Vento nuovo per gli appalti

1. Quando, con ogni probabilità, nel dicembre prossimo verrà approvata la nuova direttiva dell’Unione Europea sugli appalti pubblici, si porranno le premesse giuridiche per un mondo nuovo.  Cambierà il ruolo delle pubbliche amministrazioni committenti; cambierà il loro rapporto con le imprese, gli “operatori economici” nel linguaggio comunitario.
Lo scenario nel quale ancora viviamo è semplice. In piena coerenza con uno dei cardini su cui si fondava la Comunità Europea – creare e promuovere un mercato aperto e concorrenziale tra tutti gli Stati membri – le fondamentali direttive 1971/305, 2004/17, 2004/18 avevano costruito un sistema di norme volto a garantire a tutti gli operatori economici libertà di accesso al mercato comune degli appalti pubblici e, quindi, parità di trattamento. Antiche sacche di privilegi erano state così abbattute e aperte alla concorrenza. In alcuni Stati membri ad es. si riteneva che gli appalti pubblici fossero comunque contratti e che quindi le amministrazioni godessero di grandi poteri discrezionali nella scelta del contraente: dopo la direttiva del 1971 furono tutti costretti a bandire le gare per selezionare i costruttori ed i fornitori. L’Italia non faceva eccezione. Lo Stato era attivissimo nel settore delle costruzioni: aveva società proprie, cui leggi speciali affidavano il compito di realizzare una quantità immensa di opere. Basta pensare alle autostrade. Queste società, proprio in quanto società conformi al modello legale tipico, disegnato dal codice civile, operavano nel mercato in funzione del quale erano state costituite e lì potevano scegliere l’appaltatore sostanzialmente a loro gradimento, spesso senza alcuna forma di gara. Esse scomparvero con il recepimento della direttiva del 1971.
Le direttive del 2004 riordinarono, completarono e generalizzarono il sistema, senza realmente trasformarlo. Certo apparve allora la figura dell’organismo di diritto pubblico che dava volto e disciplina unitari a situazioni profondamente diverse sul piano formale. La vera novità nel quadro europeo si ebbe tre anni dopo, con la dir. 2007/66, che aveva imposto a tutti gli Stati membri l’obbligo di adottare norme che consentissero a tutti gli operatori economici di adire un giudice per tutelare i loro interessi in materia di affidamento degli appalti: in questo modo il sistema concorrenziale era stato completato, affidando ad un giudice la garanzia della concorrenza. La situazione italiana era tutt’altra cosa, come è ben noto: noi avevamo un giudice della legittimità di tutti gli atti e provvedimenti amministrativi, che da sempre aveva incluso nella propria giurisdizione la materia degli appalti, ovviamente in quanto la sua giurisdizione si desse. Generalizzata in Europa la garanzia della tutela giurisdizionale in materia di affidamento degli appalti è emersa anche una specificità del giudice amministrativo finora non tenuta adeguatamente in considerazione. Essa era ed è che il giudice amministrativo italiano ha il suo riferimento ideale nella legalità e nell’imparzialità, non nella concorrenza.
In questo scenario, il ruolo delle amministrazioni committenti era chiaro e relativamente limitato: dovevano consentire l’accesso al mercato degli appalti pubblici a tutti gli operatori economici idonei; la scelta di uno, tra più interessati ad un dato appalto, avveniva tramite procedure selettive, volte ad individuare l’offerta migliore. Come è intuitivo, il parametro fondamentale per la scelta era il prezzo.

