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Alcune recenti tendenze del diritto amministrativo*

di - 27 Giugno 2012
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11.- Andando sul concreto, si può ipotizzare, sulla base di una recente legge, che ha previsto la riduzione a cinque dei membri dei consigli di amministrazione degli organismi di diritto pubblico, che un consiglio di amministrazione (o, meglio, l’atto che lo costituisce) venga dichiarato nullo, come previsto dalla stessa legge, per illegittima (pletorica) composizione. La nullità non verrà ovviamente dichiarata il giorno successivo a quello dell’insediamento e dell’inizio del funzionamento, ma mesi o anni dopo, magari nel giudizio di annullamento di una deliberazione adottata dall’organo consiliare.
Che succede allora dei provvedimenti che sono stati assunti in questo più o meno lungo lasso di tempo dal consiglio dichiarato nullo?
Si può ancora fare riferimento, per salvare i provvedimenti non impugnati, alla teoria del funzionario di fatto, nonostante la nullità del loro autore; ovvero deve ritenersi che la nullità, data la maggiore gravità della sanzione rispetto all’annullabilità, e la conseguente esclusione di qualsiasi efficacia, anche precaria, del provvedimento che ne sia affetto, impedisca di fare applicazione della teoria del funzionario di fatto?
E se invece di essere posto nel nulla un organo, venga dichiarato nullo un qualsiasi provvedimento amministrativo, che succede dei provvedimenti susseguenti, dei provvedimenti che sono stati adottati sul presupposto della esistenza, oltre che della legittimità del provvedimento dichiarato nullo? Che succede dei rapporti costituiti dal provvedimento nullo, che di fatto abbia prodotto i suoi effetti (magari per lungo tempo)?
Gli esempi dimostrano che l’introduzione della nullità ha reso più complesso il sistema delle invalidità del provvedimento amministrativo, senza apportare nessun elemento positivo, nemmeno di ordine teorico.
In definitiva mi sento di affermare che la nullità è nozione (o istituto) che si presta male ad essere considerata sanzione della invalidità di atti, come sono gli atti amministrativi, che non sono isolati, non definiscono (necessariamente) l’intero svolgimento dell’azione dell’amministrazione, e si pongono sempre più spesso in un processo dinamico articolato e complesso, in quel continuum che è (o dovrebbe essere) l’azione della pubblica amministrazione.
Inoltre essa non si armonizza con il trattamento tipico della efficacia del provvedimento e, in particolare, dei caratteri della esecutività e della esecutorietà. Né si può ritenere che questi caratteri della efficacia possano essere semplicisticamente esclusi per i provvedimenti nulli, dato che il provvedimento può essere portato ad effetto senza che la sua validità sia previamente accertata dal giudice, come invece è necessario per i negozi privati. Il provvedimento produce i suoi effetti prima che la nullità possa essere fatta valere.
La nullità rischia di essere, da un lato, una misura anomala rispetto alla disciplina generale del provvedimento, e, dall’altro, una cesura troppo forte nei confronti del fluire dell’attività amministrativa.

12.- Sulla dequotazione dei vizi procedimentali mi limito ad un solo commento: non si può, seguendo un percorso che voglia essere logico, da un lato, aumentare gli incombenti e gli oneri procedimentali, insistere sulla necessità, sulla completezza e sulla efficienza del procedimento, elevare il procedimento a forma essenziale della funzione amministrativa, e dall’altro, contemporaneamente, dequotare i vizi procedimentali; non, si badi, i vizi formali, ma i vizi propri del procedimento.
Sarebbe (stato) logico scegliere tra le due possibilità: dare risalto al procedimento ovvero ridurne il rilievo, disciplinare il procedimento come forma essenziale dell’azione amministrativa ovvero impedire che la mancanza o l’invalidità degli atti procedimentali dessero luogo all’annullabilità del provvedimento adottato a conclusione del procedimento, e secondo i risultati ivi raggiunti.
Sarebbe logico, quanto meno, distinguere, nell’ambito della disciplina del procedimento, tra incombenti da considerare essenziali (ad esempio, quelli che sono finalizzati alla partecipazione dei privati) e incombenti non essenziali (ad esempio, passaggi meramente formali) e trattare diversamente gli uni e gli altri.
A me sembra che imporre percorsi procedimentali articolati, rispondenti al modello del giusto procedimento, e dequotare i vizi procedimentali significa, a pensarci bene, porre le regole e spingere l’amministrazione a non osservarle: significa seguire strade contraddittorie, ingenerando incertezze nel delicato rapporto tra privati e amministrazione.

13.- La lotta alla inefficienza dell’amministrazione è all’ordine del giorno da molti decenni, ma non sembra avere finora ottenuto rilevanti risultati.
Abbiamo già parlato degli interventi sulla disciplina del personale. Possiamo aggiungere al quadro: gli innesti esterni di dirigenti, l’istituto dello spoyl system, la retribuzione di risultato. Queste ed altre innovazioni avevano, nel pensiero di coloro che le hanno introdotte, lo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa.
Ebbene, non credo di lanciare una eresia affermando che tutte sono state piegate al perseguimento di scopi affatto diversi, ed assai meno nobili.
A che cosa è servito l’innesto nelle strutture pubbliche di dirigenti esterni? Sostanzialmente, nella assoluta maggioranza dei casi (e salve eccezioni) ad inserire nell’apparato amministrativo, in posti di responsabilità, amici e sodali dei politici; con buona pace del principio di separazione tra politica e amministrazione, anch’esso fortemente propagandato.
A che cosa è servito lo spoyl system? A raggiungere il medesimo obiettivo: ad evitare che funzionari di carriera, in tesi esperti ed imparziali, potessero conservare lo stesso loro ruolo con l’avvicendarsi del vertice politico. Fortunatamente, su questo istituto, malamente e tardivamente copiato da esperienze estere, senza badare alle differenze, anche di mentalità, la Corte costituzionale ha posto grosse e giustificate limitazioni.
A che cosa è servita la retribuzione di risultato? Per quello che mi dicono, la retribuzione di risultato è attribuita a tutti i dipendenti nella stessa misura, senza tenere in alcun conto i risultati da ciascuno effettivamente conseguiti.
Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, ma risulta già sufficientemente chiaro che molte innovazioni, progettate per rendere più efficiente l’amministrazione, non solo non hanno raggiunto tale obiettivo, ma hanno contribuito a renderla ancora meno efficiente, e, insieme, più ingiusta e, forse, anche più costosa.
Questo succede quando si ragiona in astratto e si considera che sia sufficiente introdurre modificazioni sul piano normativo, senza tener conto della mentalità, degli interessi e dei modi di pensare di coloro che sono chiamati a dare attuazione alle norme innovative.

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