Breve nota sulla governance economica dell’UE di fronte alla crisi

1. Il problema della natura pubblica o privata del MES
Con la legge 23 luglio 2012 n. 115 è stata ratificata la decisione del Consiglio europeo che modifica l’art. 136 del Trattato UE e con le altre due leggi in pari data – la n. 114 e la n. 116 – sono stati ratificati rispettivamente il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione europea ed il Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di Stabilità (c.d. MES).
Si tratta delle modifiche all’architettura “costituzionale” dell’UE adottate per metterci al riparo dalla crisi.
La base di tutto è la modifica dell’art. 136 del Trattato UE che viene modificato nella parte Terza (Politiche dell’Unione ed azioni interne), titolo VIII (Politica economica e monetaria) aggiungendovi un paragrafo secondo cui: “Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo, sarà soggetta ad una rigorosa condizionalità”.
La modifica è stata adottata secondo la procedura di revisione semplificata ed entrerà in vigore solo previa approvazione da parte degli Stati membri, conformemente alle loro procedure costituzionali.
A tale modifica sono collegate le due ulteriori ratifiche in esame: con l’ultima delle due ratifiche si istituisce il MES (Meccanismo europeo di stabilità; in inglese ESM: European stability mechanism) che assumerà, dopo il giugno 2013, il ruolo dei due meccanismi di stabilità già istituiti nel 2010 per far fronte alla crisi della Grecia ossia l’EFSM (European Financial Stabilisation mechanism) e l’EFSF (European Financial Stability Facility); con il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e la governance si specificano le regole del patto di bilancio (già note come parametri di Maastricht) e si dettano le regole di funzionamento delle istituzioni economiche degli Stati della zona euro al fine del rientro dai debiti pubblici elevati degli Stati sovrani (cruciali sono le ferree regole del c.d. fiscal compact stabilite all’art. 4 del Trattato, sulla cui sostenibilità discutono animatamente gli economisti per proporne correzioni che le rendano più agevolmente applicabili).
Se il fiscal compact divide e fa discutere gli economisti, il MES dovrebbe attirare maggiormente l’attenzione dei giuristi.
Ma che cos’è il MES?
Il MES è un’istituzione finanziaria sovranazionale dotata di piena personalità giuridica e piena capacità di agire privatisticamente; non è quindi una forma di coordinamento fra amministrazioni pubbliche, non è il campo di una politica comunitaria nuova; non è un mero schema di accordo quadro (anche se vi è un Trattato che lo istituisce sottoscritto dai 17 Paesi dell’euro zona; quelli al centro della crisi finanziaria e degli attacchi speculativi) .
L’obiettivo del MES è quello di “mobilitare risorse finanziarie” e fornire un sostegno alla stabilità, secondo “condizioni rigorose” commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto, a beneficio dei membri del MES che già si trovino o rischino di trovarsi in gravi problemi finanziari, se indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e quella dei suoi Stati membri.
A questo scopo al MES è conferito il potere di raccogliere fondi con l’emissione di strumenti finanziari o la conclusione di intese o accordi finanziari o di altro tipo con i propri membri, istituzioni finanziarie e terzi.
Difficile ascrivere questo soggetto fra enti pubblici e privati, certa la sua sovranazionalità, giova osservare che appare quanto mai incerta la sua natura.
Si tratta di un ente costituito da Stati (gli Stati dell’eurozona), aperto all’adesione degli altri Stati dell’Unione a decorrere dalla data di entrata in vigore della decisione del Consiglio dell’Unione europea prevista dall’art. 140 paragrafo 2 del TFUE che abolisce la loro deroga di adottare l’euro.
La natura del MES non è dissimile per alcuni tratti da quella di una banca legittimata al credito speciale con finalità mutualistico-assistenziale nei confronti degli Stati UE in difficoltà; infatti dispone di un capitale sociale prefissato versato dai suoi membri (secondo gli artt. 41 e seguenti del Trattato); può raccogliere risparmio (il Trattato ciò prevede con l’espressione guerresca “mobilitare risorse finanziarie”) sul mercato; può concedere prestiti ma strettamente condizionati a misure di risanamento; riscuote interessi sui prestiti alle condizioni stabilite; tuttavia deve perseguire la finalità assistenziale per la quale è stato costituito.
La concessione dell’assistenza finanziaria è strettamente condizionata (come una camicia di Nesso per il singolo Stato richiedente) alla ratifica ed al rispetto del Trattato sulla stabilità (c.d. fiscal compact).
Il MES fruisce dello status di creditore privilegiato alla stessa stregua del FMI (al cui modello evidentemente si ispira; e ciò è rivelatore della nuova fase storico-economica che attraversa l’Occidente che è costretto ad applicare a sé – in conseguenza dei vizi contratti in passato in forza degli alti debiti e delle spese pubbliche incontrollate – ricette per lungo tempo applicate ai c.d. Paesi in via di sviluppo).
La governance del MES prevede tre organi: 1) consiglio dei governatori; 2) consiglio di amministrazione; 3) direttore generale (lo schema organizzativo riecheggia dal punto di vista nominalistico quello delle banche centrali ma il MES non prevede in alcun modo per i governatori requisiti di indipendenza, anzi, essi, nominati dagli Stati, sono revocabili in qualsiasi momento).
Capitalizzazione del MES e concessione del sostegno alla stabilità sono decise dal consiglio dei governatori di comune accordo. Il Trattato prevede materie di decisione a maggioranza qualificata (80 per cento); prevede anche dei voti espressi che sono pari al numero di quote assegnate a ciascuno Stato (con un sistema capitalistico puro).
Il consiglio di amministrazione è organo esecutivo del consiglio dei governatori ed il direttore generale è il capo del personale.

