Prime note sulle misure di liberalizzazione introdotte dal decreto legge n. 1/2012 in tema di compenso delle professioni regolamentate

Sommario: 1. Le professioni regolamentate nel c.d. decreto-legge “cresci Italia”: premessa. – 2. Le nuove previsioni normative in tema di determinazione del compenso professionale: l’articolo 9 d.l. n. 1/2012. – 3. Problemi applicativi nelle liquidazioni da parte di un organo giurisdizionale. ­– 4. Profili di continuità e discontinuità in materia di tariffe professionali dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 c.d. decreto Bersani al decreto-legge n. 1/2012 e successive modificazioni: il caso della determinazione del corrispettivo per servizi di ingegneria e architettura nelle gare pubbliche – 5. Professione e mercato nella giurisprudenza comunitaria: il bilanciamento tra la libertà e tutela degli utenti. – 6. Le tariffe massime: un ostacolo all’accesso al mercato dei servizi legali? – 7. L’asimmetria informativa e le ragioni di tutela del consumatore. – 8. Segue. La posizione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in tema di compenso nei servizi professionali. – 9. La costruzione di un sistema professionale aperto alla concorrenza. Work in progress.

1. Le professioni regolamentate nel c.d. decreto-legge “cresci Italia”: premessa.
Il recente decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1, c.d. “cresci Italia”, contiene un nucleo di importanti disposizioni che incidono sulle professioni regolamentate, e di conseguenza sul rapporto professionista – cliente (ovvero cliente – consumatore).
In particolare, la nuova disciplina introdotta in materia di determinazione dei compensi professionali dall’articolo 9 del predetto decreto-legge rappresenta un osservatorio privilegiato del processo di cambiamento in atto nel rapporto tra professioni e mercato, avviato sulla spinta del diritto comunitario e degli orientamenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
In via preliminare, a testimonianza della forte influenza del diritto comunitario su quello nazionale, vale la pena osservare l’utilizzo della nozione di matrice comunitaria di professione regolamentata, già contenuta nelle norme di recepimento della direttiva unica sul riconoscimento delle qualifiche professionali[1], della direttiva servizi[2] e finanche della direttiva sulle pratiche commerciali scorrette[3]; ciò conferma l’omogeneità nell’utilizzo degli stessi concetti giuridici afferenti ad ambiti concatenati e complementari[4].
Nella definizione generale si ascrivono le professioni intellettuali per le quali l’articolo 33 della Costituzione prevede l’espletamento di un esame di Stato quale mezzo rispetto al fine della tutela dell’affidamento che la collettività e il singolo cliente ripongono in coloro che offrono prestazioni intellettuali, che si caratterizzano per l’attitudine a soddisfare dei bisogni individuali e collettivi rilevanti per l’interesse generale; che ricevono una disciplina nel codice civile, con gli artt. 2229 e ss. (e, quanto alla determinazione del compenso all’articolo 2233 che, già a partire dal 2006 con le prime liberalizzazioni, ha subito importanti modifiche), nelle leggi professionali e nei codici deontologici che si ispirano a principi etici e al decoro della professione[5].
Si delinea uno schema normativo delle professioni intellettuali che prevede la tutela di interessi generali, settoriali e individuali fra di loro interferenti, e una disciplina che è crocevia di regole nazionali e comunitarie dirette a salvaguardare la funzione sociale della professione, la tutela degli utenti del servizio professionale e della concorrenza, il rispetto delle regole del mercato interno dei servizi.
In questa cornice si colloca il decreto n. 1/2012. Con riguardo alla ratio del nuovo intervento normativo sulle professioni può osservarsi che nella relazione allo schema del decreto-legge viene evidenziata la positiva correlazione tra la rimozione dei vincoli normativi e il contenimento della crescita dei prezzi. E, inoltre, viene collegato il venir meno della tariffa minima obbligatoria, già avvenuta nel 2006 con la liberalizzazione dei prezzi, alla flessione degli aumenti degli onorari che si registra negli anni successivi[6]. Pertanto, si legge nel documento che “non appare seriamente dubitabile che la politica di liberalizzazione e di apertura dei mercati, di tutti i mercati dei servizi privati e pubblici, sia possibile ed essenziale per promuovere la crescita del Paese”.
Sembra prevalere una visione “mercantilistica” del servizio professionale e sbiadirsi, in qualche misura, il valore sociale della professione.

2. Le nuove previsioni normative dettate in tema di determinazione del compenso delle professioni regolamentate: l’articolo 9 d.l. n. 1/2012.
In particolare, il citato articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (che ha subito, poi, importanti modifiche nell’iter di conversione in legge), ha espressamente abrogato le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico.
Inoltre, al comma 2 ha stabilito che, ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministro vigilante. Con decreto del Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze sono anche stabiliti i parametri per oneri e contribuzioni alle casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe.
Tali parametri non possono in ogni caso essere utilizzati per la pattuizione del compenso tra professionista e cliente (consumatore o micro-impresa) pena la nullità della relativa clausola ai sensi dell’articolo 36 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (codice del consumo).

Ai sensi del comma 3, il compenso per le prestazioni professionali è pattuito al momento del conferimento dell’incarico professionale. Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell’esercizio dell’attività professionale. In ogni caso, la misura del compenso, previamente resa nota al cliente anche in forma scritta se da questi richiesta, deve essere adeguata all’importanza dell’opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi. L’inottemperanza di quanto disposto nel presente comma costituisce illecito disciplinare del professionista.
Il comma 4 prevede, altresì, l’abrogazione delle disposizioni vigenti che per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe di cui al comma 1.
Una prima lettura della norma evidenzia che all’eliminazione immediata delle tariffe di cui al primo comma, senza distinguo per tutte le professioni, segue la fissazione di obblighi di informazione stringenti in capo al professionista per quanto riguarda il compenso al fine di garantire la trasparenza necessaria per consentire al cliente di compiere una scelta consapevole.
In sede di definizione del testo relativo alla legge di conversione del decreto c.d. “cresci – Italia” è fiorito un intenso dibattito politico ed istituzionale, con la presentazione di numerosi emendamenti (180 circa!) che hanno portato alla riformulazione della norma licenziata dalla Commissione Industria in Senato[7].
In particolare, l’articolo a conclusione dei lavori parlamentari, come sostituito dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27, è orfano della previsione dell’originario apparato sanzionatorio specifico finalizzato a rendere effettive e vincolanti le nuove regole.
Nel nuovo articolo 9 scompare la previsione per cui l’inottemperanza agli obblighi di informazione stabiliti nel comma 3 costituisce illecito deontologico, ed, inoltre, risulta stralciata la sanzione della nullità di protezione per la clausola che nella determinazione del compenso in violazione della legge utilizzi i parametri ministeriali nei contratti individuali tra professionisti e consumatori o microimprese.
Tale rimedio poteva costituire una delle novità più rilevanti della disposizione normativa in argomento, amplificata dalla sua estensione sia al consumatore che alla microimpresa, sul presupposto di una situazione di inferiorità nella trattativa relativa alla fissazione del compenso dell’avvocato. Scelta innovativa poichè la nozione di consumatore secondo la giurisprudenza consolidata si limita alla persona fisica che agisce per scopi estranei alla sua attività professionale.
Ciò non toglie che nel caso di inadempimento del professionista si potranno attivare i rimedi che l’ordinamento già prevede in tema di responsabilità contrattuale, così come non è escluso che possano seguire conseguenze sul piano disciplinare.
Inoltre, nel nuovo comma 4, l’obbligo del preventivo in forma scritta si attenua nella previsione di un preventivo di massima. Tale prescrizione normativa è ritenuta una delle novità principali, un’importante innovazione diretta a rendere chiaro fin dall’inizio nel rapporto tra professionista e cliente il corrispettivo per l’attività da svolgere[8].
Stralci e aggiustamenti sembrano tradire le frizioni tra le istanze corporative e le esigenze di liberalizzazione della misura del “prezzo” del servizio professionale[9] e la difficoltà di adeguarsi al mutato contesto normativo nel quale professionista e cliente, nell’esercizio della loro più estesa autonomia negoziale, concordano l’onorario in funzione delle diverse variabili del caso concreto, liberi dai vincoli delle tariffe, in un mercato aperto alla concorrenza.
Nel nuovo scenario la domanda che si pone è se l’eliminazione delle tariffe professionali, che si propone di promuovere concorrenza e crescita economica, contemperi adeguatamente, le esigenze di tutela del consumatore, parte negoziale “debole” in ragione un dislivello informativo con il professionista tale da esporlo al rischio di selezioni avverse tra prestazioni intellettuali di cui non è in grado di valutarne qualità e valore, che incidono su interessi pubblici (quali l’amministrazione della giustizia, la salute ecc.).
Non può non evidenziarsi l’avvenuto capovolgimento del sistema tradizionale: al binomio asimmetria informativa/regolamentazione del compenso, il legislatore ha contrapposto (almeno in astratto) il binomio liberalizzazione/informazione sul compenso.
Il decreto c.d. cresci-Italia forgia un modello di professionista trasparente e di cliente informato.
Il bilanciamento del sistema si realizza con la previsione legislativa di stringenti obblighi informativi a carico del professionista per consentire al consumatore di compiere una scelta consapevole e responsabile conoscendo in anticipo le spese da sostenere, a conferma della complementarietà di concorrenza e informazione. Ed invero, come rileva autorevole dottrina, entrambi i profili concorrono alla realizzazione del buon funzionamento del mercato: la concorrenza consente una pluralità di scelte e l’informazione la libertà di scegliere in modo consapevole e di comparare le prestazioni offerte sul mercato[10].
In questa prospettiva la novità della disciplina è dirompente in quanto l’eliminazione dei vincoli normativi e deontologici alle tariffe professionali fa perno, tra l’altro, su una figura di cliente (consumatore) attento e informato e perciò capace di superare le asimmetrie informative con il professionista. In conseguenza della ulteriore apertura del mercato dei servizi professionali alla concorrenza viene richiesto, rispetto al sistema previgente, un maggiore dovere di informazione e diligenza in primis al cliente.

