I vincoli europei sulle politiche di bilancio

1. In questi tempi di crisi dell’euro, il Fiscal Compact ha acquisito un valore simbolico. E’ sinonimo di rigore, austerità, severi vincoli di bilancio. E c’è chi lo loda, in quanto teso a porre un freno alla gestione allegra delle finanze pubbliche; e chi lo critica aspramente per i suoi effetti recessivi, specie sulle economie più deboli. In verità l’opinione corrente va precisata sotto taluni profili. I vincoli europei di bilancio non sono sorti con il Fiscal Compact, tra l’altro non ancora in vigore; e nemmeno sono così rigidi, come si è indotti a ritenere. Per meglio chiarire questi punti si intende brevemente ripercorrere gli sviluppi della disciplina di bilancio da Maastricht al Fiscal Compact; e analizzare, poi, le norme vigenti per accertarne il grado di rigidità o flessibilità e i meccanismi di attuazione.

2. I vincoli di bilancio sono un elemento costitutivo dell’unione economica monetaria. Figurano tra i criteri di Maastricht, con i noti limiti del 3% del pil per il deficit e del 60% del pil per il debito. L’ingresso nell’euro era subordinato al rispetto di questi requisiti, da soddisfarsi poi in modo permanente. E ben se ne intuisce la ragione: poiché la moneta unica lega ad un comune destino i Paesi partecipanti, una gestione finanziaria squilibrata da parte di un singolo Stato si ripercuote negativamente su tutti gli altri.
Ancor prima dell’introduzione dell’euro, le regole di Maastricht sono state specificate nel Patto di Stabilità e Crescita (PSC) del 1997 (due regolamenti e una risoluzione del Consiglio europeo). Si è voluto stabilire una disciplina più severa sia per i disavanzi di bilancio, sia per le procedure applicative e le sanzioni. Così il deficit annuale consentito è sceso all’1% del pil. Si è anzi precisato che i bilanci nazionali devono tendere al pareggio o ad un surplus, in modo che la soglia del 3% possa essere rispettata anche nelle fasi negative del ciclo. A facilitare la sorveglianza sulle politiche economiche nazionali, e una tempestiva correzione di scostamenti rispetto agli obiettivi di medio termine, il PSC fa obbligo a ciascuno Stato di sottoporre annualmente un Programma di Stabilità; e al fine di rendere più efficaci le procedure sanzionatorie, fissa tempi stretti per il loro completamento. Infine, la risoluzione del Consiglio europeo, che accompagna i due regolamenti, raccomandava un’attuazione “rigorosa” della disciplina.
Ma le cose non si sono sviluppate propriamente così: i vincoli di bilancio sono stati disinvoltamente disattesi, anche da Francia e Germania; e le procedure sanzionatorie per disavanzi eccessivi, sono state bloccate dalle decisioni discrezionali del Consiglio, che non ha dato seguito alle proposte della Commissione. Aggiungasi che il coordinamento delle politiche economiche, affidato a raccomandazioni non vincolanti (il c.d. metodo del coordinamento aperto), è risultato largamente inefficace.

3. Nondimeno il sistema euro non ha dato inizialmente segni di malfunzionamento: nei suoi primi anni di vita si è avuta bassa inflazione, bassi tassi di interesse, credito bancario abbondante, spread contenuto tra i titoli del debito pubblico dei vari Paesi. Ma quando, verso la fine della primo decennio del 2000, è arrivato il vento della crisi (prima finanziaria, poi economica), è emersa una forte divergenza fra le economie degli Stati euro. In effetti, qualche Paese ha approfittato dei bassi tassi di interesse per attuare riforme strutturali, aumentare la produttività e competitività delle proprie imprese, spingere le esportazioni limitando le spese correnti. Altri molto di meno; ed è superfluo fare nomi. Di qui una forte asimmetria fra le economie della zona euro, che ha portato alla crisi del debito sovrano dei Paesi più deboli, al pericolo di insolvenza per taluni di essi e alla creazione di fondi di assistenza finanziaria.
E’ in queste circostanze che si è rimesso mano alle regole di bilancio; e lo si è fatto tramite il Six Pack, un pacchetto di cinque regolamenti ed una direttiva volti ad integrare e modificare l’originario PSC. Le novità riguardano essenzialmente gli Stati euro: si rafforza la parte di sorveglianza preventiva con l’applicazione di sanzioni (deposito fruttifero) nel caso di squilibri macro-economici significativi o deviazioni rilevanti dall’obiettivo di medio-termine; si estende la procedura per i disavanzi eccessivi (e relative sanzioni: deposito infruttifero, ammende), anche al debito, mentre prima si applicava solo al deficit; si stabilisce che il debito, se eccessivo, deve ridursi annualmente ad un ritmo pari a 1/20 della differenza tra il livello corrente e la soglia del 60%; viene introdotta la regola del “reverse majority voting”, per cui le proposte della Commissione si intendono adottate se non sono respinte a maggioranza dal Consiglio. In definitiva, il Six Pack mira a rendere più efficace la disciplina del PSC, rafforzandone la parte preventiva e correttiva, specie sotto il profilo applicativo.

