Food Security e uso della terra nell’era della globalizzazione: prezzi e speculazione
Gli intrecci tra i mercati delle commodities, dei prodotti agricoli, dei prodotti alimentari e la speculazione finanziaria hanno, tra i molti loro effetti, quello di produrre e/o accrescere, la “volatilità” dei prezzi dei beni alimentari. Tale volatilità mette in pericolo la sicurezza alimentare di tutti i consumatori anche se quelli più poveri dei paesi ricchi e tutti quelli dei paesi poveri, sono evidentemente più colpiti. La campagna per la food security fu lanciata dalla FAO nel 1996 in occasione del World Food Summit di Roma e oggi, a distanza di 16 anni, l’attualità dei suoi contenuti assume nuovi e più preoccupanti contorni e non solo per i paesi meno sviluppati. Il Summit identificò la sicurezza alimentare con le condizioni che consentano a “… tutti di avere accesso fisico ed economico ad un quantitativo di cibo sano e nutriente sufficiente per i loro bisogni dietetici e le loro preferenze alimentari ai fini di una vita attiva e in salute”[1]. In questa definizione si individuano tre componenti. La prima riguarda la disponibilità quantitativa globale ovvero si ha in mente che la produzione globale debba essere quantitativamente adeguata alle necessità della popolazione mondiale, qualunque essa sia; la seconda riguarda l’accessibilità sia fisica che economica e mostra, con la specificazione e l’accento sull’accessibilità fisica, di avere a riferimento soprattutto i paesi meno sviluppati; mentre la terza, riguardando l’uso appropriato in relazione ai valori nutrizionali, richiama proprio le realtà dei paesi avanzati odierni, come accenneremo più avanti. Gli intrecci sono oggettivamente complessi e coinvolgono i problemi legati alla sostenibilità dello sviluppo economico, per la dimensione quantitativa; al commercio internazionale, per la disponibilità; alle condizioni dell’ambiente naturale, della salute umana e ai mercati finanziari, per tutte e tre le componenti. In sintesi, nel food security confluiscono tutti i principali problemi di interazione tra l’economia reale e quella finanziaria odierni. Selezioniamo, come uno dei punti centrali del nostro ragionamento, l’accessibilità economica richiamata nel summit del 1996 e osserviamo i prezzi del cibo negli ultimi 20/22 anni nei documenti FAO. Ciò che colpisce immediatamente, osservando la figura 1 nella quale è riportato l’indice dei prezzi degli alimenti dal 1990, è la relativa stabilità fino al 2007 a cui si contrappone la successiva grande variabilità degli ultimi 4/ 5 anni. Nel 2008 i prezzi salgono molto, ridiscendono nel 2009 tanto da tornare al livello del 2007 e quindi risalgono nuovamente. Si direbbe che qualcosa di nuovo sia avvenuto intorno al 2007/2008 e abbia inciso sulla dinamica dell’indice dei prezzi, trasformandola da (relativamente) stabile in volatile. E il fatto che il prezzo del cibo diventi volatile produce effetti negativi più ampi e di più difficile controllo, di quanto non faccia il loro aumento che pure riduce la sicurezza alimentare[2]. Dal punto di vista dell’economia reale infatti, la volatilità è senz’altro un male mentre dal punto di vista finanziario, essa è un’opportunità di guadagno e per questo i mercati finanziari contribuiscono a crearla. È quindi inevitabile indagare su ciò che è avvenuto in anni così recenti al fine di risalire alle cause di un fenomeno di grande pericolosità per la stabilità socio-politica del global village e tentare di arginarlo. Il fenomeno della volatilità dei prezzi nei mercati agricoli e alimentari ha, per così dire, una data di nascita, il 2007/2008 e ciò risulta non solo dai documenti FAO ma anche da quelli del Fondo Monetario Internazionale. Gli elementi che contribuiscono alla formazione di questi prezzi sono molti e di diversa natura e possono essere distinti in fattori di domanda e di offerta. Tra i fattori derivanti dal lato dell’offerta è chiaro che elementi che la limitino, come le cattive condizioni