3. Problemi applicativi: le liquidazioni da parte di un organo giurisdizionale.
Per le liquidazioni da parte di un organo giurisdizionale, il cd. decreto «cresci Italia», dopo aver disposto l’abolizione delle tariffe (minime e massime), ha previsto che il compenso del professionista vada determinato con riferimento a parametri che saranno stabiliti con decreto del Ministro della Giustizia.
La previsione che investe le liquidazioni giudiziali ha aperto la strada a differenti interpretazioni. In particolare, il Tribunale di Cosenza, in mancanza di una disciplina transitoria relativa al periodo intercorrente tra l’entrata in vigore delle norme e l’adozione da parte del Ministro competente dei nuovi parametri, ritenendo di non avere riferimenti normativi da utilizzare nella liquidazione ha sospeso la decisione relativa alla determinazione delle spese processuali e con ordinanza n. 5299/2011 del 1° febbraio 2012 ha rimesso al vaglio della Corte costituzionale la questione di legittimità delle citate previsioni di cui all’art. 9, commi 1 e 2 del D.L. n. 1/2012, ritenute in contrasto con il principio costituzionale di ragionevolezza della legge[11] e con gli articoli 24 e 3 della Costituzione, in quanto vulnerano il diritto di agire e resistere in giudizio rendendo incerto l’onere delle spese da affrontare nel corso del procedimento e, attribuiscono al giudice tenuto a liquidare gli onorari di difesa una facoltà ampiamente discrezionale, priva di alcun ancoraggio a parametri certi e controllabili[12]. In attesa di questo verdetto, il CNF ha diramato alcune indicazioni in ordine all’applicazione dell’art. 9 sulle tariffe professionali, ritenendo opportuno, in attesa che il Ministero della giustizia elabori i parametri necessari ai fini della liquidazione giudiziale del compenso dell’avvocato il riferimento alla previgente disciplina tariffaria. In sede di prima applicazione della citata disposizione normativa sono insorte difficoltà con riferimento alla redazione dell’atto di precetto, per i quali non si può procedere alla quantificazione attraverso pattuizione – prevista per il cliente – né attraverso l’utilizzo delle tariffe, abrogate.
Sulla questione il Ministro della Giustizia, in risposta ad una interrogazione parlamentare, ha affermato che non si è venuto a creare alcun vuoto normativo. Ciò in quanto ai sensi dell’articolo 2233 del codice civile, il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo tariffe, viene determinato in base agli usi e in mancanza di usi è determinato dal giudice sentito il parere dell’associazione professionale cui il professionista appartiene – in misura adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione. Pertanto, in base a tali disposizioni, “si potrebbe formare in ambito nazionale, un uso normativo fondato sulla spontanea applicazione dei criteri di liquidazione dei compensi già previsti dalle tariffe abrogate, nella convinzione della loro persistente vincolatività fino a quando non saranno adottati i decreti ministeriali previsti dall’articolo 9, comma 2 del decreto legge.”. In mancanza di usi, il giudice potrà liquidare il compenso in base al criterio residuale previsto nell’articolo 2233, le tariffe potrebbero venire in rilievo come criterio equitativo per valutare l’adeguatezza del compenso all’importanza dell’opera e al decoro della professione.
Al problema si è posto rimedio con il comma 3 (già comma 2-bis dell’articolo 9 nella stesura licenziata dalla Commissione industria del Senato), ai sensi del quale le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del decreto continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali e solo fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2 e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge in esame, risolvendo così le notevoli incertezze applicative sorte nei tribunali.
Lo schema di regolamento[13] predisposto dal Ministero della giustizia in ottemperanza al comma 2 dell’articolo 9 citato è in corso di perfezionamento: il Consiglio di Stato ha emesso parere favorevole sul medesimo, esprimendo alcune osservazioni volte ad evitare il rischio che il “parametro” al quale l’organo giurisdizionale si rapporterà in sede di liquidazione si presti a fungere da “tariffa mascherata”.
In tale prospettiva ribadisce che il compenso è unitario e omnicomprensivo: comprende anche le spese; ferma restando la possibilità di indicarle in modo distinto come componente dello stesso[14].
Inoltre, rileva (al punto 3) la necessità di inserire nell’art. 1 del regolamento un nuovo comma che preveda l’obbligo per il professionista di produrre in giudizio il preventivo di massima reso al cliente, e che la mancata produzione, o comunque l’assenza di prova sull’aver fornito il preventivo di massima, costituisca elemento di valutazione negativa da parte del giudice al fine della riduzione del compenso da liquidare.
Particolarmente pregnante è, altresì, la sollecitazione dei giudici di palazzo Spada ad indicare nella disciplina regolamentare soltanto i valori medi dei parametri e ad eliminare qualsiasi riferimento a diminuzione dei parametri fino ad un determinato importo, che possa sortire – anche solo il pericolo – di re-introdurre le abrogate tariffe.
Nell’ottica della trasparenza verso il cliente, il Consiglio di stato invita a redigere i parametri per la determinazione dei compensi delle professioni tecniche con semplicità evitando (in particolare con riferimento alle professioni tecniche) formule di difficile applicazione che possano non essere comprese anche dal cliente del professionista.
Le osservazioni rese dal Consiglio di Stato rafforzano e valorizzano il radicale cambiamento del sistema dei compensi professionali nell’ottica della trasparenza, semplificazione e qualità delle prestazioni.

4. Profili di continuità e discontinuità in materia di tariffe professionali dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 c.d. decreto Bersani al decreto-legge n. 1/2012: il caso della determinazione del corrispettivo per servizi di ingegneria e architettura nelle gare pubbliche.
Come già anticipato dalla relazione governativa, la nuova disciplina si pone nel solco delle incisive misure di liberalizzazione introdotte nell’ambito dei servizi professionali che ne hanno progressivamente mutato il volto. Il legislatore nazionale dal 2006 ha aperto il settore professionale alla concorrenza modificando la legislazione statale e facendo cadere le manifestazioni di autoregolamentazione più restrittive, tra l’altro, in tema di determinazione dei compensi.
Sulla spinta del diritto comunitario, e recependo le indicazioni dell’AGCM, all’art. 2 della legge 4 agosto 2006, n. 248,[15] di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (c.d. decreto Bersani 2006)[16] in conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano con riferimento alle attività libero-professionali e intellettuali: “l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti”[17]. La legge Bersani, inoltre, specificatamente, per le prestazioni relative ai lavori pubblici ha sancito la persistenza delle tariffe quale criterio di riferimento per la determinazione dei compensi professionali (art. 2, comma 2, ultimo periodo).
Infine, al successivo comma 3 ha disposto la nullità delle disposizioni deontologiche contenenti statuizioni in contrasto con la citata abrogazione, in caso di mancato adeguamento (a decorrere dal 1° gennaio 2007).
Il citato decreto Bersani, per un verso, ha segnato l’abbandono dell’obbligatorietà dei minimi tariffari, per l’altro, ha fatto salve “le eventuali tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti”.
Negli ultimi mesi si sono succedute numerose disposizioni in materia di compensi professionali.
Nel decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n. 148[18], il legislatore, tra l’altro, ha affermato il ruolo di mero parametro di “riferimento” delle tariffe professionali, quale regola di base non vincolante utilizzabile dalle parti per negoziare i compensi nell’affidamento dell’incarico e dal giudice, in mancanza di accordo espresso delle parti e/o in caso di contestazione nella determinazione del compenso.
Il tema delle professioni regolamentate e con esso delle tariffe è stato affrontato, poi, nella legge di stabilità 183/2011 che al comma 12 dell’articolo 10 rubricato “Riforma degli ordini professionali e società tra professionisti”, eliminando alcune parti del decreto sviluppo di agosto, impone agli ordini di abbandonare le tariffe massime, non più obbligatorie, anche come mero criterio di riferimento per la determinazione dei compenso[19].
La differenza più rilevante rispetto al sistema previgente risiede nel fatto che l’articolo 9 del d. l. n. 1/2012 ha disposto l’abrogazione delle tariffe e altresì vietato, al comma 5, che le stesse possano essere indicate anche solo quale possibile riferimento per l’individuazione del valore della prestazione.
Le ricadute concrete della norma sono state particolarmente evidenti nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura e all’ingegneria. In particolare, travolte le tariffe è risultata cancellata la possibilità per le stazioni appaltanti di utilizzarle come parametro di riferimento[20], al fine di determinare i corrispettivi delle prestazioni professionali interessate, “ove motivatamente ritenute adeguate”[21], come consentito dalla riforma Bersani e previsto nel codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163 / 2006. Nel nuovo contesto di liberalizzazione, l’AVCP[22], rispondendo ai numerosi quesiti sollevati a seguito del vuoto normativo e delle difficoltà applicative venutesi a creare in relazione alle modalità di individuazione dell’entità del corrispettivo da porre a base di gara per prestazioni di servizi di ingegneria e di architettura, ha sottolineato la necessità che lo stesso sia congruo al fine di garantire, in funzione di salvaguardia dell’interesse pubblico, la qualità delle prestazioni ed evitare maggiori costi e tempi di realizzazione, nonché di riserve e di ricorsi giurisdizionali[23].
In questa prospettiva la citata Autorità ha posto in rilievo che lo stesso articolo 9 del d.l. n. 1/2012, come convertito dalla legge n. 27 del 2012, applicato al settore degli appalti pubblici, comporta innanzitutto che, in ogni caso, gli importi da porre base di gara devono discendere da una corretta analisi della prestazione richiesta. Più nel dettaglio, dal secondo e terzo periodo del comma 4 della norma in parola – in base ai quali il corrispettivo è determinato tenendo conto: del grado di complessità dell’incarico, dell’importanza dell’opera, di tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi – ricava che la determinazione del quantum dell’affidamento deve fondarsi “su una valutazione che utilizzi riferimenti concreti che consentano di: a) assicurare un adeguato svolgimento della prestazione; b) assicurare la qualità del servizio dal momento che, come più volte rilevato, eventuali carenze di questo si ripercuoterebbero inevitabilmente sulla realizzazione dell’opera in termini di valore della stessa e maggiori costi; c) individuare correttamente le modalità di affidamento e la pubblicità da attuare; d) valutare la congruità delle offerte formulate dai partecipanti[24]. Inoltre, conferma che nei documenti di gara deve essere indicata la modalità di calcolo del corrispettivo: in vigenza delle tariffe si trattava delle modalità di applicazione delle stesse, abrogata la possibilità di utilizzo delle stesse si devono, comunque, illustrare le modalità di calcolo del corrispettivo. Ritiene la disposizione di cui all’articolo 264, comma 1, lettera d) del d.P.R. n. 207 del 2010 “rafforzata”.