4. A questo punto arriva il Fiscal Compact. La tempistica merita di essere evidenziata. Il lancio del Fiscal Compact esce dal vertice di dicembre 2011, meno di un mese dall’entrata in vigore del Six Pack. Il patto è stato poi sottoscritto all’inizio di marzo 2012 e diventerà applicabile con la ratifica di non meno di dodici Stati euro. Ce n’era bisogno? Se si guarda alle regole materiali in esso contenute, la risposta dovrebbe essere negativa. Il Fiscal Compact ribadisce la regola del bilancio in pareggio o in attivo, già fissata fin dal PSC. Per il resto vale la disciplina del PSC come modificata e integrata dal Six Pack. L’unica vera novità è costituita dall’obbligo per gli Stati contraenti di inserire la “regola aurea” del pareggio di bilancio nel proprio diritto interno, “preferibilmente a livello costituzionale”. Ma è dubbio, a stretti termini giuridici, che ce ne fosse bisogno. L’obbligo del pareggio di bilancio era già operante nel diritto dell’Unione; e questo, in base a consolidati principi, ha valore prioritario sul diritto interno. Gli Stati membri avrebbero quindi dovuto conformarsi a quell’obbligo, senza che fosse necessario replicarlo in un patto apposito. Tanto più che l’adozione della “regola aurea” nel diritto interno, a livello costituzionale o “quasi”, già figurava fra gli impegni (peraltro non vincolanti) del Patto Euro Plus del marzo 2011. In verità, non ragioni giuridiche ma politiche stanno alla base del Fiscal Compact. Si voleva inviare un messaggio rassicurante all’elettorato di taluni Paesi (Germania, in primis) nel momento in cui si chiedeva il loro contributo per aiutare Stati euro in crisi.

