Imposta come home page     Aggiungi ai preferiti

 

La questione femminile a 150 anni e oltre dall’Unità d’Italia*

di - 7 Luglio 2012
      Stampa Stampa      

Sempre nell’ambito lavoristico (con la sentenza n. 17 del 1987) la Corte esclude – alla stregua del principio di parità di diritti e di retribuzione, a parità di lavoro – l’ammissibilità di clausole di discriminazione per ragioni di sesso, nonché la possibilità di addurre queste ultime come motivo di rifiuto dell’assunzione o di licenziamento.
Inoltre, la Corte ritiene costituzionalmente legittime (con la sentenza n. 109 del 1993) le disposizioni che prevedono incentivazioni finanziarie a favore di imprese a prevalente partecipazione femminile o a favore di istituzioni volte a promuovere l’imprenditorialità femminile. Si tratta di azioni positive, in adempimento al dovere ex art. 3 2° comma Cost., per attenuare discriminazioni a sfavore delle donne e squilibri che hanno consolidato posizioni maschili dominanti, nell’ambito dell’impresa; e per trasformare una situazione di effettiva disparità di condizioni in una sostanziale parità di opportunità.
Infine, la Corte è stata chiamata ad occuparsi del controverso problema delle quote elettorali, per risolvere il problema della parità di accesso alle cariche pubbliche elettive. L’appartenenza all’uno o all’altro sesso (secondo la sentenza n. 422 del 1995) non può mai essere assunta a requisito di eleggibilità o di candidabilità, per contrasto con l’art. 3 primo comma e l’art. 51 primo comma, che impediscono qualsiasi forma di quota in ragione del sesso, nella presentazione delle candidature. Ad avviso della Corte, le azioni positive, per raggiungere una pari opportunità fra i due sessi, possono essere adottate purchè non incidano direttamente sul contenuto dei diritti fondamentali, garantiti in egual misura a tutti i cittadini: come appunto il diritto di elettorato passivo.
Misure come quelle delle quote – osserva la Corte – sono inammissibili quando imposte dalla legge; ma possono essere liberamente adottate dai partiti politici, come conseguenza di una crescita culturale che li renda consapevoli della necessità di una effettiva presenza paritaria delle donne nella vita pubblica. Al legislatore spetta invece individuare altre vie per favorire il riequilibrio dei sessi in quest’ambito, attraverso interventi in grado di agire sulle differenze di condizioni culturali, sociali ed economiche. Infatti – sottolinea ancora la Corte Costituzionale – le azioni positive per sostenere la presenza delle donne a livello politico-istituzionale richiedono comunque la visibilità, la presenza e il protagonismo delle donne nella realtà economica e sociale. Ne è testimonianza la chiamata recente di tre eccellenti professioniste a reggere ministeri fondamentali (gli interni, la giustizia, il welfare) per la vita politica del nostro paese, in un momento difficile come quello attuale.
Più recentemente (con la sentenza n. 49 del 2003) la Corte, dopo aver ribadito il principio affermato in precedenza, precisa che esso non viene leso da disposizioni legislative che impongano la presenza di candidati di entrambi i sessi nelle liste. Nella specie, non si pone un vincolo all’esercizio del voto o a quello dei diritti dei cittadini eleggibili; bensì un vincolo – ammissibile – alla formazione delle libere scelte dei partiti che presentano le liste elettorali, impedendo loro la presentazione di liste di candidati tutti dello stesso sesso.

7. Un ultimo rilievo sulla condizione femminile negli ultimi sessanta anni riguarda il contributo europeo al percorso delle donne verso la parità. E’ un contributo importante poiché – con la modifica dell’art. 117 della Costituzione nel 2001 – l’ordinamento comunitario e quello convenzionale della CEDU si sovrappongono a quello nazionale, condizionandolo e rafforzando la prospettiva del terzo Risorgimento cui ho fatto cenno in precedenza.
Il contributo europeo muove dall’art. 14 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo del 1949: il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione fondata, fra l’altro, sul sesso. Una distinzione esclusivamente per ragioni di sesso, ad avviso della Corte di Strasburgo, è discriminatoria – e perciò inammissibile – se manca di una giustificazione obiettiva e ragionevole, basata su considerazioni molto serie.
A sua volta il Trattato della Comunità europea di Amsterdam – in armonia con le conclusioni della IV Conferenza mondiale sulla donna (Pechino, 1995) – introduce esplicitamente tra i compiti e le azioni della Comunità la realizzazione delle pari opportunità e della parità di trattamento fra i due sessi, riferendola alla occupazione, all’impiego e alla retribuzione. La parità, in tutti i campi, è richiamata altresì dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (cui rinvia il Trattato di Lisbona del 2007), ferma restando la possibilità di adottare e mantenere «misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato».
La giurisprudenza della Corte di giustizia europea si è pronunziata più volte sul tema della parità di trattamento, sopratutto in materia di lavoro, e delle azioni positive per assicurarla. Anche il Parlamento europeo e il Consiglio si sono occupati più volte della strategia comunitaria in materia di parità e di partecipazione equilibrata degli uomini e delle donne al processo decisionale comunitario.
Il 5 marzo 2010 la Commissione Europea – in occasione della giornata internazionale della donna, ricollegandosi alla dichiarazione di Pechino ed alla Convenzione ONU sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne – ha adottato la Carta per le donne, rinnovando il suo impegno per la parità tra donne e uomini e per il potenziamento delle prospettive di genere in tutte le sue politiche.
La Carta muove dalla premessa che la coesione economica e sociale, la crescita sostenibile e la competitività, le sfide demografiche dipendono da una vera eguaglianza tra uomini e donne: una eguaglianza ancora ostacolata nonostante i notevoli progressi compiuti verso la parità. Da ciò l’impegno della Commissione – che è stato sviluppato concretamente in una comunicazione del 21 settembre 2010 al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale ed a quello delle regioni, individuando una serie di azioni-chiave e di proposte più dettagliate – in cinque settori-chiave: la pari indipendenza economica; la pari retribuzione e la parità di lavoro; la parità nel processo decisionale; la dignità, integrità e fine della violenza basata sul genere; la parità fra i generi oltre l’Unione.

Pagine: 1 2 3 4 5 6 7


RICERCA

RICERCA AVANZATA


ApertaContrada.it Via Arenula, 29 – 00186 Roma – Tel: + 39 06 6990561 - Fax: +39 06 699191011 – Direttore Responsabile Filippo Satta - informativa privacy