Ciononostante, l’Autorità non manca di porre nella dovuta prospettiva il vuoto creatosi nelle gare pubbliche, rilevando che le tariffe professionali erano state definite proprio sulla base del grado di complessità dell’incarico, dell’importanza dell’opera e di tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi. Comunque, quale metodo transitorio (in attesa di nuove determinazioni) e alternativo (alle tariffe), l’Autorità dispone che i rup facciano riferimento ai costi sostenuti dalla propria amministrazione, o da amministrazioni consimili negli ultimi anni relativamente alle diverse tipologie ed importi di lavori e di opere individuate nella determinazione n. 5 del 7 luglio 2010 (tabelle 1, 2 e 3 ivi allegate).
Recentemente, l’articolo 5 [25] del decreto-legge n. 83 del 29 luglio 2012, ha inserito un nuovo periodo all’art. 9, comma 2 del citato d.l. n. 1/2012, prevedendo che, ai fini della determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura e all’ingegneria (di cui alla parte II, titolo I, capo IV del d.lgs. 12 aprile 2006), si applicano i parametri individuati con il decreto da emanarsi di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti; con il medesimo decreto sono, altresì, definite le classificazioni delle prestazioni professionali relative ai predetti servizi.
Inoltre, la norma precisa che i parametri individuati non possono condurre alla determinazione di un importo di base di gara superiore a quello derivante dall’applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell’entrata in vigore del presente decreto.
L’articolo 5 del citato decreto-legge ha sanato il vuoto normativo venutosi a creare nella definizione dei corrispettivi delle prestazione delle professioni tecniche da porre a base delle gare d’asta, riproducendo le regole dettate ad hoc per il settore dell’evidenza pubblica. Inoltre, la norma prevedendo, al comma 2, che le tariffe professionali e le classificazioni delle prestazioni vigenti prima della data di entrata in vigore del predetto decreto legge n. 1 del 2012 possano continuare ad essere utilizzate, ai soli fini rispettivamente della determinazione del corrispettivo da porre a base di gara per l’affidamento dei contratti pubblici di servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria e dell’individuazione delle prestazioni professionali fino all’emanazione del regolamento che detterà i nuovi parametri, ha introdotto un regime transitorio.

5. Professione e mercato nella giurisprudenza comunitaria: il bilanciamento tra la libertà e tutela degli utenti.
Con riferimento al profilo comunitario, sembra che il nuovo intervento sia andato oltre il recepimento dei principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria propendendo per una maggiore concorrenza nei servizi professionali con un indebolimento della tutela del consumatore come persona a vantaggio di una considerazione dello stesso come soggetto economico.
La giurisprudenza della Corte di giustizia ha giocato un ruolo propulsore nel processo di apertura della disciplina delle libere professioni al mercato, permettendo di distinguere – come affermato da Francesco Galgano – nella condizione giuridica delle professioni intellettuali, fra ciò che deve essere superato, perchè retaggio di non ammissibili privilegi di casta, e ciò che deve, all’opposto, essere mantenuto perchè connesso alla specificità della prestazione intellettuale[26].
Il primo e fondamentale tassello nel sentiero giurisprudenziale comunitario ormai tracciato in tema di servizi professionali è la ricostruzione dell’attività professionale come attività di impresa, nozione che abbraccia qualsiasi entità che esercita un’attività economica a prescindere dallo status giuridico di detta entità poichè costituisce un’attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato.
Per esempio, la Corte afferma la natura economica della professione dello spedizioniere doganale[27] e, di conseguenza, che il fatto che la suddetta attività sia intellettuale, richieda un’autorizzazione e possa essere svolta senza la combinazione di elementi materiali, immateriali e umani non è tale da escluderla dalla sfera di applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato CE[28].
Da detto presupposto sono derivate evidenti ricadute su diversi aspetti ovvero: la qualificazione degli ordini professionali quali associazioni di imprese, delle tariffe quali misure restrittive della concorrenza e dei codici deontologici quali accordi di imprese. Elementi nuovi e rilevanti.
Sulla base di principi, i giudici europei sono stati più volte chiamati a valutare la compatibilità della previsione da parte degli ordini e collegi professionali di tariffe obbligatorie ed inderogabili per i professionisti iscritti all’albo con il diritto comunitario in quanto idonee a falsare il gioco della concorrenza (in violazione dell’art. 81 lett. a)[29] (ora articolo 101 e ss. TFUE). In particolare, il leading case in materia di minimi tariffari è rappresentato dalla nota sentenza Arduino[30], cui hanno fatto seguito l’ordinanza Hospital Consulting[31] e la sentenza Cipolla e Macrino[32],ed, infine, la sentenza del 29 marzo 2011 che ha posto termine ad una procedura di infrazione avviata su ricorso della commissione europea contro l’Italia[33].

Nella prima causa, la Corte ha chiarito che la procedura di adozione di norme che, sulla base di un progetto stabilito da un ordine professionale, fissino dei minimi e dei massimi per gli onorari, non si pone in contrasto col divieto di intese restrittive della concorrenza tra associazioni di imprese (ex artt. 10 e 81 del Trattato CE oggi artt. 4, n. 3 e 101 del TFUE), a condizione che lo Stato eserciti controlli nell’approvazione della tariffa e nella liquidazione degli onorari. Fissato tale principio ha considerato che, poiché il processo di formazione della tariffa forense italiana non è (era) completamente delegato al CNF, in quanto quest’ultimo esercita un potere di proposta mentre la tariffa è sottoposta al controllo ministeriale e varata nella forma di decreto ministeriale, si qualifica come misura statale a cui non si applica l’art. 85 del Trattato CE.
Nella sentenza Cipolla, la Corte è tornata ad occuparsi della tariffa degli onorari degli avvocati italiani valutata non solo sotto il profilo della conformità con quanto richiesto dal diritto comunitario della concorrenza ma anche dell’art. 49 del Trattato CE (ora art. 56 del trattato TFUE) che garantisce la libera prestazione di servizi.
La Corte rileva che il divieto assoluto di derogare in via pattizia, agli onorari minimi fissati da detta tariffa, previsto dalla normativa italiana rappresenta una restrizione alla libera prestazione dei servizi, in quanto impedisce ad avvocati stabiliti in uno Stato membro diverso dall’Italia di offrire servizi ad un prezzo inferiore a quello stabilito nella tariffa.
D’altra parte la Corte riconosce che tale limitazione della libera prestazione dei servizi può, in via di principio, essere giustificata qualora risponda a ragioni imperative di interesse pubblico quali la tutela dei consumatori e la buona amministrazione della giustizia, purchè sia idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vada oltre quanto necessario al raggiungimento del suo scopo.
A sostegno della rigidità del tariffario, la Corte non ha mancato di osservare che gli avvocati dispongono di un elevato livello di competenze tecniche che i consumatori – in presenza di asimmetria informativa – non necessariamente possiedono, cosicchè questi ultimi incontrano difficoltà nel valutare la qualità dei servizi loro forniti[34].
La Corte ha fornito dei parametri di riferimento lasciando al giudice nazionale il compito di verificare se la normativa italiana di cui trattasi rispondesse effettivamente ai menzionati obiettivi e se le restrizioni da essa imposte non risultassero sproporzionate rispetto agli stessi[35].

