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Il principio di concorrenza anche nella pianificazione urbanistica*

di - 9 Marzo 2012
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2.    Nella tradizione, in via autoritativa cioè secondo il principio di autorità. Nella nuova concezione del rapporto pubblico privato, che riconosce un ruolo molto più significativo al privato nel processo decisionale collettivo, questa impostazione culturale ed amministrativa è ancora valida?
Ne discuterò più avanti.
Nella sostanza, si definisce la ripartizione del suolo sulla base di un disegno di città ispirato a criteri di funzionalità e di forma urbana, di giustizia redistributiva, di contemperamento dei conflitti sociali ed economici ed, oggi, anche di sostenibilità ambientale[6].
Le funzioni di sempre dell’urbanistica; alcune accentuate dopo che Colbert fa divenire la città «piatto imponibile» e con essa l’urbanistica, da disciplina dei comportamenti sociali ed individuali (rappresentata nel Codice civile e prima ancora nei Regolamenti di igiene), a disciplina strumento dei sistemi di imposizione fiscale[7].
Non a caso per molto tempo si è discusso sulla possibilità di assegnare l’arma dell’imposizione fiscale all’urbanistica: tasse di localizzazione, tasse sulle attività produttive nel rapporto con lo spazio, «redevance» nel caso che una localizzazione è ammessa, ma non è considerata quella preferenziale dal piano urbanistico.
Mi sto riferendo a paesi dove il rapporto tra urbanistica e imposizione fiscale è meno sbilanciato che da noi. A favore cioè dell’idea che la città sia soprattutto «piatto imponibile» e che la fiscalità possa servire a ben pianificare la città e non solo per reperire le risorse necessarie anche alla città. Ovviamente la leva fiscale si può applicare come incitatrice. Quindi nel senso di ridurre il carico fiscale in parte o totalmente. Ma nuovi problemi, proprio di natura concorrenziale si aprirebbero[8].
Ricordo che nel nostro ordinamento tributario sono assoggettate all’ICI (in prospettiva all’IMU) anche le aree di futura urbanizzazione[9]. E che quelle agricole sono tassate in rapporto alla distanza da queste.
Con buona pace di chi ritiene non conformativo della proprietà il piano strutturale comunale!
Effetto di quel disegno è stato, appunto dopo Colbert, lo sviluppo dello strumento della zonizzazione.
Di recente, per fortuna, alcuni «fattori» sono divenuti «valori» e quindi dirimenti, assolute o relative, nella ripartizione del suolo. Mi riferisco ai valori della natura e del paesaggio. Non più meri fattori di localizzazione, ma, appunto, valori assolutamente da conservare e valorizzare se si è capaci di farlo.
Il risultato della zonizzazione, operata oltre il riconoscimento dei valori di cui sopra, sulla base di criteri complessi quali il rapporto tra localizzazione, giaciture del suolo, dotazioni territoriali di contesto e specifiche – questione che ricorda i famosi contributi di miglioria generici e specifici introdotti dai «governi Giolitti» agli inizi del secolo scorso – è l’«affettazione» (così definiscono questa pratica in Francia) del suolo.
Cioè le destinazioni d’uso del suolo, opportunamente ripartite.
Un tempo stabilite in via prescrittiva: l’uso che si può fare del suolo è solo quello previsto dal piano[10]. A volte previsto molto dettagliatamente ed unilateralmente quasi arbitrariamente; addirittura «capricciosamente» secondo qualche giudice amministrativo.
Oggi?
Oggi si cerca di disciplinare gli usi in una logica di «performance». Al minimo, la disciplina è operata nella logica di «consentire tutto ciò che non è vietato». Si definiscono solo gli usi che non possono essere esercitati. Per il resto, si opera nella logica della compatibilità con categorie ampie di destinazioni d’uso.
Ambientale in senso lato, dapprima; funzionale subito dopo.
È ovvio che un piano urbanistico costruito per consentire l’esercizio di questo approccio culturale e metodologico è ben diverso da quello autoritativo – prescrittivo – predittivo di un tempo.
Diversi sono anche gli strumenti di valutazione di un simile piano: ambientale, di fattibilità economica e di viabilità amministrativa. Nonché sociale.
Diversa è anche la comunicazione di un tale piano, nonché la partecipazione sociale alla sua costruzione. Al riguardo ricordo quanto di recente avvenuto in Francia: il Consiglio di Stato ha censurato la legge sul «débat public», che ispira quella sui «grands chantiers» – che tutti invidiano e tentano di mutuare! – in quanto sarebbe poco attenta a realizzare i principi della «democrazia deliberativa».
Per concludere sulla questione dello zoning/zonizzazione voglio ricordare la tendenza culturale – che inizia a concretizzarsi -, favorevole al superamento dello zoning a vantaggio del «contratto»[11]. Dallo zoning al contratto sugli usi del suolo: questo sembra essere il destino di questo particolarmente importante «attrezzo» dell’urbanistica.
Del resto anche nella definizione dei valori basici di un ambiente, solo un accordo sugli stessi, preceduto da una negoziazione esplicita, consente di superare questioni insuperabili: posizioni scientifiche, sistemi di interesse, sensibilità di singoli e collettive, etc.
Una volta «affettato» il suolo, si definiscono le intensità d’uso. Con i famosi parametri urbanistico-edilizi: densità territoriali, densità fondiarie ed edilizie, altezze degli edifici, distanze tra loro, le strade, i confini di proprietà, etc.
Ritorno sulla questione del partenariato pubblico privato. E’ un rapporto che conosciamo da molto tempo. La convenzione urbanistica è lo strumento con il quale si realizza[12]. Ma non è più questo il punto. La convenzione urbanistica che conosciamo, per usare un’espressione facilmente comunicabile, ma imprecisa, è posizionata «a valle» del piano, in fase di attuazione dello stesso.
Ciò è insoddisfacente per i principi comunitari e statali più recenti.

