Le opere di compensazione
Le opere di compensazione sono sempre più al centro dell’attenzione dei decisori politici, dei programmatori delle opere pubbliche e di progettisti, nonché del mondo della ricerca e del giudice amministrativo, anche contabile.
In particolare per quanto riguarda il mondo della ricerca, di quella parte che si occupa di processi di decisione e partecipazione del «pubblico» alle decisioni pubblico/collettive[1], interessato dall’effetto «NIMBY» o preoccupato dei «costi del non fare».
Un tempo marginali – andando oltre la tradizione delle compensazioni nelle espropriazioni, nelle pratiche forestali ed in genere nell’estimo agrario –, le opere di compensazione sono oggi divenute centrali nella realizzazione delle opere pubbliche e non solo. Infatti anche quelle private vengono sempre più gravate del loro costo, in specie quando queste opere sono prossime a quelle di «interesse generale». E come tali, appunto, oggetto di discussione con il «pubblico» oltre che con le pubbliche amministrazioni.
In particolare nel comparto delle opere pubbliche e della loro interazione con l’ambiente. E sempre più anche nelle operazioni di trasformazione urbana. In questi casi si tratta di «compensazione redistributiva». Vale a dire che se è anche l’intorno dell’area nella quale viene operato l’intervento -, ad esempio, di trasformazione urbana «pesante» -, ad avvantaggiarsene, l’intervento è considerato positivo e quindi accettato. Non solo sul piano amministrativo, ma anche e soprattutto su quello sociale.
Lo sviluppo dell’applicazione delle opere di compensazione si è avuto infatti per impulso della valutazione ambientale di progetti di opere (VIA) e di piani e programmi (VAS), di settore o territoriali – urbanistici o a valenza territoriale – urbanistica, nonché delle altre procedure di valutazione ambientale: valutazione integrata (AIA) e d’incidenza (VINCA).
Per mezzo delle opere di compensazione – profondamente diverse dalle misure di riduzione dell’impatto ambientale -, si ambisce ad aumentare la capacità di resistenza dell’ambiente oggetto di pressione da parte dell’opera, del piano o del programma, e quindi a determinare il miglioramento della compatibilità, anche di «performance» ambientale, del progetto o del piano o programma in questione.
Ma oggi l’applicazione che se ne fa va molto oltre il comparto ambientale.
È l’ambiguità stessa della nozione di ambiente ad aver favorito ciò. In essa infatti convivono almeno tre declinazioni: ambiente fisico naturale, ambiente culturale e sociale (comprensivo di quello urbano e territoriale in generale), ambiente economico.
Del resto sono proprio i richiami «colti» alla complessità della nozione di ambiente che si ritrovano nelle direttive comunitarie e nei regolamenti di applicazione e nelle leggi statali, a implicare il ricorso alle compensazioni. In specie quando si opera nell’ottica della compatibilità ambientale. Diverso è il caso dell’operare nell’ottica della sostenibilità ambientale. Gli obiettivi di un’azione perché sia considerata sostenibile sono ovviamente molto più ambiziosi di quelli a base di un’azione che aspira ad essere considerata compatibile. Le opere di compensazione nelle tre dimensioni o «pilastri» della sostenibilità ambientale, sociale ed economica, sono comunque presenti. Sia che si tratti di misurare (e rendere possibile) la compatibilità che di proseguire l’obbiettivo della sostenibilità ambientale.
Nonché l’oggettiva impossibilità – oltre la dimensione scientifica pura – a valutare la compatibilità ambientale in se stessa, cioè con riferimento alla sola declinazione fisico-naturale della nozione di ambiente.
Se non si considerano anche le altre «componenti» (culturali, sociali ed economiche) è infatti ben difficile dimostrare la compatibilità ambientale esclusivamente riferita alla componente «ambientale».
La sua misurazione è molto difficile anche perché si impone la necessità di stabilire una gerarchia di valori tra gli elementi che costituiscono un determinato ambiente fisico-naturale. In sé e in rapporto al valore che in un determinato[2] momento la società assegna a quell’ambiente o a quella componente o elemento dell’ambiente.
La questione della ambiguità della nozione di ambiente nella valutazione della compatibilità di progetti o piani e programmi è stata messa particolarmente in evidenza dalle applicazioni della valutazione ambientale strategica, allorché la valutazione riguarda non solo il «pilastro» ambiente, ma – come si dovrebbe fare – anche gli altri tre: sociale, economico e della «governance» del sistema.
Se infatti la previsione di un determinato sacrificio richiesto ad una collettività o gruppo sociale, comportante una riduzione di ricchezza per via della decisione di contenere lo sfruttamento di determinate risorse naturali o dell’impatto sulle stesse, non è accettato socialmente e sopportabile economicamente, difficilmente può divenire concreta. Ispirando cioè politiche generali ed azioni specifiche.
Soprattutto il governo della relazione che si instaura tra momento della presa di decisione e quello dei suoi effetti richiede una forte «governance». Si tratta, in altri termini, del problema del decidere oggi pensando alle generazioni future. Facendo accettare alle generazioni presenti sacrifici a vantaggio di quelle future. Per sacrifici si intendono riduzioni dei consumi di risorse, di produzione di rifiuti, etc.. Quindi anche cambiamenti degli stili di vita singoli e collettivi.
Nella ambiguità della nozione sta la spiegazione della estensione del campo di applicazione delle opere di compensazione. Queste oramai riguardano molto il sociale e l’economico. Soprattutto dei «territori» direttamente coinvolti dalle trasformazioni. Quando spesso anche territori non direttamente coinvolti sono comunque interessati dalle trasformazioni.
Non si tratta più di «misure di accompagnamento», ma di veri e propri compensi aggiuntivi che il decisore – proponente dell’opera pubblica «paga» al territorio interessato.
Saggio per il libro in onore di Nicola Greco.
Note
1. Insoddisfatto è il giudice amministrativo francese che ritiene la legislazione sulla partecipazione del pubblico ai processi decisionali, che ha destato interesse ed ammirazione in molti paesi che ad essa si sono ispirati per le proprie leggi sulla partecipazione del pubblico ai processi decisionali, in specie in materia di opere pubbliche, localizzazioni di impianti produttivi, trattamento di rifiuti, etc. Il «Conseil d’Etat» (Cfr., P.Roger, “Le Conseil d’Etat propose de mieux associer le citoyen a la dècision publique”, «Le Monde», mercoledì 29 giugno 2011), ritiene infatti la legislazione vigente poco aderente ai principi della cosiddetta «democrazia deliberativa» (Cfr. Rapporto annuale 2011, reso il 28 giugno 2011).↑
2. Cfr., il nostro, “Le priorità ambientali attuali”, «Aperta Contrada», del 22 aprile 2011 (rivista on -line).↑