6. Le tariffe massime: un ostacolo all’accesso al mercato dei servizi legali?
Infine, cade nel mirino della Commissione europea l’art. 2 della riforma Bersani che fa salva l’obbligatorietà delle tariffe massime a tutela degli utenti, esponendo l’Italia ad una procedura di infrazione che offre interessanti spunti di riflessione[36].
Nella controversia, la Commissione sosteneva che il sistema dei massimi tariffari dissuaderebbe i legali, stabiliti in altri Stati membri, dallo stabilirsi in Italia o dal prestarvi temporaneamente i propri servizi configurando una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 43 e alla libera prestazione di servizi ai sensi dell’articolo 49.
Tale obbligo, a parere della Commissione, non sarebbe idoneo a garantire gli obiettivi di interesse generale e, in ogni caso, apparirebbe più restrittivo di quanto necessario per conseguire detti obiettivi e, pertanto, si tratterebbe di una restrizione ingiustificabile[37].
La Commissione contesta la violazione degli articoli 43 e 49 sotto tre profili: in primo luogo, l’obbligo di calcolare gli onorari in base ad un tariffario estremamente complesso genererebbe un costo aggiuntivo per gli avvocati stabiliti fuori dall’Italia[38]; in secondo luogo, l’esistenza di tariffe massime impedirebbe che i servizi degli avvocati, stabiliti in Stati membri diversi dall’Italia, siano correttamente remunerati ciò in quanto il margine di guadagno massimo è fissato indipendentemente dalla qualità del servizio prestato, dall’esperienza maturata, dalla specializzazione, dal tempo dedicato alla causa, dalla situazione del cliente e dall’eventualità che l’avvocato sia tenuto a spostarsi per lunghi tragitti[39]. Infine, secondo la Commissione, il sistema di tariffazione italiano pregiudica la libertà contrattuale dell’avvocato privando i colleghi stabiliti in altri Stati membri della possibilità di fare offerte ad hoc per situazioni e clienti particolari[40].
L’Italia non ha contestato l’esistenza delle tariffe massime ma il carattere vincolante delle medesime evidenziando come la norma di riferimento, in tema di compenso professionale è l’articolo 2233 cod. civ. che pone quale criterio principale per fissare la misura dell’onorario spettante al professionista quello dell’accordo delle parti e, solo in via sussidiaria, le tariffe professionali, gli usi e la decisione del giudice, che ha carattere residuale[41]. Inoltre, il governo italiano ha sottolineato le numerose deroghe alle tariffe: la possibilità di calcolare gli onorari su base oraria, l’abolizione del divieto di concludere il patto di quota lite, la possibilità di convenire aumenti fino al doppio o al quadruplo delle tariffe, senza che sia necessario alcun parere del consiglio dell’ordine.
La Corte disattende la posizione italiana e riconosce che dall’insieme delle norme italiane risulta ancora l’esistenza di tariffe massime, che continuano ad essere obbligatorie per il caso in cui, fra avvocato e clienti, non sia concluso un patto[42] ma prende le distanze anche dalle prospettazioni della Commissione.

Il giudice europeo rileva che le restrizioni alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione di servizi, di cui rispettivamente agli artt. 43 CE e 49 CE, sono costituite da misure che vietano, ostacolano o scoraggiano l’esercizio di tali libertà [43]. La nozione di restrizione comprende le misure adottate da uno Stato membro che, per quanto indistintamente applicabili, pregiudichino l’accesso al mercato per gli operatori economici di altri Stati membri[44].
La Corte ritiene che l’esistenza di una restrizione non può essere desunta dal solo fatto che altri Stati applichino regole meno severe, nè dalla mera circostanza che gli avvocati stabiliti in altri Stati membri per il calcolo degli onorari per le prestazioni fornite in Italia debbano adeguarsi al sistema di tariffazione italiano, poichè una restrizione esiste “se detti avvocati sono privati della possibilità di penetrare nel mercato dello Stato membro ospitante in condizioni di concorrenza normali ed efficaci”. Alla luce di tali considerazioni, la Corte conclude per l’insussistenza della restrizione lamentata poiché tale effetto o scopo limitativo “non è stato dimostrato” nel caso concreto.
Infatti, la Commissione non è riuscita a dimostrare che la normativa in discussione è concepita in modo da pregiudicare l’accesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al mercato italiano dei servizi professionali. I giudici europei ritengono la normativa italiana sugli onorari degli avvocati caratterizzata da una flessibilità tale da permettere un corretto compenso per qualsiasi tipo di prestazione. E sostengono tale conclusione argomentando che gli onorari possono essere aumentati fino al doppio delle tariffe massime applicabili, per cause di particolare importanza, complessità o difficoltà, o fino al quadruplo per quelle che rivestono una straordinaria importanza, o anche oltre in caso di sproporzione manifesta, alla luce delle circostanze nel caso di specie, tra le prestazioni dell’avvocato e le tariffe massime previste; in diverse situazioni, è consentito agli avvocati concludere un accordo speciale con il cliente al fine di fissare l’importo degli onorari.

7. L’asimmetria informativa e le ragioni di tutela del consumatore.
Nella sentenza in esame la Corte di Giustizia esclude che la disciplina dei compensi professionali (nel sistema riformato nel 2006) rappresenti una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi. Nella motivazione, pertanto, non emerge alcuna valutazione in ordine ai profili di eventuale giustificabilità[45] delle norme controverse, di cui, invece, si rinvengono tracce nell’iter del contenzioso.
Giova evidenziare che la Commissione nel corso della causa pone in risalto lo stretto collegamento tra previsione normativa dei limiti massimi degli onorari dei legali e le ragioni di protezione dei consumatori evidenziandone la fonte ispiratrice nei provvedimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato italiana.
Anche l’Avvocato generale nelle sue conclusioni[46] rileva il ruolo moderatore che la tariffa può svolgere a tutela dei cittadini nell’impedire la fissazione di onorari eccessivi e consentire di conoscere in anticipo le spese legate ai servizi forniti dagli avvocati, tenuto conto, in particolare, dell’asimmetria di informazioni tra avvocati e clienti, caratteristica del mercato dei servizi professionali che, tra le altre, ha sorretto l’esigenza di una regolamentazione delle professioni.
Come illustrato già nella prima indagine conoscitiva sugli Ordini e Collegi professionali effettuata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato[47] nel 1997 il riferimento alle cc.dd. asimmetrie informative è utile ad evidenziare che il professionista conosce il valore delle proprie prestazioni che hanno una natura particolarmente tecnica; invece, in genere, il consumatore è incapace di valutarne l’adeguatezza rispetto alle proprie esigenze per difetto di informazioni e cognizioni. L’asimmetria informativa si verifica ex ante, nella fase di specificazione della domanda indirizzata al professionista, quando il cliente non riesce nemmeno a identificare con precisione il tipo di prestazione che lo spinge a rivolgersi al professionista nè, quindi, a misurare le possibili competenze dello stesso nella soluzione del problema sia ex-post, nella fase di valutazione della attività professionale, quando il cliente non è in grado di identificare le caratteristiche principali della prestazione in concreto ottenuta e la loro reale qualità[48].
Per il consumatore il rischio connesso a tale dislivello informativo e conoscitivo è quello di subire una “selezione avversa” tra servizi di differente qualità, aggravato dalla circostanza che le attività professionali producono un impatto su rilevanti beni giuridici come la salute, l’amministrazione della giustizia ecc.. Nella predetta indagine sul mercato dei servizi professionali a tal riguardo si rileva che l’erogazione delle prestazioni delle professioni liberali non esaurisce i suoi effetti tra i soggetti protagonisti del rapporto giuridico di volta in volta posto in essere ma produce “esternalità positive” che riguardano l’intera collettività (per esempio il medico cura il paziente ma presidia la tutela della salute, l’avvocato difende il proprio cliente ma contribuisce al funzionamento della giustizia ecc.) [49]. In tali casi gli interessi del cliente di ricevere un servizio di qualità adeguata e della collettività che subisce gli effetti esterni positivi di quella prestazione coincidono e contribuiscono entrambi a determinare il valore sociale della prestazione professionale. Da questo punto di vista, la regolamentazione (anche di stampo deontologico) gioca un ruolo essenziale in quanto è orientata affinchè le prestazioni professionali siano volte al perseguimento dell’interesse del cliente e, di conseguenza, per quanto già detto al benessere della collettività nel suo insieme. Tuttavia, sia a livello comunitario che nazionale si sottolinea che per colmare il “deficit conoscitivo” tra cliente e professionista risultano giustificate soltanto le regole deontologiche che tendono ad assicurare la qualità della prestazione professionale, ossia ad introdurre uno “standard” minimo, per cui non possa essere svolto un servizio di qualità inferiore a quello fissato, come la regola dell’esame di stato per selezionare in base alla capacità attitudinali e tecniche, gli aspiranti all’esercizio di una data professione e non altre, come quelle relative a prezzo e pubblicità, che invece sono considerate variabili a disposizione del cliente – consumatore per massimizzare le proprie utilità[50].

Sull’argomento, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ben evidenzia che in un mercato dei servizi professionali caratterizzato dalle asimmetrie informative sopra descritte, in mancanza di regolamentazione, il compenso dei singoli professionisti tenderebbe ad appiattirsi verso il basso, risultando disincentivati a permanere e ad entrare nel mercato i soggetti più qualificati, “secondo una progressione che conduce a situazioni di mercato inefficienti caratterizzate dalla presenza di operatori inadeguatamente qualificati”[51]. Inoltre, in un mercato non regolamentato, il comportamento dei professionisti potrebbe essere guidato da ragioni opportunistiche, individuati in stimoli ingiustificati alla domanda per generare prestazioni non necessarie, un’insufficiente attenzione alla prestazione offerta e/o una dolosa sottoproduzione del servizio richiesto per risparmiare tempo e per ridurre i costi.
Ed, invero, il problema delle asimmetrie informative emerge anche nell’indagine conoscitiva sugli ordini e collegi professionali conclusa nel 2009.