5. I vincoli europei di bilancio derivano dunque da una pluralità di fonti: le norme di Maastricht (passate quasi alla lettera nel TFUE di Lisbona), la disciplina del PSC, così come modificata e integrata dalle misure del Six Pack, infine il Fiscal Compact (che non è ancora in vigore e si colloca al di fuori del diritto UE). Da questo complesso normativo emerge la regola di base del pareggio di bilancio; è il principio delle finanze sane, dell’equilibrio tra entrate e spese. Ma che cosa comporta esattamente questa regola e quali attenuazioni e deroghe può tollerare?
La regola del pareggio di bilancio si considera rispettata da un Paese se il saldo strutturale annuale si conforma all’obiettivo di medio termine fissato per quel Paese. In altri termini, per ciascun Paese viene fissato dalla Commissione un programma di convergenza verso l’obiettivo di medio termine, con uno scadenzario temporale che tiene conto dei rischi specifici del Paese sul piano della sostenibilità. L’obiettivo a medio termine è costituito da un disavanzo strutturale dell1% del pil stando al Six Pack, dello 0,5% del pil ai sensi del Fiscal Compact. Per disavanzo strutturale si intende il saldo annuo corretto per il ciclo, al netto di misure una tantum e temporanee.
Deviazioni dall’obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo sono ammesse solo in circostanze eccezionali. E queste sono definite nel Fiscal Compact come “eventi inconsueti”, non soggetti al controllo della parte interessata e con “rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria”; oppure come “periodi di grave recessione economica ai sensi del patto di stabilità e crescita rivisto”. Nella versione originaria del PSC, quella del 1997, una recessione economica poteva considerarsi grave solo in presenza di un declino annuo del pil in termini reali di almeno il 2%. Ma con le modifiche del 2005 si è optato per una interpretazione più lasca della deroga; per l’esistenza di una grave recessione economica basta “un tasso di crescita negativo” del pil annuo o, anche, “una diminuzione cumulata della produzione” in un periodo prolungato di bassa crescita del pil rispetto alla crescita potenziale. E’ a quest’ultima definizione a cui intende evidentemente riferirsi il Fiscal Compact.
In definitiva, il pareggio di bilancio è un obiettivo di medio termine; si intende conseguito con un disavanzo strutturale dello 0,5% o 1% del pil; il disavanzo strutturale si calcola al netto delle correzioni per l’andamento del ciclo economico; per ciascun Paese viene stabilito un programma di convergenza verso l’obiettivo di medio termine, che tiene conto di condizioni di sostenibilità economica; deviazioni dall’obiettivo di medio termine sono consentite in presenza di circostanza eccezionali, come dianzi definite. Emerge dunque un qualche stemperamento della regola del pareggio di bilancio.
Per quel che riguarda il debito, il Fiscal Compact ribadisce la regola del Six Pack. Gli Stati sono tenuti a ridurre ogni anno di 1/20 il debito eccedente la soglia del 60%. Potrebbe trattarsi di un obbligo molto gravoso se la riduzione del debito si cumulasse con quella del deficit. Senonché la scansione temporale è diversa. La riduzione del debito diviene vincolante dal quarto anno successivo a quello in cui il deficit di un Paese si è ridotto sotto la soglia del 3% del pil. Allo stato attuale, se si fa eccezione per tre Paesi (Estonia, Lussemburgo e Finlandia), tutti gli altri sono oggetto di procedure per deficit eccessivo. Ne consegue che la regola dell’1/20 risulterà applicabile solo a partire dal 2016.

6. Resta da dire dei criteri che devono guidare la Commissione nella sua azione applicativa della disciplina di bilancio. Alla Commissione è attribuito un ruolo centrale, che si estende alla parte preventiva e a quella correttiva della disciplina, e che risulta ora fortemente rafforzato con l’introduzione del meccanismo del ”reverse majority voting”.
La norma base è ancora quella di Maastricht, recepita tel quel nel TFUE (art. 126 n. 3). Qui si legge che nell’avviare una procedura per disavanzo eccessivo la Commissione deve tener conto di tutti i “fattori significativi”, fra cui la spesa pubblica per gli investimenti. Il punto è ulteriormente specificato nel Six Pack (reg. 1177/2011, art.1), dove si elenca una serie di “fattori significativi”. A titolo meramente esemplificativo: la posizione in termini netti del settore privato; l’attuazione di politiche nel contesto di una strategia di crescita comune dell’Unione; le passività legate all’invecchiamento e al debito privato, nella misura in cui possono rappresentare potenziali passività per le finanze pubbliche; le riforme del sistema pensionistico tese ad assicurarne la sostenibilità a lungo termine. Più in generale la Commissione deve tenere in debito conto tutti i fattori ritenuti significativi dallo Stato interessato.
Meritano una sottolineatura i richiami alle spese per investimento e alla situazione finanziaria del settore privato. Con riguardo alle prime, affiora periodicamente la richiesta di escluderle dal computo delle spese dello Stato. La richiesta si fa particolarmente forte in periodi di stagnazione o recessione economica per i beni noti legami fra investimenti e crescita. L’impostazione originaria di Maastricht rimane ferma. Gli investimenti pubblici concorrono alla determinazione delle passività complessive dello Stato, ma la Commissione ne deve tenere conto ai fini di una valutazione dei disavanzi di bilancio. E questo vale in special modo per gli investimenti in linea con le strategie comuni dell’Unione, che possono in qualche modo considerarsi approvati da quest’ultima.
Il discorso è nella sostanza analogo per il settore finanziario privato. Esiste un evidente influenza reciproca tra finanze pubbliche e private. I debiti del settore privato rischiano di tradursi in debiti pubblici, come dimostrano le vicende bancarie in vari Paesi. Per contro il risparmio privato può soccorrere i conti pubblici in difficoltà tramite la leva tributaria. In principio, i bilanci nazionali vanno verificati a prescindere dal settore privato. Ma quest’ultimo rientra fra i fattori significativi, che la Commissione deve vagliare nelle due direzioni: sia nel senso di escludere un disavanzo eccessivo dei conti pubblici, anche se i criteri del deficit e del debito non sono rispettati; sia, all’opposto, nel senso di ravvisare un disavanzo eccessivo anche se tali criteri sono rispettati.