Note

6.  L’aspirazione è quella ovviamente di realizzare la «città giusta»; cfr., Susan S. Fainstein, The Just City, Cornell University Press, Ithaca and London, 2010.

7.  Questa sintetica definizione la si trova nei lavori del Consiglio di Stato francese allorché, a richiesta del governo, formula proposte per la riforma del diritto urbanistico; cfr., Conseil d’Etat, L’urbanisme: pour un droit plus efficace, Les études du Conseil d’Etat, La Documentation Française, Parigi 1992.
Di particolare interesse in questo contesto è la raccolta di saggi curata da Philippe Genestier, Vers une nouvel urbanisme. Faire la ville, comment, pour qui?, La Documentation Française, Parigi 1996; ed anche il contributo di Tierry Viemin, “Nouveau regard sur l’amenagement”, «études foncières», n. 153/2001, è molto utile al riguardo.

8.  Aa. Vv., “Les aides fonciéres sont-elles compatibles avec le Marché commun?”, «études fonciéres», n. 146/2010.
Si ricorda al riguardo l’avvio della procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea nei confronti dell’Olanda.
Il fatto che sia molto elevata la quota di patrimonio pubblico residenziale è ritenuto un possibile «vulnus» al principio di concorrenza. La dotazione di patrimonio pubblico residenziale potrebbe infatti rappresentare una forma impropria di aiuto di stato . Quindi una alterazione del mercato!
Più in generale la fiscalità è considerata nell’aspetto relativo al prelievo, in specie alla misura del prelievo, oramai molto elevato un po’ ovunque in Europa; cfr., Rémy Petiot, “Devorante fiscalité”, «études foncières», n. 153/2011.

9.  E ciò dalla sola adozione dello strumento urbanistico locale, comunque definiscano questo strumento le leggi urbanistiche regionali.

10.  Della enorme letteratura sullo «zoning», segnalo esclusivamente il lavoro di Jean Ruegg, Zonage et propriété foncière, ADEF, Parigi 2000.

11.  G. Perrin – Gaillard, Philippe Durand, Une strategie pour l’avenir, Rapport al Primo Ministro, La Documentation Française, Parigi 2002.

12.  L’istituto è ben noto e studiato (cfr., il recente lavoro di Marzia De Donno, “Il principio di consensualità nel governo del territorio: le convenzioni urbanistiche”, «Rivista Giuridica dell’Edilizia», anno LIII, Fasc. 5/2010). Può essere interessante, anche per il non giurista, guardare questo istituto in rapporto a quanto avvenuto un Francia a seguito delle censure alla «convention d’aménagement», a base delle «societé d’économie mixte local» (alle quali si sono ispirate le nostre società di trasformazione urbana), da parte della Corte di Giustizia Europea. Tra i contributi più recenti, cfr., “«Les concessions d’aménagement». A’ la récherche d’un cadre juridique”, Dossier coordinato da Patrick Hoecreitère, «études foncières», n. 147/2010.

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