8. Segue. La posizione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in tema di compenso nei servizi professionali.
Nel 2007, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha svolto una seconda indagine conoscitiva nel settore dei servizi professionali (IC34) questa volta con l’intento di verificare la conformità delle disposizioni di natura deontologica e pattizia dei soggetti che svolgono attività professionali ai principi di concorrenza introdotti dal citato decreto Bersani. Nel corso dell’indagine che riguardato i codici deontologici di tredici ordini (e/o collegi), con riguardo, tra l’altro, alla disciplina deontologica relativa alla determinazione dei compensi[52], l’Autorità ha svolto un’intensa attività di advocacy nei confronti degli ordini professionali, affinché questi ultimi modificassero, senza il rischio di incorrere in accertamenti istruttori con esiti sanzionatori, le previsioni deontologiche di cui era stata segnalata la restrittività. Ciononostante sono emerse evidenti le forti resistenze poste da taluni ordini e collegi professionali all’applicazione concreta della riforma e le frizioni tra la regolamentazione restrittiva di matrice deontologica sulla misura dei compensi e il diritto comunitario della concorrenza. In particolare, l’Autorità garante segnala che diversi codici deontologici cercano di superare l’abrogazione dell’obbligatorietà dei minimi tariffari disposta ex lege prevedendo l’obbligo di rispettare il decoro professionale[53]. Giova osservare che i rilievi mossi nell’indagine sull’attuazione deontologica delle innovazioni introdotte dalla riforma Bersani sono stati solo in parte recepiti dal CNF in ragione della specificità della professione forense e della natura delle norme deontologiche.
Il suddetto ente con riferimento al richiamo deontologico ai doveri di dignità e decoro, giudicato troppo generico dall’Autorità, osserva che dal carattere di norma di legge del codice deontologico, affermato recentemente dalla Corte di cassazione, discende la necessità che la norma deontologica sia formulata in relazione al parametro normativo generale che la legittima, alla stregua del quale deve essere valutata la condotta degli esercenti la professione forense[54].
Un altro aspetto saliente dell’indagine in esame attiene alle competenze degli ordini e collegi in tema fissazione di tariffe. Secondo la predetta amministrazione l’obiettivo precipuo delle norme deontologiche dovrebbe essere quello di salvaguardare la qualità delle prestazioni intellettuali secondo criteri che prescindono dal livello del compenso richiesto[55]. Ed, invero, non è dimostrato alcun nesso di causalità tra la determinazione degli onorari minimi, strenuamente difesi dagli ordini professionali anche con le previsioni contenute nei codici deontologici, ed un livello elevato di qualità dei servizi professionali[56]. Pertanto, gli ordini professionali dovrebbero, ad avviso dell’autorità, indirizzare i propri sforzi verso iniziative di formazione e di aggiornamento dei propri iscritti così da innalzare i livelli qualitativi delle prestazioni professionali svincolandoli del livello di compenso richiesto e predeterminato[57]. La qualità della prestazione dovrebbe essere assicurata, altresì, attraverso la predisposizione di best practices che possano costituire un punto di riferimento per il consumatore nella valutazione del servizio professionale fornito.
L’autorità segnala che la fissazione di tariffe produce l’effetto di uniformare i comportamenti di mercato degli iscritti in ordine ad una delle principali forme in cui si esplica la concorrenza, ossia il prezzo di vendita del servizio, ponendo in evidenza, altresì, la natura anacronistica delle medesime in quanto non più funzionali e necessarie a colmare le lacune informative di una domanda, sia quella proveniente dalle imprese che quella proveniente dai singoli consumatori che può considerarsi più qualificata e specializzata che in passato. In questa prospettiva, le tariffe non sono né necessarie né proporzionali: da una parte non sono idonee a garantire la qualità della prestazione del professionista e dall’altra non consentono a quest’ultimo di gestire il proprio comportamento economico. La regolazione di un’attività economica tramite tariffe puó essere giustificata solo se funzionale a sopperire ai fallimenti del mercato oppure a colmare lacune informative pertanto, secondo l’autorità, si giustifica – in via eccezionale – la previsione di prezzi massimi e non anche di prezzi minimi al fine di garantire alla parte minoritaria di domanda non qualificata che i servizi professionali non possano essere offerti a prezzi eccessivamente gravosi.

9. La costruzione di un sistema professionale aperto alla concorrenza. Work in progress.
Tra accelerazioni ed improvvisi cambiamenti di marcia, il nuovo equilibrio tra l’esigenza di libera circolazione delle merci e dei servizi e il diritto degli utenti a determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale in considerazione dei rilevanti beni giuridici su cui le professioni incidono quale il diritto alla difesa, la salute ecc. in passato risolto nel considerare la permanenza delle tariffe massime a protezione degli utenti, risulta con il citato decreto n. 1/2012 affidato ai maggiori obblighi di informazione negoziale che gravano sul professionista intellettuale. La legge sembra aver accelerato il ritmo del processo di cambiamento, da lungo tempo avviato, nel rapporto professioni intellettuali – mercato. La liberalizzazione delle professioni vede rinnovata la centralità del contratto quale fonte di determinazione del prezzo della prestazione d’opera intellettuale ed espansa l’autonomia del professionista non più costretta, a pena di sanzione disciplinare, nelle strette pieghe delle tariffe. D’altra parte il consumatore, purchè sufficientemente informato è chiamato ad essere operatore oltre che beneficiario di un ambiente socio-economico concorrenziale[58] ovvero ad orientare con le proprie scelte la domanda, a confrontare i prezzi, a contemperare la necessità, specie in tempo di crisi, di non spendere troppo con la ricerca dell’avvocato migliore, valutandone il curriculum, la specializzazione ecc. e, naturalmente, a trarre vantaggio da una più grande possibilità di scelta tra le diverse offerte, maggiormente differenziate tra loro, con la nuova normativa, sia per i costi che per le modalità di determinazione dei compensi. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato e gli ordini professionali, ciascuno nel rispetto delle proprie competenze, dovranno vigilare affinchè questo arretramento della protezione amministrativa del cliente consumatore e la parallela massima estensione della autonomia privata non si traduca in un pregiudizio per il cliente, in termini di pratiche commerciali scorrette e pubblicità ingannevole nel primo caso e di qualità della prestazione nel secondo.

Note

1.  D.lgs. 6 novembre 2007, n. 206 di “attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione di Bulgaria e Romania”, pubblicato nella G.U. 9 novembre 2007, n. 261, SO n. 228, all’art. 4, comma 1, lett. a), propone una definizione di professione regolamentata piuttosto dettagliata.

2.  Il D.Lgs. 26 marzo 2010 n. 59, che recepisce l’importante direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno riprende la definizione di professione regolamentata resa in materia di qualifiche professionali. Infatti, l’art. 8 lett. m) del decreto in parola la definisce come «un’attività professionale o insieme di attività professionali, riservate o non riservate, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206.

3.  Cfr. D.lgs. 2 Agosto 2007 n. 146, recante “Attuazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE, 2002/65/CE, e il Regolamento (CE) n. 2006/2004”, in G. U. Serie generale, 6 settembre 2007, n. 207 introduce la definizione di professione regolamentata all’art. 18, comma 1, lett. n), del codice del consumo. Sia consentito rinviare per l’approfondimento della nozione giuridica di professione regolamentata e per i riferimenti alla giurisprudenza a alla casistica dei provvedimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato a L. Minervini, sub art. 18, comma 1, lett. n), in Le modifiche al codice del consumo, Giuffrè, Torino, 2009.

4.  Conviene precisare, alla luce della disamina della definizione di professione regolamentata che «Nel nostro ordinamento ciò che acquista precipuo rilievo giuridico ai fini della regolamentazione, ossia dell’insieme delle condizioni legali prescritte per l’esercizio di una data professione, è l’istituzione di un albo professionale, inteso quale strumento attraverso il quale il libero professionista consegue quello speciale status giuridico che lo legittima all’esercizio dell’attività professionale (…); di contro, da punto di vista del diritto comunitario, ciò che acquista rilievo è quel particolare aspetto della regolamentazione che consiste nel subordinare l’accesso o l’esercizio dell’attività in questione al possesso di un determinato diploma». Così testualmente Porcelli G., Il lavoratore autonomo e le professioni non protette, in Trattato di diritto privato europeo a cura di N. Lipari, II ed., I, Cedam, Padova, 2003, 601.

5.  La disciplina è contenuta nel codice civile al Capo II, Titolo III, del Libro V, rubricato «Delle professioni intellettuali». Per un approfondimento del tema, ex plurimis Lega C., Le libere professioni intellettuali nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974, Della Cananea, L’ordinamento delle professioni, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Milano, 2003. Masucci T., Le professioni protette. L’associazione tra professionisti, in Trattato di diritto privato europeo a cura di N. Lipari, II ed., I, Cedam, Padova, 2003, 8 ss.; Tacchi, voce Professioni. I) Professioni, arti e mestieri (dir. amm.), in Enc. giur. Treccani, XXIV, Roma, 1991., 1 ss.

