 2012.

9.  Population Division of the Department of Economic and Social Affairs of the United Nations Secretariat (2011). World Population Prospects: The 2010 Revision. New York: United Nations.

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