2. Preceduto da studi, analisi, indagini, dichiarazioni strategiche (la strategia Europa 2020), il 27 gennaio 2011 venne pubblicato il Libro Verde della Commissione UE “sulla modernizzazione della politica UE in materia di appalti pubblici. Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti”.  Dopo quarant’anni dalla dir. 1971/305, il Libro verde è un vero manifesto di rottura con il passato. Esso muove da una visione globale del mercato e dell’economia. Pone così una duplice premessa. La prima è che, per il futuro dell’Europa, occorre sviluppare un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione, efficiente sotto il profilo della gestione delle risorse. La seconda è che gli appalti pubblici sono uno strumento essenziale a tal fine, perché, attraverso la domanda che creano, contribuiscono a migliorare il contesto generale dell’innovazione. Ne discende che le pubbliche amministrazioni non possono più essere considerate meri acquirenti di beni e servizi, ma sono componenti fondamentali del mercato, in quanto la loro domanda contribuisce a spingere le imprese verso l’innovazione e la modernità. In quest’ottica, un ruolo determinante è svolto dalle norme che disciplinano le procedure per la scelta del contraente: devono essere costruite in modo da accrescere l’efficienza del sistema. In altre parole, per usare il nostro linguaggio, non devono mirare soltanto a garantire l’accesso al mercato degli appalti pubblici a tutti gli operatori economici, selezionando il migliore attraverso meccanismi formali e per quanto possibile meccanici di valutazione delle offerte. Il loro ruolo è, si vorrebbe dire, di ordine superiore: sono protagoniste del mercato perché, avendo la possibilità di stimolare la competizione tra imprese su qualsiasi terreno tecnologico, sono in grado di promuovere l’innovazione nei settori di volta in volta cruciali, così dando slancio all’economia.
In effetti, il Libro verde individua una serie di “obiettivi sociali comuni” che possono essere perseguiti mediante un’accorta politica degli appalti: tutela dell’ambiente e quindi efficienza energetica, lotta contro i cambiamenti climatici, promozione dell’innovazione e dell’inclusione sociale, garanzia delle migliori condizioni possibili per la fornitura di servizi pubblici di elevata qualità.

3 – Ciò ricordato in termini generali, è necessario dire subito che la nuova ottica in cui la Commissione ed il Parlamento collocano il fenomeno economico degli appalti pubblici si riflette in termini rilevantissimi sulla loro disciplina.
I punti di maggior rilievo sono tre. Il primo riguarda la normativa sugli appalti in quanto tale. La Commissione assume quasi come postulato la necessità di semplificarla, facendo proprie le lacrime di molte persone che avevano dato il loro contributo ai suoi lavori. Chi abbia qualche dimestichezza con il codice italiano dei contratti potrà forse sorridere, viste le complicatissime norme che noi ci siamo dati; dalla Commissione giunge questo messaggio e noi ben volentieri ne diamo atto. Con una specificazione: le norme chiare danno sicurezza e quindi spingono ex se a cercare soluzioni innovative, piuttosto che adagiarsi su soluzioni già acquisite, solo perché … non nascondono pericoli.
Il secondo riguarda il criterio di determinazione del prezzo. Nell’impostazione della Commissione, esso è destinato a perdere la staticità sua propria – il prezzo più basso al momento dell’offerta – per esprimere un valore molto più significativo: il costo di tutto il  ciclo di vita del bene, manutenzioni e smaltimento finale compresi. Come è palese, si vuole qui evitare il fenomeno delle c.d. esternalità negative, vale a dire il rovesciamento sulla collettività dei costi futuri di un bene, non predeterminati né predeterminabili. L’esempio più noto è quello dei costi ambientali. Essi devono essere inclusi nell’offerta, con l’effetto virtuoso da un lato di spingere i concorrenti a cercare soluzioni tecnologiche che ottimizzino questi costi e, dall’altro, di accrescere l’efficienza della spesa pubblica a lungo termine. Con questo sistema, infatti, non solo l’amministrazione si assicura un bene di qualità e di costo complessivi molto migliori rispetto ad un bene analogo, acquisito soltanto al prezzo più basso, ma questo risultato è conseguito stimolando l’innovazione, di cui tutti poi potranno beneficiare.
Merita incidentalmente osservare che il criterio del costo dell’intero ciclo di vita è diverso e tendenzialmente più avanzato di quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Mentre quest’ultima è il frutto di un’integrazione tra prezzo del bene e costi della sua gestione, il costo del ciclo completo di vita comprende anche il profilo ambientale, vale a dire lo smaltimento. Esprime un costo “vero”, onnicomprensivo, se così si può dire.