6.  Viene evidenziato che gli onorari dei commercialisti, (tracciati per atto-tipo), sono risultati in flessione, nei loro ritmi di crescita, nel biennio 2009-2010. Questa circostanza è ricondotta dall’Autorità al fatto che l’Ordine dei commercialisti si sarebbe adeguato ai rilievi formulati dalla medesima in merito alla portata restrittiva di alcune norme del codice deontologico relative alle tariffe che ponevano ostacoli alla libera determinazione dei compensi. L’adeguamento è avvenuto nel 2008 e nel 2009 si sono constatati gli andamenti dei prezzi di questi servizi sempre meno accentuati fino ad allinearsi con il tasso medio d’inflazione. Secondo l’Antitrust, diversa sarebbe la situazione degli avvocati. In questo caso, facendo riferimento a dati che partono dal 2000, si registrano andamenti chiaramente connessi con la fissazione autoritativa delle tariffe e comunque ben al di sopra della media dell’inflazione, almeno fino all’abolizione delle tariffe minime avvenuta con DL n.223/2006. Da questo momento in poi, la libertà nella fissazione dei prezzi ha consentito un evidente rallentamento della dinamica di crescita

7.  Nel corso dell’esame del disegno di legge (S.3110) in Commissione Industria, che si è concluso il 28 febbraio 2012, sono stati presentati numerosi emendamenti relativi all’art. 9 del D.L. n. 1/2012; dopo la consueta discussione in assemblea il citato disegno di legge è stato approvato dal Senato il 1° marzo u.s e trasmesso alla camera il giorno successivo. Il disegno di legge (C. 5025) di conversione del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, è stato approvato in via definitiva il 22 marzo u.s. e convertito, con modificazioni, nella legge del 24 marzo 2012, n. 27 pubblicata in Gazz. Uff. n. 71 del 24 marzo 2012.

8.  Cfr. Parere del Consiglio di Stato 5 luglio 2012, n. 3126.

9.  Cfr. Ticozzi M., Autonomia contrattuale, professioni e concorrenza, Collana del Dipartimento di Scienze giuridiche, Università degli Studi CA’ Foscari – Venezia, CEDAM, 2007, 73 ss.. La giurisprudenza riteneva la regola dell’obbligatorietà della tariffa professionale, già prima delle intervenute modifiche legislative, come posta a tutela degli interessi della categoria professionale ad evitare un illecito accaparramento della clientela. Non era ritenuta una previsione strumentale alla realizzazione di un interesse generale riferibile alla collettività, come, per esempio, per la regola che impone l’obbligatoria iscrizione all’albo professionale, e per tale ragione i giudici hanno ritenuto sul piano civilistico valido il patto che vi derogava, ferma restando la responsabilità del professionista sotto il profilo disciplinare. Cass., sez., Un., 19 settembre 2005, n. 18450, in foro it., 2006,I. Ed, invero, il contratto di prestazione d’opera intellettuale come noto è un “contratto sinallagmatico di scambio tra prestazione d’opera intellettuale e corrispondente compenso”. L’onerosità nel contratto di prestazione d’opera intellettuale è un elemento disponibile per le parti. La Corte di cassazione (sent. 17 agosto 2005, n. 16966 ha affermato che “al professionista è consentita la prestazione gratuita della sua attività professionale per i motivi più vari che possono consistere nell’affectio nella benevolentia o in considerazioni di ordine sociale o di convenienza, anche con riguardo ad un indiretto vantaggio”.

10.  Cfr. Il rapporto tra la tutela della concorrenza e la tutela dei consumatori (M. Sandulli – D. Spagnuolo) nel Rapporto sul Consumerism 2009, curato da Consumers’ Forum in collaborazione con l’Università degli studi di “Roma Tre”, pubblicato sul sito: http//www.consumersforum.it/..

11.  Sotto il profilo della intrinseca incoerenza, contradditorietà e illogicità rispetto al vigente ordinamento che impone di liquidare senza dilazione gli onorari di difesa.

12.  Cfr. Anna Costagliola, Abolizione delle tariffe professionali: sollevata questione di legittimità costituzionale dal Tribunale di Cosenza in www.diritto.it

13.  Il Ministero della giustizia ha chiesto il parere in ordine allo schema di “regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27″.

14.  Punto 2 del parere del consiglio di stato n. 3126 del 5 luglio 2012 ove l’alto consesso suggerisce di modificare l’articolo 2 del regolamento emanando.

15.  (decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 legge 4 agosto 2006, n. 248) in Gazz.Uff. 11 agosto 2006 n. 186.

16.  Gazz. Uff., 4 luglio, n. 153.

17.  Nella sentenza 21 dicembre 2007, n. 443 la Corte Costituzionale ritiene infondate le questioni di legittimità costituzionale della lettera a) del comma 1 dell’art. 2 del decreto Bersani, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. promosse dalle regioni Veneto e Sicilia chiarendo l’appartenenza delle norme censurate alla materia «tutela della concorrenza». Al punto 6.1. si legge: La norma, nell’abrogare le disposizioni che prevedono «l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti», tende a stimolare una maggiore concorrenzialità nell’ambito delle attività libero-professionali e intellettuali, offrendo all’utente una più ampia possibilità di scelta tra le diverse offerte, maggiormente differenziate tra loro, con la nuova normativa, sia per i costi che per le modalità di determinazione dei compensi. Essa, pertanto, attiene alla materia «tutela della concorrenza», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.”(…) anche una disposizione particolare e specifica, purché orientata alla tutela della concorrenza, si pone come legittima esplicazione della potestà legislativa esclusiva dello Stato in subiecta materia. Se si ritenessero legittime le norme a tutela della concorrenza… a condizione che le stesse abbiano un carattere generale o di principio, si finirebbe con il confondere il secondo e il terzo comma dell’art. 117 Cost., ispirati viceversa ad un diverso criterio sistematico di riparto delle competenze. Ciò è ancor più evidente in materie, come la «tutela della concorrenza» o la «tutela dell’ambiente», contrassegnate più che da una omogeneità degli oggetti delle diverse discipline, dalla forza unificante della loro funzionalizzazione finalistica, con i limiti oggettivi di proporzionalità ed adeguatezza, più volte indicati da questa Corte (da ultimo, sentenze n. 430 e n. 401 del 2007). Una illegittima invasione della sfera di competenza legislativa costituzionalmente garantita alle Regioni, frutto di eventuale dilatazione oltre misura dell’interpretazione delle materie trasversali, può essere evitata non(…) tramite la distinzione tra norme di principio e norme di dettaglio, ma con la rigorosa verifica della effettiva funzionalità delle norme statali alla tutela della concorrenza. Quest’ultima infatti, per sua natura, non può tollerare differenziazioni territoriali, che finirebbero per limitare, o addirittura neutralizzare, gli effetti delle norme di garanzia. Cfr. GAFFURI V., Le professioni intellettuali tra regolazione nazionale e concorrenza comunitaria davanti alla Corte Costituzionale, in giurisprudenza italiana 2008, 1373 ss.

18.  Tuttavia, occorre segnalare che le tariffe restano richiamate dalle successive disposizioni della lett. d), co. 5, dell’art. 3, D.L. 13 agosto 2011 n. 138, convertito con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011 n. 148, nei casi di liquidazione giudiziale, quando il committente è un ente pubblico ovvero quando la prestazione professionale è resa nell’interesse dei terzi. Art. 28, L. novembre 2011, n. 183 (G.U. 14 novembre 2011, n. 265, S.O. n. 234/L) .

19.  L. 12 novembre 2011, n. 183 (G.U. 14 novembre 2011, n. 265, S.O. n. 234/L) Art. 10 rubricato”Riforma degli ordini professionali e società tra professionisti” al comma 12 recita: All’articolo 3, comma 5, lettera d), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, le parole: «prendendo come riferimento le tariffe professionali. È ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe» sono soppresse.

20.  La disciplina relativa alla determinazione del corrispettivo per le attività di servizi di ingegneria e architettura è stata modificata in ottemperanza alla c.d. “legge Bersani”. L’Autorità con determinazione n. 4/2007 aveva affermato che “le stazioni appaltanti potevano, comunque, legittimamente determinare il corrispettivo a base d’asta utilizzando il D.M. 4 aprile 2001 (“Aggiornamento degli onorari spettanti agli ingegneri e agli architetti”), ove motivatamente ritenuto adeguato, indicazione poi recepita dal d.P.R. n. 207 del 2010. Inoltre, il secondo decreto correttivo del Codice (d.lgs n. 113 del 31 luglio 2007) ha eliminato l’ultima parte del comma 2 dell’articolo 92 dello stesso d.lgs. n. 163 del 2006, che sanciva l’inderogabilità dei minimi tariffari e la nullità di ogni patto contrario, mentre il terzo decreto correttivo (d.lgs n. 152 dell’11 settembre 2008) ha soppresso il comma 4 del medesimo articolo, il quale richiamava espressamente la disposizione dell’articolo 4, comma 12-bis, del d. l. 2 marzo 1989, n. 65 (convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 1989, n. 155).

21.  Cfr. art. 92, comma 2, secondo cui “i corrispettivi di cui al comma 3 possono essere utilizzati dalle stazioni appaltanti, ove motivatamente ritenuti adeguati, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dell’importo da porre a base dell’affidamento”. Di conseguenza il d.P.R. n. 207 del 2010 prevede, all’articolo 262, comma 1, che “Le stazioni appaltanti possono utilizzare come criterio o base di riferimento i corrispettivi di cui al comma 2, ove motivatamente ritenuti adeguati”. Inoltre, in numerose disposizioni il Codice dei Contratti Pubblici e il Regolamento fanno riferimento alle classi e categorie di cui all’articolo 14 della legge n. 143 del 1949 al fine di determinare i requisiti richiesti ai professionisti per partecipare alle gare nonché le modalità di prova. L’Autorità ha, quindi, elaborato le tabelle n. 1, n. 2 e n. 3, allegate alla determinazione n. 5 del 27 luglio 2010, nelle quali è stato costruito un prospetto, a più livelli, per fornire alle stazioni appaltanti una linea guida.