meteorologiche e la siccità, spingano i prezzi al rialzo e parimenti facciano gli aumenti del costo dell’energia o le barriere doganali ecc. Fattori di spinta al rialzo dal lato della domanda sono chiaramente l’incremento demografico globale, l’aumento del reddito pro-capite, il deprezzamento del dollaro, la produzione di biocarburanti, la finanziarizzazione delle commodities agricole. Evidenti i primi due motivi ed anche il deprezzamento del dollaro che funge da moneta per queste transazioni mentre più discutibile appare l’impatto dell’aumento della domanda di cereali per scopi non alimentari. Certamente l’impulso alla produzione di biocarburanti sembra abbia contribuito più a far aumentare il prezzo del food che a ridurre le emissioni di CO2 derivanti dai carburanti tradizionali tanto è vero che le aspettative di lenire il cambiamento climatico tramite i biocarburanti sono state deluse e che esso costituisce un green paradox[3]. Proprio nel 2007/2008 ben il 4,7% della produzione di cereali è andata in biocarburanti (dati World Bank e FAO) mentre si sono registrate nello stesso periodo spinte alla deforestazione e alla sostituzione di colture. Questi fatti possono spiegare l’aumento dei prezzi ma non la loro volatilità. Se però prendiamo atto della cosiddetta finanziarizzazione delle commodities agricole e ne analizziamo le implicazioni, il discorso cambia nella sostanza. Con tale fenomeno si intende la diffusione dell’uso dei prodotti finanziari derivati basati sulle commodities tipico degli ultimi cinque anni. Gli acquirenti delle commodities, incluse quelle agricole ma anche delle altre come oro e petrolio, sono di due tipi. Società che usano la commodity come materia prima e soggetti che pur domandandola non la usano; la fissazione del prezzo nei contratti a tempo (futuri) che riguardano società del primo tipo, chiamiamoli A, ha la sua logica nella riduzione del rischio di impresa mentre nei contratti che riguardano il secondo tipo di operatori, contratti B, la fissazione del prezzo è proprio ciò che consente di soddisfare lo scopo speculativo che è quello di lucrare sui cambiamenti dei prezzi, all’insu o all’ingiù. Il “fatto” non banale è che proprio le contrattazioni di questo secondo tipo sono raddoppiate negli ultimi cinque anni da quando hanno fatto il loro ingresso nei mercati delle commodities. L’ingresso in questi mercati non è casuale ma ha una sua logica i cui elementi si sono rafforzati proprio recentemente. Data la bassa correlazione tra le commodities e la ricchezza finanziaria, come azioni e obbligazioni, gli investitori sono stati attratti dalle prime proprio per ampliare la diversificazione dei loro portafogli. Inoltre, siccome gli investimenti in commodities hanno un rendimento positivamente correlato con l’inflazione anche motivi di protezione da questo rischio e dalla debolezza del dollaro, hanno spinto in questa direzione. Infine, “financial innovation provided an easy and cheap way …. to gain” [4].
Note
1. FAO, Rome Declaration on World Food Security and World Food Summit Plan of Action, 13-17 novembre 1996↑
2. Per riferirsi alla volatilità con una certa precisione si definisca il rendimento sul prezzo di un prodotto agricolo o di una qualsiasi altra commodity, come Rt = (Pt – Pt-1) / Pt-1. Consistenti variazioni di Rt da un periodo all’altro, in aumento o in diminuzione, danno la misura della volatilità. Per quanto riguarda invece il termine commodity esso sta ad indicare un bene per il quale la domanda viene soddisfatta da un’offerta globale qualitativamente indifferenziata e da ciò originano i prezzi internazionali. Sono commodities risorse e prodotti agricoli di base: carbone, petrolio grezzo, sale, alluminio, oro, caffè, zucchero, riso, semi di soya, grano ed altri.↑
3. Sinn Hans-Werner, “The Green Paradox. A Supply Side Approach to Global Warming”, MIT press, 2012.↑
4. “Speculation and oil price formation”, in Review of Environment, Energy and Economics, 29 febbraio 2012.↑