4 – Ma il tema di maggior respiro e dal carattere più profondamente innovativo riguarda i rapporti tra le amministrazioni pubbliche e gli operatori economici.
Si è accennato qui sopra all’idea che ispira il Libro verde ed il progetto di direttiva: la pubblica amministrazione è una componente del mercato, di cruciale rilievo, non solo per l’entità della sua domanda, ma perché, grazie ad essa ed ai fini che persegue – dall’innovazione all’inclusione sociale, dal risparmio energetico all’ambiente in termini generali –, può indirizzare i comportamenti delle imprese.
Naturalmente, nessuno ha mai pensato di escludere le amministrazioni dal novero dei soggetti presenti sul mercato. Il punto è però che esse sono state considerate nell’ottica dei grandi committenti, grandi spenditori, costrette a misurarsi con gli appetiti degli operatori economici – per non dire di peggio. Inquadrate in questa prospettiva, le pubbliche amministrazioni sono state “protette” da questi appetiti nell’unico modo che sembrava concretamente pensabile: vale a dire, circondando il loro agire ed i loro processi decisionali di barriere, rituali, formalità, segretezze tali da rendere qualsivoglia abuso, se non impossibile, almeno difficile. Si può dire, con qualche approssimazione, che le amministrazioni pubbliche erano concepite più come soggetti passivi che attivi, le cui decisioni di spesa erano circondate da un numero sterminato di cautele e controlli.
Il progetto di direttiva rovescia questo quadro. Le pubbliche amministrazioni sono chiamate anzitutto a concepire idee, da gestire e realizzare poi con la collaborazione degli operatori economici. Questo si può svolgere in quattro forme, diversissime ma tutte caratterizzate dalla sinergia pubblico-privato. In larga misura già note, esse vengono riproposte con nuovo spirito e nuovo vigore dalla direttiva.

5. La prima forma di cooperazione è quella degli accordi pre-commerciali. Con essi, amministrazione ed operatore economico privato mettono congiuntamente a punto un progetto o programma complesso, tecnologicamente avanzato ed innovativo. In linea di principio, esso è destinato a soddisfare un interesse pubblico – la difesa ad es. Ma proprio perché si tratta di un programma o progetto molto complesso ed innovativo, è esperienza consolidata che esso possa essere adeguato a fini civili: si pensi ai motori aerei ed in generale all’avionica ed all’aeronautica. Una strumentazione di volo innovativa ben può essere impiegata per aerei civili. L’accordo è definito pre-contrattuale propria in vista di questi possibili esiti: il prodotto o la soluzione tecnologica finale può presentare caratteristiche tali, da non poter essere gestito dall’amministrazione e restare di sua proprietà esclusiva; ma non necessariamente deve essere così: realizzato il progetto, amministrazione e operatori economici possono decidere che cosa farne, e come. Merita ricordare che questa formula contrattuale deriva dagli USA, dove il Governo ha sempre guidato l’industria verso la concezione, la progettazione e realizzazione di sistemi con il più elevato grado di efficienza: era prassi che il Governo si riservasse il prodotto di più alta qualità complessiva, consentendo al produttore di adeguarlo per usi civili. In ogni caso, la tecnologia di massimo livello restava – e resta – al Governo; può essere ceduta a terzi per usi non militari.

6. La seconda è quella della procedura competitiva con negoziato (art. 27). In tale procedura, le amministrazioni aggiudicatrici descrivono l’appalto e i requisiti minimi da soddisfare, specificando i criteri di aggiudicazione, in modo da permettere agli operatori di individuare natura ed ambito dell’appalto e quindi decidere se chiedere di partecipare ai negoziati. La procedura si svolge poi così: le amministrazioni negoziano con gli offerenti le loro offerte per migliorarne il contenuto al fine di farlo corrispondere meglio ai criteri di aggiudicazione ed ai requisiti minimi posti dal bando. Fermo poi il divieto di disparità di trattamento (e quindi ad es. di dare informazioni privilegiate a qualche concorrente), ferma la possibilità di ridurre il numero delle offerte da negoziare, applicando i criteri di aggiudicazione fissati nel bando; ad un certo punto la stazione appaltante decide di chiudere le trattative. Ne informa gli offerenti, e stabilisce un termine per presentare offerte nuove o modificate. Le amministrazioni valutano secondo i criteri fissati dal bando e aggiudicano.
La logica di questa procedura di appalto è tanto chiara, quanto rivoluzionaria ai nostri occhi. In sostanza, le amministrazioni possono bandire una gara su una loro idea (nel bando “descrivono l’appalto”), fissando i requisiti minimi ed i criteri di aggiudicazione. Su questo gli operatori decidono se chiedere di essere invitati; l’amministrazione ne verifica i requisiti di partecipazione; li seleziona, ed apre il confronto sulla base delle offerte scritte pervenute.