22.  Cfr. determinazione n. 49 del 3 maggio 2012 avente ad oggetto “quesiti in merito ai servizi di architettura ed ingegneria a seguito dell’entrata in vigore del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27”

23.  Si legge nella determinazione in argomento che le stazioni appaltanti, nella determinazione dell’importo a base di gara per l’affidamento dei servizi di ingegneria, “non possono limitarsi ad una generica e sintetica indicazione del corrispettivo, ma devono indicare con accuratezza ed analiticità i singoli elementi che compongono la prestazione ed il loro valore”. L’importo a base di gara – le cui modalità di calcolo, ai sensi dell’articolo 264, comma 1, lett. d) del Regolamento, norma da ritenersi ancora vigente, devono essere espressamente indicate nel bando – dovrebbe trovare dimostrazione in una dettagliata individuazione delle attività da svolgere e dei relativi costi. E ciò sulla base dell’articolazione degli elaborati richiesti in base a quanto previsto dal d.P.R. n. 207 del 2010; un riferimento operativo può trovarsi nelle tabelle 4.1, 4.2, 4.3, 4.4, 4.5, 4.6 e 4.7 allegate alla determinazione n. 5 del 2010, depurate, ovviamente, dei riferimenti alla tariffa professionale. L’elenco degli elaborati da redigere, con i relativi costi, definibile come il “computo metrico estimativo della prestazione di progettazione”, dovrebbe costituire un allegato ai documenti di gara”.

24.  L’Autorità, nella determinazione n. 5 del 2010, ha fornito indicazioni in merito all’importanza della verifica di congruità degli importi risultanti dalle offerte di ribasso dei concorrenti per evitare che offerte troppo basse espongano l’amministrazione al rischio di esecuzione della prestazione in modo irregolare e qualitativamente inferiore a quella richiesta e con modalità esecutive in violazione di norme, con la conseguenza di far sorgere contestazioni e ricorsi[24]. Ritiene che: la determinazione dell’importo a base di gara per i servizi di architettura ed ingegneria debba discendere da una corretta analisi della prestazione richiesta, al fine di garantire la qualità del servizio, di individuare le corrette modalità di affidamento e la relativa pubblicità, nonché di fornire elementi per la valutazione della congruità delle offerte.

25.  Rubricato “Determinazione corrispettivi a base di gara per gli affidamenti di contratti di servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria”.

26.  F. Galgano, Deontologia forense e pluralità degli ordinamenti giuridici, in Contratto e Impresa n. 2/2011, p. 294. Per un approfondimento sulla specificità della professione intellettuale cfr. Lega C., Le libere professioni intellettuali nelle leggi e nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1974, Della Cananea, L’ordinamento delle professioni, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Milano, 2003. Masucci T., Le professioni protette. L’associazione tra professionisti, in Trattato di diritto privato europeo a cura di N. Lipari, II ed., I, Cedam, Padova, 2003, 8 ss.; Tacchi, voce Professioni. I) Professioni, arti e mestieri (dir. amm.), in Enc. giur. Treccani, XXIV, Roma, 1991., 1 ss.

27.  La Corte precisa che l’attività degli spedizionieri doganali presenta natura economica. Infatti, questi offrono, contro retribuzione, servizi che consistono nell’espletare formalità doganali, concernenti soprattutto l’importazione, l’esportazione e il transito di merci, nonché altri servizi complementari, quali i servizi appartenenti ai settori monetario, commerciale e tributario. Inoltre, essi assumono a proprio carico rischi finanziari connessi all’esercizio di tale attività. In caso di squilibrio fra uscite ed entrate, lo spedizioniere doganale deve sopportare direttamente i disavanzi.” (punto 37 della sentenza). Si veda Lazzara P., Concorrenza e Codici deontologici nel diritto comunitario, in Foro amministrativo: Consiglio di Stato, 2002, per i preziosi riferimenti giurisprudenziali e dottrinali.

28.  Cfr. punto 38 della sentenza.

29.  Per la disamina delle sentenze della Corte di giustizia in tema di tariffe professionali si veda Ticozzi M., Autonomia contrattuale, professioni e concorrenza, op. cit., 120-133, Cordinanzi M., Profili critici dell’impatto del diritto comunitario sul regime delle professioni in Italia, in Il processo di integrazione europea: un bilancio, (a cura di) A. Tizzano, Giappichelli, Torino, 153 ss. A. Berlinguer, Sulla vexata questio delle tariffe professionali forensi, in Mercato concorrenza regole, 1/2011, 65-92.

30.  Cfr. Corte giust. CE, 19 febbraio 2002, causa C-35/99 (Arduino), in Foro amm. C.D.S. 2002, 02, 300 e punto 24 delle conclusioni dell’avvocato generale Jan Mazak presentate il 6 luglio 2010 nella causa n. C- 565/08, Commissione c. Repubblica italiana. cfr. C. giust. Ce 18 giugno 1998 (causa C-35/96), in questa Foro amm. C.D.S., 1999, 1, concernente le tariffe stabilite dal Consiglio nazionale degli spedizionieri doganali, i cui componenti non furono qualificati come esperti indipendenti. Con la stessa sentenza fu chiarito che la natura pubblica di un organismo associativo non esclude l’applicazione della normativa posta dal trattato. L’infondatezza della questione proposta alla Corte sulla determinazione della tariffa a cura del Consiglio nazionale forense fu dedotta, dunque, non dalla composizione dell’ente predetto ma piuttosto dal fatto che la tariffa era approvata dal Ministero della giustizia, acquisiti i pareri del Consiglio di Stato e del Comitato interministeriale prezzi (punto 41 della motivazione). E inoltre, la Corte valutò anche la competenza dell’autorità giudiziaria a liquidare le somme spettanti ai legali per le attività professionali (punto 42 della motivazione)

31.  Cfr. la Corte di giustizia ha reiterato la sua posizione quanto alla conformità della tariffa italiana degli onorari di avvocati con quanto richiesto dal diritto comunitario della concorrenza. In tale causa le questioni pregiudiziali deferite alla corte riguardavano il divieto posto dal giudice, quando si pronuncia sull’importo delle spese che la parte soccombente deve rimborsare all’altra parte, di derogare agli onorari minimi fissati da tale tariffa.

32.  In Foro amm. C.S.D. 2006, fasc. 09 e punto 25 delle conclusioni dell’avvocato generale Jan Mazak presentate il 6 luglio 2010 cit.

33.  Cfr. Sentenza 29 marzo 2011, n. C- 565/08, Commissione c. Repubblica italiana in Foro amm. CdS, 2011, 775, Nascimbene B., Tariffe degli avvocati e Corte di Giustizia: un conflitto risolto? in Il corriere giuridico, 8/2011, 1041 ss., F. Wally, La Corte di giustizia salva le tariffe massime in Rassegna dell’ avvocatura dello Stato, 3/2011, 64-65.

34.  Cfr. Punto 68 della sentenza del 5 dicembre 2006 emessa nei procedimenti riuniti C-94/04 (Federico Cipolla contro Rosaria Portolese in Fazari) e C-202/04 (Stefanano Macrino e Claudia Capodarte contro Roberto Meloni). All’origine del rinvio alla corte europea le controversie tra avvocati e clienti per il pagamento degli onorari. La Corte d’Appello di Torino, con ordinanza del 4 febbraio 2004, nella causa pendente fra Federico Cipolla e Rosaria Portolese in Fazari, aveva sottoposto alla Corte di giustizia delle Comunità europee le seguenti questioni pregiudiziali: 1. se il principio della concorrenza del diritto comunitario, di cui agli artt. 10, 81 e 82, Trattato C.E. si applichi anche all’offerta dei servizi legali; 2. se detto principio comporti, o meno, la possibilità di convenire fra le parti la remunerazione dell’avvocato, con effetto vincolante; 3. Se, comunque, detto principio impedisca, o meno, l’inderogabilità assoluta dei compensi forensi. La Corte rimette al giudice nazionale il compito di verificare se la normativa italiana che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente agli obiettivi della tutela dei consumatori e della buona amministrazione della giustizia, che possono giustificarla, e se le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi. In tale valutazione invita il giudice a considerare l’asimmetria informativa che esiste per esempio tra avvocato e il suo cliente.

35.  Alla produzione giurisprudenziale ha fatto seguito anche un intensa attività di approfondimento. Nella Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali presentata dalla Commissione il 9 febbraio 2004 e nel seguito della suddetta Relazione presentato il 5 settembre 2005, [Com (2005)405], si afferma che gli Stati membri dovrebbero avviare un processo di revisione delle restrizioni esistenti, con riferimento sia alle tariffe fisse, sia alle limitazioni della pubblicità. In esito a tale relazione, il Parlamento europeo, il 12 ottobre 2006, ha approvato una risoluzione con la quale, tra l’altro, si invita la Commissione ad approfondire l’analisi delle differenze esistenti – in riferimento all’apertura del mercato – tra le diverse categorie professionali di ciascuno Stato membro, e, sul presupposto che l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime e il divieto di pattuire compensi legati al risultato raggiunto potrebbero costituire un ostacolo alla qualità dei servizi e alla concorrenza, si invitano gli Stati membri ad adottare misure meno restrittive e più adeguate rispetto ai principi di non discriminazione, necessità e proporzionalità. Con specifico riguardo alle professioni legali ed all’interesse generale al funzionamento dei sistemi giuridici, il Parlamento europeo ha adottato, il 23 marzo 2006, una risoluzione, nella quale si riconosce che «le tabelle degli onorari o altre tariffe obbligatorie» non violano gli artt. 10 e 81 del Trattato, purché la loro adozione sia giustificata dal perseguimento di un legittimo interesse pubblico.