Il MES quanto a beni e proprietà gode di immunità da ogni forma di giurisdizione (proprio l’immunità giurisdizionale che sta andando gradualmente perduta dagli Stati sovrani per effetto della globalizzazione); l’immunità per la sua ampiezza è concessa anche rispetto alla giurisdizione penale (tratto significativo per apprezzare aspetti inediti del costituzionalismo multi-livello).
Locali ed archivi del MES sono inviolabili. L’attività del MES è circondata dal segreto d’ufficio.
Si tratta di una realtà giuridica indefinibile, il diritto sovranazionale mutua dal diritto privato le modalità operative; dal diritto pubblico le prerogative: si costruiscono le premesse per una problematica sindacabilità degli atti del MES.
Le “questioni” sull’interpretazione del Trattato sono rimesse per la decisione al consiglio di amministrazione quando insorgano tra il MES ed uno dei suoi membri o fra i membri del MES; le “controversie” sono decise dal consiglio dei governatori (in autodichia) . Le decisioni in autodichia sono impugnabili in Corte UE.

2. Segnali di ritorno alla banca pubblica o accettazione della soggezione degli Stati alla finanza privata?
Difficile dare un giudizio su una realtà così carica di novità e così connotata dalle asprezze del diritto dell’emergenza finanziaria, da comportare un serio ridimensionamento delle stesse garanzie giurisdizionali.
Né è possibile azzardare previsioni circa la possibilità di funzionamento di tale istituzione che comunque appare priva di precedenti nell’ordinamento europeo.
Piuttosto può essere interessante cercare di leggere le linee di tendenza, verificare se con tale meccanismo di stabilità l’ordinamento, nei rapporti fra politica e finanza, stia imboccando la strada di una ripresa della decisione politica democratica o si stia connotando sempre di più come tecnocratico e dominato dalle regole della finanza.
Descritta la disciplina giuridica il giudizio si può lasciare al lettore.
L’impressione di chi scrive è nel senso che non ci sia un disegno politico all’altezza delle necessità del tempo presente in questi meccanismi del credito che pretendono di ingabbiare forme politiche e costituzioni di intere nazioni (che da un cinquantennio vivono di costituzionalismo democratico).
Di qui la urgenza dell’Europa unita (invocata da Barbara Spinelli, U. Beck, Z. Bauman, R. Prodi; G. Amato; J. Ziller e tanti altri) modellata secondo i canoni classici del costituzionalismo occidentale; obiettivo lontano se misurato a partire dalle durezze del Trattato MES e dalle rigidità del fiscal compact.
Un’altra domanda, più tecnica, sovviene: il MES prelude ad un ritorno alla banca pubblica o deve leggersi come un altro passo verso l’inarrestabile soggezione degli Stati al mondo della finanza “deregolata”?
Anche qui non è facile azzardare previsioni; alcuni tratti della disciplina della banca pubblica (uso del danaro dei contribuenti; raccolta del risparmio sui mercati; erogazione di credito a condizioni speciali) sono commiste a caratteri in linea con il paradigma giuridico più avanzato dei moderni mercati finanziari (si pensi all’intreccio fra prestiti e programmi di aggiustamento macroeconomico).
Abbiamo analizzato l’ennesimo ircocervo: nel nostro intimo, ovviamente, sentiamo nostalgia per le forme giuridiche del passato che distinguevano nettamente diritto privato e pubblico; e, sotto sotto, la convinzione che tale separazione, se presa sul serio, come la soggezione alla giurisdizione, sia anche in grado di ispirare maggiore fiducia (l’equilibrio fra “gubernaculum” e “iurisdictio” è all’origine del costituzionalismo moderno).
Ma forse è tardi: forse il cambiamento è già avvenuto (con l’indebitamento fuori controllo di alcuni Stati dell’UE) e conviene solo interiorizzarne la portata e lavorare per traghettare nel futuro, con politiche di serio risanamento, che evitino la umiliante condizionalità di questi aiuti, il massimo delle conquiste della civiltà giuridica democratica.