7. La terza è quella del dialogo competitivo (art. 28). Con il dialogo competitivo “le amministrazioni aggiudicatrici pubblicano un bando di gara in cui rendono note le loro necessità e le loro esigenze e le definiscono nel bando stesso e/o in un documento descrittivo”. Gli operatori economici interessati chiedono di essere invitati e possono partecipare al dialogo solo se prequalificati. Il nocciolo del dialogo competitivo sta nel fatto che le amministrazioni discutono con i candidati selezionati per individuare e definire i mezzi più idonei per soddisfare le loro esigenze, toccando tutti gli aspetti dell’appalto. Fermo il divieto di disparità di trattamento (e quindi di dare informazioni privilegiate a qualcuno) e di rivelare le soluzioni proposte da un candidato agli altri, senza il suo consenso, la proposta di direttiva prevede che i dialoghi competitivi si possano svolgere per fasi successive, in modo da ridurre il numero di soluzioni da discutere durante la fase del dialogo, applicando i criteri di aggiudicazione previsti. L’amministrazione prosegue il dialogo finché non viene individuata la soluzione che può soddisfare le sue necessità. A questo punto soltanto, dichiarato chiuso il dialogo, le amministrazioni invitano i partecipanti a presentare un’offerta in base alla o alle soluzioni presentate e specificate in fase di dialogo; esse vengono quindi valutate secondo i criteri fissati nel bando. Segue una norma oscura, secondo la quale l’amministrazione può negoziare i termini del contratto con l’offerente che abbia presentato l’offerta economicamente più vantaggiosa, a condizione che da tali negoziati non consegua una modifica di elementi essenziali dell’offerta o dell’appalto.

8. Vi è infine la forma più difficile ed innovativa di tutte, che è il “partenariato per l’innovazione” (art. 29). Come già si è detto, la strategia Europa 2020 dà grande risalto alla ricerca ed all’innovazione per la crescita dell’Europa. È evidente che le pubbliche amministrazioni sono i soggetti che, grazie alla loro capacità di domanda, possono esercitare la pressione più forte sugli operatori nella direzione della ricerca e dell’innovazione. In piena coerenza con questa proposizione, che potrebbe quasi esser detta di principio, la proposta di direttiva sugli appalti pubblici introduce una figura giuridica nuova, il partenariato per l’innovazione, che riprende quella, un po’ troppo many faceted, dai contorni non ben definiti che si aprono a scelte giuridiche eterogenee, quale è il partenariato pubblico-privato.
Nella proposta di direttiva, il partenariato per l’innovazione ricalca le tracce della procedura competitiva con negoziato. Come in quest’ultima, l’amministrazione si presenta al mercato con un fascio di idee, accompagnato da studi preliminari; a questo richiamo può rispondere qualunque operatore economico, al fine di costruire e sviluppare un rapporto di collaborazione strutturato per lo sviluppo di prodotti, servizi o lavori innovativi e per l’acquisto dei servizi, forniture e lavori che ne risultano, ovviamente ai prezzi concordati – in altri termini per stabilire un partenariato.
Da questa finalità che la proposta di direttiva vuole perseguire discendono le peculiarità della scelta dei candidati. Sono anzitutto determinanti la capacità e l’esperienza dell’offerente nel settore della ricerca e dello sviluppo “o nella messa a punto di soluzioni innovative”. Si tratta di qualità che, pur attinendo per loro natura alla prequalifica, hanno certamente un carattere del tutto inusuale. Tanto è vero questo, che la norma prosegue dicendo che solo gli operatori così scelti ed invitati “potranno presentare progetti di ricerca e di innovazione al fine di soddisfare le esigenze individuate dall’amministrazione aggiudicatrice che non possono essere soddisfatte con soluzioni esistenti”. Questi appalti verranno aggiudicati esclusivamente in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Come è palese, il confine tra criteri di prequalifica e di offerta economica diventa quasi evanescente. L’innovatività del progetto presentato da un’impresa qualificata come “innovativa” è presunta; viene valutato solo sulla base del parametro dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ciò che è criterio e soprattutto sistema di pensiero assai diverso.