36.  Cfr. Sentenza 29 marzo 2011, n. C- 565/08, Commissione c. Repubblica italiana in in Foro amm. CdS, 2011, 775.

37.  Secondo la giurisprudenza comunitaria le misure restrittive all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal trattato possono essere giustificate in presenza di quattro condizioni: che siano applicate in modo non discriminatorio, che rispondano a motivi imperativi di interesse pubblico, che siano idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e che non vadano oltre quanto necessario per il relativo raggiungimento.

38.  Cfr. punto 29 della sentenza cit. supra.

39.  Cfr. punto 30 della sentenza.

40.  Cfr. punto 31 della sentenza.

41.  cfr. Cass. civ. sez. II , 29/01/2003, N. 1\317 in Giust. Civ. Mass., 2003, 216; per la problematica in generale si veda Ticozzi M., Autonomia contrattuale, professioni e concorrenza, op.cit., 73 ss.

42.  Cfr. punto 41 della sentenza.

43.  Cfr. Punto 46 della sentenza ove sono indicati i seguenti riferimenti giurisprudenziali:sentenze 15 gennaio 2002, causa C- 439/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I-305, punto 22; 5 ottobre 2004, causa C- 442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I- 8961, punto 11; 30 marzo 2006, causa C- 451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti, Racc. pag. I-2941, punto 31, e 4 dicembre 2008, causa C-330/07, Jobra, Racc. pag. I-9099, punto 19. Sul tema cfr. Lazzara P., Concorrenza e Codici deontologici nel diritto comunitario, in Foro amm.: C.d.S., 2002.

44.  Cfr. in particolare, sentenze CaixaBank France, cit., punto 12, e 28 aprile 2009, causa C-518/06, Commissione/Italia, Racc. pag. I-3491, punto 64.

45.  Cfr. punto 35 sentenza della Corte 30 novembre 1995 – Gebhard contro consiglio dell’ordine degli avvocati e procuratori di Milano in cui si legge che l’accesso ad alcune attività autonome e il loro esercizio possono essere subordinati al rispetto di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, giustificate dal pubblico interesse, come le norme in tema di organizzazione, di qualificazione di deontologia, di controllo e di responsabilità. Tali disposizioni possono prevedere, in particolare che l’esercizio di un’attività specifica sia riservato, a seconda dei casi, ai soggetti titolari di un diploma, certificato o altro titolo(…). Più in generale i provvedimenti nazionali che possono ostacolare o scoraggiare l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal trattato sono quattro: essi devono applicarsi in modo non discriminatorio, essere giustificati da motivi imperativi di interesse pubblico, essere idonei a garantire il conseguimento dalla scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo.(punto 37).

46.  Cfr. punto 34

47.  Cfr. AUTORITA GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, IC 15, Provv. n. 5400 settore degli ordini e collegi professionali, 9 ottobre 1997, in part. Capitolo II. L’indagine ha al tempo stesso aperto la strada ad una stagione di cambiamenti nel mercato dei servizi professionali. Sulle ragioni della puntuale regolamentazione del settore professionale a livello comunitario cfr. PATERSON I., FINK M., OGUS A., ET AL., L’impatto economico della regolamentazione nel settore delle professioni liberali in diversi stati moderni. Studio realizzato per la commissione europea, DG Concorrenza, gennaio 2003.

48.  Cfr. Capitolo 2 “la regolamentazione dei servizi professionali- analisi economica”, 26 ss. In rapporto al grado di incertezza della domanda e dunque alla gravità dell’asimmetria informativa si delineano tre diverse categorie di servizi professionali: quando l’incertezza e massima e riguarda sia le competenze del professionista che l’identificazione della prestazione richiesta (credence goods); quando l’incertezza ex ante puo essere elevata ma il consumatore ex post puo realizzare una qualche forma di controllo facendo riferimento a precedenti esperienze di consumo o a servizi ricevuti da altri consumatori); quando l’incertezza del cliente consumatore e scarsa (search goods) e quindi e in grado valutare il mercato dei servizi professionali in cui opera. Gli stessi rilievi si rinvengono in COMMISSIONE DELLE COMUNITA’ EUROPEE, Comunicazione della Commissione Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali, Bruxelles, 2004, COM (2004) 83 def., 10; e Comunicazione della Commissione – I servizi professionali, proseguire la riforma, Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali, Bruxelles, 2005, COM (2005) 405 def.

49.  Tale aspetto emerge, tra l’altro, nella giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee che nel passato recente ha posto in evidenza le caratteristiche peculiari della professione di farmacista e la funzione delle regole deontologiche che giustificano le particolari restrizioni al regime di proprietà delle farmacie in ragione delle caratteristiche del prodotto “farmaco” e dello scopo perseguito ovvero l’approvvigionamento sicuro di medicinali a tutela della salute. Cfr. sentenza Corte di Giust. 29 maggio 2009 causa 531/06.

50.  Cfr. CARBONE S.M., MUNARI F., La tutela dell’Utente tra deontologia professionale e disciplina della concorrenza, in ZATTI P., Le fonti di autodisciplina. Tutela del consumatore, del risparmiatore, dell’utente, Cedam, Padova, 1996, 91 ss..Cfr. Indagine, cit., 31-32.Capitolo 2 e 48 e altresì Comunicazione 2004, cit. 10.

51.  Indagine, cit. p.31, 32.

52.  cfr. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, provvedimento n. 16369 (IC 34) riguardante il settore degli ordini professionali, 2007 e in essa i riferimenti alle numerose segnalazioni dell’autorità sul tema si veda anche autorita’ della concorrenza e del mercato, Relazione annuale sull’attività svolta nel 2008 in www.agcm.it.)

53.  Si segnala, a tal riguardo, il provvedimento 21279 del 23 giugno 2010, riguardante l’ordine dei geologi che aveva preso avvio dalla citata indagine conoscitiva nel settore dei servizi professionali (IC34) e le condotte censurate, in particolare, consistevano nella fissazione, nel relativo codice, di tariffe minime per la determinazione del compenso professionale, anche mediante il richiamo alla clausola del decoro, in violazione delle regole contenute nel decreto legge n. 223/2006 che aveva abolito, tra l’altro, l’obbligatorietà di tariffe professionali o minime, stabilite da leggi, regolamenti e codici deontologici. Nell’istruttoria il Consiglio Nazionale geologi, si impegnava, ex art. 14-ter della legge 287/1990, a modificare le norme deontologiche censurate, informando la determinazione del compenso ai principi stabiliti nel decreto-legge 223/06 e al principio di adeguatezza di cui all’art. 2233, comma 2 codice civile. L’Autorità, tuttavia, rigettava gli impegni presentati, in ragione della gravità dell’intesa sui compensi professionali desunta dalla circostanza che la condotta è stata posta in essere in un contesto normativo di ampia liberalizzazione del quale l’Ordine dei geologi era ampiamente consapevole.

54.  Cass. Civ. Sez. un., 20 dicembre 2007, n. 26810 ha qualificato le regole comportamentali contenute nel codice deontologico forense fonti normative integrative del precetto legislativo che attribuisce al Consiglio Nazionale Forense il potere disciplinare, con funzione di giurisdizione speciale appartenente all’ordinamento generale dello Stato e come tali le ritiene interpretabili direttamente in sede di controllo giurisdizionale di legittimità per violazione di legge. La sentenza è annotata da Scarselli G., La responsabilità civile del difensore per l’infrazione della norma deontologica, in Foro It., 2009, 1, 3167. Secondo l’ orientamento risalente agli anni sessanta, queste non hanno natura giuridica in quanto il potere statale riserva poteri di autonomia alla classe professionale e ai suoi organi la creazione, l’individuazione, l’applicazione, delle regole di deontologia “ma non fa assurgere tali regole a norme dell’ordinamento generale, e non le assimila a queste”. A.M. Sandulli, Regole di deontologia professionale e sindacato della Corte di cassazione, in Giust. Civ. 1961,I,616ss. In linea con questo orientamento dottrinale nella giurisprudenza amministrativa si veda Cons. di Stato, Sez. VI, 20 febbraio 1997, n. 122, in Dir. proc. amm., 1998, 193, con nota di Lombardi, Principi di deontologia professionale ed efficacia normativa dell’ordinamento giuridico statale. In questo senso ex plurimis Cass., Sez. un., 10 febbraio 1998, n. 1342, in Rass. Forense, 1999, 475 (s.m.); Id., Sez, un., 12 dicembre 1995, n. 12723, ivi, 1996, 362.

55.  punto 17 IC p.6

56.  Cfr. p.71 IC34 cit. ove si legge “la qualità deve costituire un elemento dinamico che, in quanto tale, non può che emergere ex post, al momento dello svolgimento della prestazione e dal confronto che il professionista stesso dovrebbe svolgere con prestazioni analoghe offerte dai concorrenti”. Sul punto si veda anche“ Relazione sull’attività svolta nel biennio 2004-2005 per la promozione della liberalizzazione dei servizi professionali” la segnalazione AS306 “ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni” del 13 luglio 2005.

57.  Cfr. 62- 63 IC34 per l’importanza della formazione per assicurare la qualità della prestazione. Sulla problematica delle competenze degli ordini professionali in tema di formazione professionale si veda G. Manfredi, L’attività normativa degli ordini professionali incontra il principio di legalità in Foro amm. TAR 2011, 10, 3297

58.  Monti M., Il consumatore, operatore e beneficiario della politica comunitaria di concorrenza, in Rassegna forense, n. 1/ 2004, 27 ss.