7. Come si è visto, i vincoli di bilancio per gli Stati membri (segnatamente quelli dell’eurozona) sono severi per quel che riguarda l’obiettivo da raggiungere, ma ammettono temperamenti in ordine ai tempi e modi per conseguirlo. Inoltre l’accertamento di eventuali violazioni, con conseguenti sanzioni, comporta valutazioni complesse in ordine a tutta una serie di “fattori significativi”.
Nulla è cambiato allora rispetto al passato? Ci sono sempre gli stessi rischi di sistematica disapplicazione dei vincoli di bilancio?
Ad escludere che questo avvenga, milita a mio avviso un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, rileva il rafforzato sistema di controlli preventivi, che si espleta con scadenze temporali precise (il c.d. semestre europeo) e attiene non solo alle finanze pubbliche ma anche ai principali indicatori macro-economici. Questo dovrebbe consentire la tempestiva individuazione di scostamenti rispetto agli impegni dei singoli Stati in tema di riforme strutturali (anche quelle aggiuntive del Patto Euro Plus) e di riduzione del deficit e del debito. L’applicabilità di sanzioni, nel caso di mancato rispetto degli impegni in discorso, conferisce agli stessi natura giuridica vincolante.
In secondo luogo, valgono considerazioni di carattere istituzionale. Nel sistema di Maastricht e del PSC alla Commissione, organo tecnico – amministrativo, era affidato un compito meramente istruttorio e di proposta. Ogni decisione era poi rimessa al Consiglio, organo politico. Spettava al Consiglio stabilire se vi fosse un disavanzo eccessivo, i tempi e i modi per porvi rimedio e, in difetto, quali sanzioni applicare; e tutto ciò in base a valutazioni di opportunità non sindacabili. Di qui – come già notato – la sistematica disapplicazione delle regole di bilancio, specie nel caso di procedure dirette a censurare gli Stati più forti.
Con il Trattato di Lisbona (che recepisce le regole di Maastricht) e la normativa secondaria del Six Pack la situazione formalmente non cambia. E’ sempre la Commissione a istruire e proporre e il Consiglio a decidere. Ma, per effetto del “reverse majority voting” si delinea ora una sostanza profondamente diversa. In realtà, chi decide è la Commissione e il Consiglio può solo opporsi, sempre che si coaguli al suo interno una maggioranza qualificata in senso contrario (operazione tanto meno facile ora, in vista dell’art.7 del Fiscal Compact) Evidentemente, la Commissione dovrebbe essere meno permeabile a considerazioni di politica intergovernativa. Per altro verso, non va trascurato il ruolo che potrebbe assumere la Corte di giustizia. Rimane anche nel Trattato di Lisbona (come già in quello di Maastricht) l’inapplicabilità della procedura di infrazione per gli obblighi di bilancio. Ma subentra ora, ai sensi del Fiscal Compact, la nuova competenza della Corte a verificare la corretta trasposizione nel diritto interno della regola del pareggio di bilancio. Questa regola, una volta inserita nel diritto interno, è suscettibile di dar luogo a contestazioni davanti ai giudici nazionali; e non si può escludere che ne seguano rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia. La Corte sarebbe così chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale su questioni (inerenti al rispetto della disciplina di bilancio) che non possono formare oggetto di una procedura diretta di infrazione.

*Testo riveduto della relazione tenuta al convegno ARSAE/LUISS su «Costituzione e “pareggio” di bilancio», svoltosi a Roma il 18 maggio 2012.