9. Sembra del tutto evidente che i modelli contrattuali qui brevemente rappresentati, oltre ad esprimere l’impulso che la Commissione vuole dare alla sinergia pubblico-privato nella prospettiva di promuovere la ricerca tecnologica e con essa l’innovazione, introducano un elemento di grande novità. Esso riguarda le amministrazioni pubbliche e, si potrebbe dire, le amministrazioni pubbliche in quanto tali, prima ancora che nel loro rapporto con gli operatori economici privati.  Ad esse è affidato il difficile compito di pensare l’innovazione, di anticipare il nuovo, per stimolare su questo gli operatori economici.

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Quali conclusioni?
La domanda è difficile. È ragionevole pensare che si debbano tenere separati i piani su cui si sviluppa il discorso. Uno di essi riguarda infatti gli interventi che occorre fare e che la direttiva fa ai fini della semplificazione delle norme e delle procedure; l’altro le proposte innovative, di cui qui sopra si è detto.
La semplificazione delle norme e delle procedure è una necessità assoluta nel nostro Paese. Il Codice dei contratti pubblici è stato un lavoro straordinario, come lo è stato il regolamento, ma non ha potuto o voluto spezzare il reticolo di norme, sparse ovunque, che tendono lacci e lacciuoli a chi vuol partecipare alle gare. Il terribile art. 38, che commina decine e decine di cause di esclusione dalle gare non le elenca tutte. Molte di queste cause non hanno alcuna ragion d’essere. È dunque cruciale che, in sede di recepimento, si cerchi di tradurre lo spirito della direttiva in cancellazione di norme superflue, che non tutelano niente e nessuno. È cruciale che tutte le informazioni relative alle imprese ed alla loro storia siano raccolte presso un unico organismo – l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ad es. – e che ad esse possa accedere qualunque amministrazione per avere i dati di cui ha bisogno. E così via.
Quest’opera richiederà molto lavoro, molta pazienza e paradossalmente molto coraggio. In compenso, il costo potrebbe essere molto contenuto di fronte ad un beneficio di straordinarie dimensioni.
Molto più difficile è il tema delle proposte innovative. Lo è per una ragione altrettanto chiara: per far svolgere alle pubbliche amministrazioni il ruolo propulsore che la proposta di direttiva attribuisce loro, è indispensabile da un lato dotarle di strutture tecniche adeguate – in grado cioè di concepire idee innovative, esprimerle, vagliare le risposte degli operatori e valutarle – ma dall’altro di costruire intorno a loro un regime di cui oggi praticamente non si vede traccia. È il regime di fiducia e di stima, che nasce dalla preparazione e dall’autorevolezza dell’amministrazione. Quando noi parliamo di pubblici amministratori il primo pensiero che viene è quello della Corte dei conti.
Il punto cruciale è che la sfida è partita. L’innovazione affidata all’iniziativa delle amministrazioni pubbliche diventerà tra breve ordinamento vivo, diritto vigente dell’Unione europea. Il problema non sarà allora se, come e quando partire. Qualcuno partirà. E quando il gioco della concorrenza comincerà a svolgersi tra amministrazioni pubbliche, nuovi gestori del mercato in tempo di crisi, chi non sarà in grado di partire avrà molto probabilmente perso il treno.

Materiale collegato: Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici